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Uggiò!

Uggiò! inter. = Ehi, giovane!

Quando ci si rivolge a qualcuno che non si conosce, magari per chiedere un’informazione, specie se la persona interpellata non è avanti con gli anni, si usa questo simpatico vocativo bisillabo: uggiò, che poi sarebbe il troncamento di ‘u giòvene.

Se la persona è adulta si usa bellö‘, alla lettera “bell’uomo”, in italiano corretto “buonuomo” (ovviamente al femminile bèllafè’).

A volte assume toni minacciosi:
Uggiò, fatte ‘i cazze tüve! = Ehi tu, pensa agli affari tuoi!
Uggiò, vatte fé ‘na camenéte = Ma perché non vai a farti un giretto? In questo modo eviteresti di impicciarti in affari che non riguardano la tua persona, che così verrà salvaguardata da conseguenze spiacevoli.

Il sintetico invito veramente non è tradotto proprio alla lettera, ma il senso del discorso è proprio quello…

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Fìgghje de putténe

Fìgghje de putténe inter. = Figlio di puttana.

Definizione indispettita, improperio lanciato verso qlcu che ha agito male nei confronti del parlante o della comunità.

‘Nu fugghje de putténe ho menéte ‘ndèrre ‘u péle d’a lüce! = Un mascalzone ha atterrato un palo della illuminazione pubblica.

Questa invettiva, pronunciata con durezza, è un’offesa abbastanza grave,  ma in taluni casi ha assunto una connotazione diversa.
Può essere pronunciata scherzosamente, allora la frase quasi affettuosa e ammirativa per la scaltrezza e l’abilità dimostrata dal soggetto cui l’epiteto è diretto.

Infatti  questi figli di madre ignota, vissuti in ambiente degradato, dovevano imparare presto a diventare scaltri, dinamici, e abituarsi a lottare contro la crudezza che la vita presenta giorno per giorno.
Ovviamente erano avvantaggiati rispetto agli altri figli “normali”, perché sapevano affrontare e risolvere qualsiasi difficoltà si fosse presentata ai loro occhi.

Ormai l’epiteto “Figlio di puttana”è comune in tutte le lingue:

Ricordo che fu la prima frase che i Manfredoniani impararono dagli Americani, con cui erano in contatto durante l’occupazione Alleata nell’ultima guerra, fu, in un inglese maccheronico:

Sàreme-a-bbìcce, ossia Son of a bitch = Figlio di una cagna (qui intesa come prostituta, abbreviato in letteratura con sob).

Ovviamente noi monelli non sapevamo il significato della definizione, ma la ripetevamo a sproposito, solo perché aveva un bel suono.

Rammento anche di aver letto il noto labiale di Maradona: Hijo de puta!

Variante: Fìgghje de frechéta ‘ngüle, o fìgghje de zòcchele  (anche nella forma breve  fìdezòcchele).

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Allonghe da ‘gnüne

Allonghe da ‘gnüne int- = Salvo ognuno

Interiezione colloquiale, per augurare che la malignità o la cattiveria descritte debbano preservare  tutti, e rimanere circoscritte al solo episodio narrato..

Una specie di formula scaramantica per mostrare la propria estraneità all’evento negativo che si sta esponendo.

Un po’ come quando si manifesta che la propria parola (intesa come esposizione, narrazione) vada a danno dei poveri cani (←clicca).

Quindi allònga corrisponde a lungi, lontano, distante nello spazio o nel tempo.

 

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Allònga-süje!

Allonga-süje int. = Lontano sia! Salvognuno.

 

Corretta anche la versione longasüje.

Interiezione colloquiale, per manifestare all’interlocutore che l’evento negativo che si sta per descrivere, debba restare lontano da chi parla e da chi ascolta.

Sentite che bella definizione ho trovato in rete: “formula di scongiuro, con valore deprecativo, per esprimere timore, preoccupazione”

Quindi allònga corrisponde a lungi, lontano, distante nello spazio o nel tempo.

Altri allargano il concetto con allonghe da ‘gnüne = lungi da ognuno, salvognuno.

Scherzosamente si usa quando si parla del carattere burbero di qualcuno.

Se lu vöne a sapì pàtete, allonga süje! = Se, lontano sia, lo venisse a sapere tuo padre! (…sai che scenate farebbe!).

Nòneme, allonga süje, enjinde quand’jì = Mia nonna, salvognuno, (non si può descrivere) quant’è (severa)

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Tóppe-tóppe

Tóppe-tóppe inter. = toc-toc

È il suono onomatopeico che indica il bussare alla porta battendo le nocche delle dita piegate verso l’interno del palmo della mano. Se la “bussata” viene fatta familiarmente su una persona per richiamarne l’attenzione, si uniscono le cinque dita della mano contrapposte al pollice e si batte con le punte sulla sua spalla.

“Uhé, passe e nen me salüte?” = Ehi, passi e non mi saluti?

“Uhé, statte a sendì!” = Ehi, ascolta un po’!

Varia da dialetto a dialetto. I Napoletani dicono: Tuppe-tuppe,o tuppettù i Toscani tocche-tocche, ecc.

