Tag: Locuzione idiomatica

Che facce ca tjine

Che facce ca tjine! loc.id. = Sfrontato!

Espressione che vuole contestare qlcu che mostrasi spudorato, arrogante, insolente, impertinente.

Che fàcce ca tjine! E mò che che vularrìsse fé angöre? = Che sfacciato che sei! Ed ora che vorresti fare ancora?

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Ceccjöne vècchje

Ceccjöne vècchje loc.id. = Bamboccione

Semplicione, adolescente che vuole fare i giochi fanciulleschi con i bimbi più piccoli.

La sua mole talvolta sicuramente lo avvantaggia, per esempio nella corsa. Allore quelli che intervengono a sedare le inevitabili dispute, gli dicono che lui è ceccjöne vècchje, ossia che non deve competere con gli altri che sono in condizioni di inferiorità.

La madre per dissuadere il suo bimbo dal frequentare un gruppo turbolento, gli dice: nen ce jènne, ca quìdde so’ tutte ceccjüne vjicchje = non andarci che quelli sono tutti grandi e grossi (rispetto a te, e perciò saresti a disagio con loro).

Notate il plurale: ceccjüne vjicchje

Lo stesso dicasi del bulletto che è forte con i deboli, ma debole con i forti. (Scusate questa Massima: mi è scappata, senza riflettere).

 

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Carnevéle chjüne de pàgghje

Carnevéle chjüne de pàgghje loc.id. = Carnevale pieno di paglia.

Epiteto offensivo che descrive qlcn che non è affidabile, che può definirsi con espressione italiana come pallone gonfiato o fantoccio inanimato, senza spina dorsale, inetto e senza personalità.   Con espressione napoletana, forse più efficace e calzante ‘omme ‘e mèrda

Insomma un soggetto da evitare.

La locuzione deriva dalla consuetudine manfredoniana di preparare per il periodo di carnevale un fantoccio riempiendo di paglia un paio di calzoni e altri indumenti in modo da dargli una sembianza di persona.

Il principe dei pupazzi impagliati è il famoso Ze Pèppe. Fintantoché è un pupazzo pieno di paglia possiamo anche divertirci a presentarlo come vogliamo. Se la definizione si riferisce ad una persona, la squalifichiamo evidenziando il suo comportamento in seno alla società.

Lassàtelu pèrde: códde jì ‘nu Carnevéle chjüne de pàgghje. = Lasciatelo perdere, costui è un pagliaccio (non ha serietà).

Ringrazio Manfredonia Ricordi (Matteo Borgia) per la splendida foto di Carnevéle pieno di paglia.

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Cangé l’acque ai vulüve

Cangé l’acque ai vulüve loc.id. = Cambiare l’acqua alle olive.

Nulla a che vedere con la salamoia (←clicca) che periodicamente si sostituisce alle olive da tavola, per eliminarne l’amaro naturale e renderle commestibili.

È un eufemismo per dire che si ha bisogno di fare pipì…

Al Nord non sanno nemmeno come si conciano le olive da tavola e perciò per loro la frase, alla lettera, sembra misteriosa.

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Camené la chjazze

Camené la chjazze loc.id. = Essere disoccupato

Alla lettera significa camminare per il corso, passeggiare, andare a spasso.

Purtroppo il significato reale è quello di trovarsi senza lavoro.

Fìgghjeme so’ tre jànne ca c’jì depluméte e ve angöre camenànne ‘a chjàzze = Mio filgio, da tre anni diplomato, non ha ancora trovato lavoro.

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Sfelé ‘a cröne

Sfelé ‘a cröne loc.id. =  Spazientirsi

Alla lettera la traduzione è;:Sfilare la corona

Questa locuzione significa spazientirsi ed elencare, enumerare, esporre in serie, come i grani del rosario, una sfilza di improperi, rimproveri, invettive, contestazioni verso qlcu, generalmente a voce alta.

Vüte quande mandènghe? Se me fé pèrde angöre ‘a pacjènze, mò accumènze a sfüle la cröne… = Vedi quanto mi trattengo? Se mi fa spazientire ulteriormente,  inizio ad elencargli una sfilza di improperi…

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Canté ‘u Calannàrje

Canté ‘u Calannàrje loc-id-. = Imprecare inveire

Ci sono due interpretazioni per due significati

Significato cattivo: Bestemmiare e imprecare contro tutti i Santi presenti nel Calendario. Assolutamente incivile.

Significato simpatico: Enumerare i misfatti e i difetti, veri e presunti, dell’interlocutore, magari taciuti a lungo per il quieto vivere. Ora Basta!
L’agghje cantéte ‘u calannarje Ce l’agghje dìtte quàtte ‘nde la fàcce!.

