Categoria: Proverbi e Detti

Quànne la vòcche jéle, la vüte pöche véle

Quànne la vòcche jéle, la vüte pöche véle

Quando la bocca sbadiglia la vita poco vale.

Dicevano che è un segno di scarsa salute o scarsa voglia di lavorare.  Sarà vero?

Ho letto da qualche parte che lo sbadiglio è un sintomo di scarso afflusso di ossigeno al cervello. Quindi è un riflesso condizionato. Con lo sbadiglio si respira a bocca spalancata e perciò si consente maggior afflusso di aria (e quindi di ossigeno) nei polmoni.

Che poi allo sbadiglio siano stati attribuiti altri significati, è comprensibile data la scarsa conoscenza scientifica dei nostri avi

 

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Quanne nen tjine che arte fé, pìgghje ‘i püle a pettené

Quanne nen tjine che arte fé, pìgghje ‘i püle a pettené

Traduzione libera: Quando non hai proprio nulla da fare, puoi dedicarti a pettinare i tuoi [o gli altrui] capelli (genericamente qui indicati come peli).

Un proverbio un po’ canzonatorio. Veramente mia suocera, che non si faceva mancare nulla, diceva: Quanne nen tjine che cazze fé, pìgghje ‘i püle a pettené!.

Insomma quando la mamma vedeva che le figliole un po’ si annoiavano in casa (ricordate che non c’era ancora la televisione, e libri e riviste in casa erano merce molto rara…), allora sentenziava loro questo Detto scherzoso, in antitesi di quello che effettuivamente ella voleva. In effetti in casa c’è sempre da fare!

I Toscani parlano di “pettinare le bambole” nel senso di perdere tempo a fare cose inutili. Le mamme manfredoniane invece spronavano le figlie a diventare virtuose, imparando a sbrigare bene le faccende domestiche, in vista del loro futuro di spose e di madri, come era nelle loro aspirazioni.

Quelle che lo facevano diventavano (clicca→) vertevöse, brave, le altre invece (clicca→) svertuéte!

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Quanne pe’ ‘n’ate nen pùte, pe’ megghjèrete te cùleche.

Quanne pe’ ‘n’ate nen pùte, pe’ megghjèrete te cùleche.

Quanto con un’altra non puoi, con tua moglie ti corichi.

Il significato di questo, come anche di altri proverbi, è di accontentarsi del proprio stato, di non avere troppe pretese, specie se queste esulano dalla norma.

Non che la propria moglie sia un ripiego, per carità, anzi essa dà la certezza di un porto sicuro, contro le pulsioni velleitarie, i sogni proibiti, che si rivelano sempre deludenti, rischiosi e controproducenti.

Corrissponde all’antico Detto: chi si contenta gode.

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Quànne sì prumìsse ‘u purcjille, córre sóbbete p’a zuchelèlle

Quànne sì prumìsse ‘u purcjille, córre sóbbete p’a zuchelèlle

Quando qualcuno ti promettere un maialino, corri subito con una funicella (per portartelo via).

Questo bellissimo proverbio incita a non rimandare nel tempo una cosa che si può fare subito. C’è il rischio che colui che ha fatto la promessa (si può dire promettitore, o promettente? temo di no) ci ripensi su e cambi idea.

In italiano si può dire “chi ha tempo non aspetti tempo”, oppure “non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi”.

Ma non è un’immagine così diretta come quella del porcellino che può volatilizzarsi….

Per la precisione, zuchelèlle = cordicella si può pronunciare anche nella variante:‘a zuculèlle. Sono accettabili entrambe le voci.

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Quànne vöne ‘u mòneche a càste, pigghjatìlle a rïse.

Quànne vöne ‘u mòneche a càste, pigghjatìlle a rïse.

Quando viene il monaco a casa tua, prenditela a ridere.

Il monaco in questione è il “frate cercatore”, il questuante, generalmente un francescano, che una volta girava per le campagne o anche per le case di Manfredonia con un calesse (‘u sciarabbàlle) trainato dal cavallo, chiedendo per il convento delle derrate alimentari o anche offerte in denaro.

Il significato del proverbio è un consiglio: bisogna fare buon viso a cattivo gioco.

Se ti trovi coinvolto in un episodio spiacevole, invece di reagire sbraitando o prendertela con qlcn, conta fino a tre e sorridi. (funziona 80 volte su 100).

È ammessa una seconda versione: Quànne vöne ‘u mòneche a càste, pigghjatìlle ‘mbaciènze, = quando viente il frate a casa tua prenditela in pazienza.
Nascondere la contrarietà con un bel sorriso.

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Quest’jì la Palme…

 

 

Quèst’jì la Palme...
Ecco il Detto completo:

Quèst’ jì la Palme e faciüme la péce,
nen jì tjimbe di stéje ‘nguèrre.
So’ li Tórche e fanne la péce,
quèst’ jì la Palme e damme ‘nu béce.

Questa è la Palma e facciamo la pace/non è tempo di stare in guerra/ sono i Turchi e fanno la pace,/ questa è la Palma e dammi un bacio.

Una formula che i bimbi recitavano, nello scambiarsi in segno di pace con i parenti e con gli amichetti,  il ramoscello benedetto di ulivo nella Domenica antecedente la Pasqua Cristiana.

Nei Paesi caldi, i Cristiani usano i rami della palma da datteri, da cui il nome della ricorrenza, come fecero gli abitanti di Gerusalemme, innalzando i ramoscelli al grido di “Osanna!” quando Gesù entrò in città (Marco 12,12-13): «12  Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13 prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!”»

Nei Pesi mediterranei usiamo i ramoscelli di ulivo, quale simbolo di pace, in memoria della colomba mandata da Noè e che ritornò con uno di questi nel becco.

Nei Paesi nordici di rito cattolico o luterano, ove non crescono né palme, né ulivi,  usano scambiarsi piantine varie o rametti intrecciati di salice, bosso comune, ginepro.

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