Mi viene a mente una canzoncina, un un po’ stupidotta, che imparai all’asilo; era ovviamente tutta in dialetto:

Tóppe-tóppe, chi jì alla porte?
Mariette o Giuliètte?
Stéche aspettanne da mèzz’orètte
in cammüse e in camicètte.

Sott’a l’arve d’i purtjalle
stöve ‘nu chéne ca faciöve: Bù bù!
Stöve ‘na jàtte ca faciöve: Gnà, gnà!
Mò ce l’è a düce a mamme e papà!

Può essere che i versi non siano proprio questi, o che quell’albero sia di castagne e non di arance… Ma, che volete, il ricordo è un po’ sbiadito e remoto, perché io, nonostante curi tuttora dentro di me il “fanciullino” pascoliano, ho lasciato l’asilo da molti decenni!

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Teh, fatije, teh!

Tèh, fatije, tèh! int. = Tiè, lavoro, tiè.

Viene pronunciata in modo un po’ innaturale, con la ‘i’ molto lunga come se si riportasse un dialetto diverso, invece del consueto fatüje.

Già l’esclamazione romanesca (passata poi all’italiano) tiè (tie’ = tieni, acchiappa, prendi) vuole esprimere maligna soddisfazione per qcs. di spiacevole capitato ad altri.

In questo caso è il lavoro che è stato schivato: A noi ce piace de magnà e béve e nun ce piace de lavorà: pòrtece n’antro litro che noi se lo bevemo…

Insomma un mazzangànne si è sottratto a un’incombenza gravosa, e lo dice rallegrandosi e facendo quel gestaccio dell’avambraccio frenato, come per dire: uhé, fatüje, t’agghje frechéte a tè = ehi, lavoro, ti ho fottuto!

Lo sciagurato non sa che il danno è solo suo. Rimarrà disoccupato in eterno, fintantoché saranno vivi i suoi genitori.

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Sacce!

Sacce! inter.= Boh, non lo so!

È un’interiezione che esprime indecisione, incertezza.

Quando proprio non si sa rispondere ad una qualsiasi domanda, il minimo che che possa dire è Sacce!

Qualche esempio:

Sàcce cche signìfeche ‘stu fatte! = Non so che cosa significa questo atteggiamento strano.

Se jéme de ‘stu passe, sacce add’jì ca jéme a fernèsce = Se continuiamo su questo andazzo, chissà dove andremo a finire!

Credo che  voglia sottintendere una frase completa, ma inespressa,  in una  estrema sintesi, come ad esempio:

E cchè ne sacce?. = che ne so io?
Nen sàcce njinde! = Non so nulla!
‘Stu fatte nen lu sacce = Questo fatto non mi è noto.

 

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Pucchéte

Pucchéte int. = Peccato!

Si usa per esprimere rincrescimento,commiserazione, rammarico, dispiacere, disappunto.

Sovente anche la locuzione Chippucchéte = Che peccato!

Anche sarcasticamente indirizzata a qlcn che vuol far credere di aver commesso una cazzata…ma in buona fede.

Ca je so pucchéte = Che io sono commiserevole, bisognoso di comprensione, di tolleranza, di scusanti, di compassione perché in condizioni di forte inferiorità (fisica o intellettuale).

Il termine “peccato”, quando non è usato in queste locuzioni, ma come sostantivo, si pronuncia pecchéte.
Tènghe ‘nu pecchéte all’àneme = Ho un peccato sulla coscienza anche in senso figurato, come per dire di aver giudicato male, di aver sospettato di qlcu che invece è incolpevole.

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Pih

Pìh int. = ecco che, e quindi, e allora, ecc.

È una interiezione abbastanza ricorrente nel linguaggio parlato. Alla lettera significa “prende”. Spesso è più completa: po-pìh o anche po-pìgghje o solo pìgghje e.

Non sappiamo bene che cosa si “prende”, forse si prende fiato prima di passare da un’azione all’altra, magari repentinamente.

Con qualche esempio spero di chiarire il concetto. Diciamo la verità, tutti abbiamo avuto questa specie di intercalare, almeno fino ad una certa età.
Credo che abbia, nel parlare, la funzione belante dell’anglosassone “Ehr”, come per prendere una piccola pausa per respirare e per riordinare le ideee prima di esprimerle.

Mèndre ca camenöve, pìh, e me sò truéte lunghe lunghe ‘ndèrre = Mentre camminavo, ecco che mi sono ritrovato lungo disteso per terra.

Mò ca ce piéce, po-pìh e lasse tutte cöse?= Proprio ora che comincia a piacerci (il racconto, l’azione, la prestazione, la descrizione, ecc.), ecco che abbandoni tutto (e ci lasci in sospeso)?.

C’jì stéte sèmbe cìtte… po-pìh c’jì javezéte, e, senza düce njinde, pìgghje e ce n’jì ne scappéte = Era rimasto a lungo taciturno, poi all’improvviso si alzò in piedi, e senza profferir parola, se la svignò rapidamente.

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Ózze

Ózze inter. = Puàh

Esprime disgusto, ribrezzo, ripugnanza, repulsione.

Ózze, quante fé škjife = Puah, quanto fai schifo!

Ózze, che fjite ca ce sènte! = Ah, quale insopportabile lezzo che si avverte!

Ózze, te mange i vulüve senza lavéte! = Che schifezza, ti mangi le olive senza averle lavate!

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