Ce accòcchjene panze e panze,…

Un indovinello malizioso e divertente:
Ce accòcchjene panze e panze,
p’u njirve sèmbe tüse,
‘na méne allu strumènde,
e l’ata méne allu pertüse.

Ossia: Si uniscono pancia contro pancia, con  il nervo sempre teso, una mano allo strumento, e l’altra mano al pertugio.
Il “nervo” indica la corda di budello usata negli antichi strumenti musicali.

Versione sud-Puglia:
Vèndre ‘mbaccia vèndre,
‘na méne allu strumènde,
‘na méne allu pertüse,
e fazze sotte e süse

Ventre contro ventre, una mano allo strumento, una mano alla buca e l’agito in sotto e in su.

‘A catarre = La chitarra.

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Tatte nìrje appüse stöve, Tatte rósse ‘ngüle vattöve

Tatte nìrje appüse stöve,
Tatte rósse ‘ngüle vattöve

“Coso” nero appeso stava, “coso” rosso in culo (gli) batteva.

Diciamo che quel “Tatte” è intraducibile, perché come tanti altri termini dialettali (vedi pindalosce) non significano nulla, ma servono per “prolungare” la frase e dare ritmo all’enunciato.

Difatti se ne può fare a meno, senza alterare il significato di questo simpatico indovinello.

La soluzione è ‘a cavedére jìnd’u fucarüle = il paiolo dentro il caminetto

Quando non c’era il gas le nostre nonne cucinavano usando un paiolo, annerito, che si sospendeva sul fuoco di legna ad un gancio che pendeva all’interno della cappa del camino.

Il pentolone annerito dal fuoco è il Tatte nìrje. Invece il fuoco che gli lambisce il fondo è Tatte rósse.

Una faticaccia per le nostre nonne che dovevano stare attente ad evitare cadute di fuliggine dal camino nelle pietanze in cottura. Il pulitissimo gas butano in bombole fece la sua comparsa nel 1950 e soppiantò rapidamente la legna nella cucina.

Nota linguistica.
Il termine vattöve, tempo imperfetto del verbo vàtte = battere, è piuttosto antiquato. Da piccolo ricordo sempre la versione bàtte (come battepànne) nel senso di battere, pulsare, o abbàtte col significato di demolire e di sconfiggere qlcn nella lotta.
Ringrazio Tonia Trimigno per il suo suggerimento.

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Sté na cöse lònghe e lìsce e a tènghe ‘mméne quànne pìsce

Sté na cöse lònghe e lìsce
e a tènghe ‘mméne quànne pìsce.

C’è una cosa lunga e liscia e la reggo in mano quando piscia.

bottiglia
Soluzione: ‘a buttìgghje = la bottiglia che versa il suo contenuto liquido.

L’equivoco nasce dalle due parole “quanne pìsce” che hanno lo stesso suono, ma che significano, indifferentemente: quando piscio (io) e quando piscia (lei, la cosa)

Grazie al lettore PEPPE per il suo divertente suggerimento.

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Sté ‘nu cjile stèlle stèlle….

Sté ‘nu cjile stèlle stèlle….

C’è un cielo cosparso di stelle.

Che cos’é?

Il lettore PEPPE mi dà lo spunto per spiegare questo indovinello.

È una cosa schifosa, ma purtroppo vera: nei tempi passati (diciamo fino a metà del secolo appena passato), quando non tutte le case disponevano di acqua corrente o di fognature, per i bisogni corporali si usava il famoso ruàgne = cantero, detto anche prüse o cacatüre.

Era adoperato prevalentemente dalle donne, perché gli uomini evacuavano negli anfratti degli scogli o nei campi di fichi d’india che coronavano la città. Essi per l’occasione, si premunivano di carta di giornale per stujàrece = pulirsi in assenza di acqua.

Véche a fé ‘nu telegràmme, a fé ‘na spasséte, a mangé düje chelómbre = vado a fare un telegramma, una passeggicon unatina, a mangiare due fichi fioroni. Eufemismi per dire vado a cacare (scusate, si dice meglio evacuare): la carta igienica a rotoli era privilegio dei benestanti!

Le donne non si lanciavano mai all’aperto per espletare i loro bisogni corporali. Li facevano in casa, come ho detto prima, e non usavano il giornale, bensì uno straccio appeso ad un chiodo dietro il vaso. Dopo la “pulizia” lo riappendevano per la successiva utilizzazione! (ózze! = puah!).

Naturalmente ogni volta si sceglieva un angolo dello straccetto non coperto dalle precedenti tracce di feci essiccate, e dopo qualche giorno il panno era tutto leopardato. Ecco, con un paragone poetico, la mappina cosparsa di cacca come il cielo pieno di stelle dell’indovinello!

Allora a Manfredonia il tifo – inteso come malattia – era endemico e nelle epoche precedenti la città era martoriata dal colera. Bisognerebbe spulciare nelle Relazioni annuali dell’Ufficiale Sanitario del Comune dal 1950 a ritroso.

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