Petturüne

A) Petturüne s.n. = Pastelli, matite per colorare.
Il nome deriva dal verbo petté o appetté, pittare, colorare, dipingere.

Una delle cose più care dei miei ricordi della prima elementare: la scatola dei pastelli, sei colori, marca Fila, modello Giotto.  Solo sei colori, ed erano sufficienti per farci volare con la fantasia in un mondo in Technicolor!
Mi sovviene anche l´odore di questi pastelli, col legno grezzo, che dovevano durare tutto l´anno e magari anche l´anno successivo…

Una pubblicità ingenua, che ora fa tenerezza, stampata sulla scatoletta di cartone, declamava:
“Se nel disegno vuoi prendere otto
matite Fila e pastelli Giotto”

Conservavo i miei petturüne (….profumo di fanciullezza) dentro un’astuccio metallico riciclato dalle cianfrusaglie dei militari Alleati di stanza a Manfredonia.

B) petturüne s.f. = pettorina

Mia moglie mi ha ricordato che, al femminile, ´a petturüne era la parte superiore del grembiule (´u senéle).

C) ‘A petturüne s.f. solino.
Indicava anche il “solino”, cioè il colletto inamidato della camicia da uomo, separato dall’indumento, che si univa al resto con un bottoncino sul dietro e un altro sul davanti.
L´avremo visto mille volte nei film di Totò.

In italiano “solino” indica anche il tipico colletto azzurro bordato di bianco facente parte della divisa dei marinai di tutto il mondo (´i suldét´a marüne), ricadente sul di dietro in un rettangolo con le stellette.,.

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Petturéle

Petturéle s.m. = Pettorale


Finimento in cuoio posto sotto la pancia degli animali da tiro e attaccato alle tirelle per il traino dei veicoli; negli animali da sella impedisce a quest’ultima di scorrere in avanti e indietro.

Deriva da petto, ovviamente del cavallo o del bue da traino.

Ho inserito questo termine simil-italiano, più per spiegare ai ragazzi di oggi, che raramentop vedono una bestia da tiro, che cosa è il pettorale. Gli anziani lo sanno benissimo!

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Pettenjire

Pettenjire s.f. = Pettiniera, coiffeuse

Mobile basso, a specchio, dotato di vari cassetti usati per riporre pettini e spazzole.

Si collocava in un angolo luminoso della casa, ed era aveva un puff o uno sgabello in dotazione.

Ovviamente serviva alla padrona di casa per truccarsi e per pettinarsi, magari con l’aiuto della capellöre, la pettinatrice a domicilio.

Questa professione è scomparsa, così come è sparito il mobiletto sopra descritto. Nelle nostre minuscole case non c’è posto per mobili ingombranti e inutili.

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Pettenessèlle

Pettenessèlle s.f. = Pettine

Pettine da taschino usato dai giovanotti eleganti di una volta, che volevano essere sempre impeccabili.

Era riposto un un foderino di cuoio e portato sempre nel taschino della giacca.

Se la loro capigliatura, nonostante fosse impomatata con la brillantina solida, veniva scompigliata dal vento, zac-zac, con due colpi di pettinino ritornava in ordine.

Per essere certi che nemmeno un capello fosse fuori posto, i gagarjille (←clicca) si specchiavano ai vetri delle abitazioni a piano terra prima di accedervi…

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Pettenèsse

Pettenèsse s.f. = Pettine

Oggetto di vario materiale (osso, tartaruga, legno ecc.), usato per ravviare e acconciare i capelli, formato da una serie di denti fissati su una costola di circa 20 cm che serve da impugnatura.
Per metà i denti sono  più grossi e distanziati, per dipanare i capelli ricci o arruffati,  per l’altra metà più sottili per pettinarli senza strappi…

Si chiama così anche quello di dimensioni più piccole e di forma lievemente ricurva, munito di denti radi e lunghi per fissare i capelli nelle acconciature femminili, tuttora usati nei costumi tradizionali spagnoli.