Di significato analogo: Sfelé ‘a cröne

e

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Caché au làrje

Caché au làrje loc.id. = Discostarsi, scacciare, espellere

Alla lettera significa: Defecare al largo.

Il simpatico Lino Brunetti, frequentatore di queste pagine mi ha mandato le sue spiegazioni di questa locuzione.

1) – Caché au làrje = Discostarsi.

È l’espressione letterale e sintetica che esprime un profondo concetto, frutto di conoscenza ed esperienza.

Se mentre ti fai il bagno sulla spiaggia ti colpisce una urgenza fisiologica immanente, ti consiglio di nuotare molto al largo, in maniera tale che il frutto dei tuoi sforzi fisiologici venga ghermito dalle correnti marine d’altura e trasportato ancora più lontano dalla riva.

In caso contrario, se invece ti accontenti semplicemente di allontanarti dalla folla dei bagnanti, quel frutto fisiologico che, come si sa, galleggia sempre, viene preso dalla risacca delle onde e, prima o poi, ti troverai a fare il bagno…. nella merda!

2) Caché au làrje = Scacciare, espellere, mandar via.

Usato metaforicamente, può essere l’invito pressante e perentorio che un sapiente rivolge a chi, marito o fidanzato, orienta le proprie attenzioni ad una vicina di casa o, peggio, ad una parente, tipo cognata o cugina che, come si dice, “ce frèchene in prime”.

‘U ggio’, prüma ca te succiöde quacche-cöse, va chéche au làrje, va! = Giovanotto, prima che ti ritrovi in barella, (ti consiglio di) girare al largo. Aria! Smammare!

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Caccé ‘u diàvele 

Caccé ‘u diàvele loc.id. = Esorcizzare

Non si tratta di fare un esorcismo vero e proprio.
Occorre fare un po’ di flash-back, ritornare indietro all’epoca preconciliare, per intenderci prima degli anni ’60.
Allora la Pasqua di Resurrezione veniva celebrata solennemente a mezzogiorno del sabato Santo in Cattedrale.

Al suono delle campane, che erano “legate” nel triduo Pasquale, cioè mute, si “scioglievano” suonando a distesa in tutte le chiese a mezzogiorno in punto.

Allora alcuni monelli, che pazientemente avevano preparato trenini di lattine vuote legati da una funicella, correvano per le strade del paese inseguiti da altri compagni armati di bastoni che colpivano la ferraglia con grande fracasso, gridi ed esortazioni: “vattì, vattìnne da quà” = vattene, vattene da quì. Era un rito liberatorio, era la cacciata del diavolo, una specie di purificazione.
La masnada talvolta terminava la corsa forsennata nel cortile del Palazzo episcopale, forse i attesa di una improbabile “benedizione” al termine di un rito paganeggiante.  Il Presule benevolmente a volte lanciava caramelle ai monelli.

Il Concilio Vaticano II ha riportato il rito di Pasqua a mezzanotte, come quello di Natale. Da allora non si sentono più per le vie le rumorose “cacciate”.

Qualcuno lo fa in privato, senza disturbare i vicini, in ossequio al regolamento condominiale… Non si sa mai, magari scaccia la jella!

Ringrazio Umberto Capurso per avermi fornito il bellissimo scatto di Matteo Losciale ripreso in Via Porto, la discesa che costeggia la Villa, subito dopo la Chiesa Stella.

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Caccé ‘i pjite 

Caccé ‘i pjite loc.id. = Mostrare i piedi

La locuzione si riferiva specificamente ad un momento della vita del neonato, diciamo verso i sei mesi, allorquando si cambiavano le abitudini tenute fin dalla nascita, quelle cioè di fasciarli dalle ascelle in giù.

Per secoli si sono imprigionate le povere creature, almeno fino al compimento del sesto mese (imbottiti con le culöre

= pannolini filtranti), avvolgendole come un turcenjille con una lunga fascia di cotone. Un paio di volte al giorno si doveva sfassé e ‘mbassé= sbendare e rifasciare al il pupo per la necessaria pulizia delle loro abbondanti deiezioni.

Finalmente dopo il periodo citato, si abbandonava questa usanza e si faceva indossare al marmocchio una vestina, anche nel caso dei maschietti. Ecco che si mostravano, comparivano i piedini fino a quel momento sempre coperti dall’orribile “sacco” composto dai pannetti e dalla fascia avvolgente.

Quindi quando una mamma diceva che “cacciava i piedi” del bambino, manifestava semplicemente il fatto che la sua creatura aveva già superato i sei mesi di vita.

Fortunatamente le fasce costrittive non si usano più. Credo che sia un bene. Ora si adoperano i costosi pannolini di cellulosa ‘usa e getta’ ed il neonato sgambetta senza alcuna costrizione fin dal primo momento di vita.

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