In una canzone napoletana degli anni ’50, Renato Carosone ci ricordava che questa ragazza del rione Santa Lucia (‘A Luciana)  sfoggiava ‘a pettenessa per la via:
“Porta ancora ‘o scialle ‘e lusso,
porta ancora ‘a pettenessa.
‘sta Luciana quanno passa
nun te fa cchiù raggiunà…”

Infine con il nome di pettenèsse viene designato un pesce marino (Xyrichtys novacula), lungo fino a 20 cm, per la verità poco diffuso nel nostro Golfo, dalle carni bianche e gustose, sia in frittura sia in umido.
Per effetto della sua robusta dentatura è detto in italiano “pesce pettine”, in inglese  razorfish (pesce rasoio) e in Calabria pisci sùrice (pesce sorcio).

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Pèttene

Pèttene s.m. = Pettine

È un termine simil-italiano.
Mentre in lingua indica più genericamente qualsiasi oggetto con i denti usato per riordinare i capelli,  in dialetto  ‘u pèttene  designa “il pettine a denti fitti”, usato in tempi passati, quando non esistevano prodotti specifici, per rastrellare uova di parassiti (i lìnnele = lendini) dal cuoio capelluto, comparse a causa della scarsa igiene personale.

Era elegantemente chiamato così anche il pettine lungo a denti corti usato dai barbieri abili nel loro lavoro di taglio dei capelli a sfumatura bassa eseguito in punta di forbici.

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Pettenatöje

Pettenatöje s.f. = Mantellina

E’ uno scialle tipo quello che usano i parrucchieri, ma molto più rifinito e raffinato, spesso adornato con pizzo e ricamo.

Di solito viene regalato alle donne nel corredo prematrimoniale.

Una volta indossata arriva fino all’altezza del gopmito.

Serve a evitare che i capelli caduti durante la spazzolatura o la pettinatura o la messa in piega cadano sul vestito.

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Pèttele

Pèttele s.f. = Pèttola, frittella

Il nome “pettola” è la versione italianizzata del sostantivo albanese petullat,  passato a noi dai numerosi centri arbëreshë del Sud Italia (Casalvecchio di Puglia, Chieuti, Barile, Ginestra, Maschito, Ururi, San Costantino Albanese, Frascineto, Carfizzi, Pallagorio, Piana degli Albanesi, ecc.)

Si tratta di una frittella di pasta morbida di pane, ben lievitata, cotta in abbondante olio d’oliva. Risulta croccante all’esterno e morbida all’interno.

Qualche massaia incorporava nella pasta, prima di friggerla, dei filetti di alici salate o di baccalà spugnato. Le mamme più abbienti addirittura vi ponevano dei chicchi di uva passa.   Ora sono vendute già pronte nei panifici,  ma solo nella versione base.

Se dopo qualche giorno, le rimanenti pettole si indurivano, bastava riscaldarle, avvicinandole in punta di forchetta, al fuoco del braciere per farle ammorbidire.

Proverbio: I pèttele ca nen ce màngene a Natéle, nen ce màngene ‘chió = Le pettole che non si mangiano a Natale non si mangiano più.    Ossia afferra l’attimo, il giorno (Carpe Diem in versione manfredoniana).

Talvolta viene usato il termine pèttele per designare la (clicca→) pechèsce

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Petrusüne

Petrusüne s.m. = Prezzemolo

Pianta erbacea (Petroselinum sativum) della fam delle Ombrelliferae, con foglioline frastagliate di colore verde intenso.

Il nome dialettale petrusüne   deriva direttamente  dal latino petrosèlinum, dal greco petrosèlinon che letteralmente significa sèlino (sedano) delle rocce.

In erboristeria sono usate le radici per le loro proprietà terapeutiche depurative e diuretiche.

In cucina le foglie sono ampiamente usate  per dare sapore a ministre, pesce, verdure, formaggi; vanno aggiunte all’ultimo momento perché con la cottura si perde gran parte dell’aroma.

Se nen mìtte ‘u petrusüne, a menèstre nen sépe de njinte  = Se non metti il prezzemolo, la minestra non sa di nulla

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Petìscene

Petìscene s.f.= Empietìgine

Malattia della pelle, caratterizzata da sfaldamenti e chiazze.

Petìscene erano chiamate anche quelle chiazze che restavano sulla pelle quando era guarita la scabbia.

Per estensione si definiva “petìscene” anche l’attaccatura di due pagnotte di pane infornate affiancate.

Lievitavano per effetto del calore, si dilatavano e si “attaccavano”. Quando il fornaio a fine cottura le separava, le due panelle presentavano una crosta molto più sottile. Talora restava una crosticina staccata, ottima perché croccante.

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