Tag: Locuzione idiomatica

Sfelé ‘a cröne

Sfelé ‘a cröne loc.id. =  Spazientirsi

Alla lettera la traduzione è;:Sfilare la corona

Questa locuzione significa spazientirsi ed elencare, enumerare, esporre in serie, come i grani del rosario, una sfilza di improperi, rimproveri, invettive, contestazioni verso qlcu, generalmente a voce alta.

Vüte quande mandènghe? Se me fé pèrde angöre ‘a pacjènze, mò accumènze a sfüle la cröne… = Vedi quanto mi trattengo? Se mi fa spazientire ulteriormente,  inizio ad elencargli una sfilza di improperi…

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Canté ‘u Calannàrje

Canté ‘u Calannàrje loc-id-. = Imprecare inveire

Ci sono due interpretazioni per due significati

Significato cattivo: Bestemmiare e imprecare contro tutti i Santi presenti nel Calendario. Assolutamente incivile.

Significato simpatico: Enumerare i misfatti e i difetti, veri e presunti, dell’interlocutore, magari taciuti a lungo per il quieto vivere. Ora Basta!
L’agghje cantéte ‘u calannarje Ce l’agghje dìtte quàtte ‘nde la fàcce!.

Di significato analogo: Sfelé ‘a cröne

e

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Caché au làrje

Caché au làrje loc.id. = Discostarsi, scacciare, espellere

Alla lettera significa: Defecare al largo.

Il simpatico Lino Brunetti, frequentatore di queste pagine mi ha mandato le sue spiegazioni di questa locuzione.

1) – Caché au làrje = Discostarsi.

È l’espressione letterale e sintetica che esprime un profondo concetto, frutto di conoscenza ed esperienza.

Se mentre ti fai il bagno sulla spiaggia ti colpisce una urgenza fisiologica immanente, ti consiglio di nuotare molto al largo, in maniera tale che il frutto dei tuoi sforzi fisiologici venga ghermito dalle correnti marine d’altura e trasportato ancora più lontano dalla riva.

In caso contrario, se invece ti accontenti semplicemente di allontanarti dalla folla dei bagnanti, quel frutto fisiologico che, come si sa, galleggia sempre, viene preso dalla risacca delle onde e, prima o poi, ti troverai a fare il bagno…. nella merda!

2) Caché au làrje = Scacciare, espellere, mandar via.

Usato metaforicamente, può essere l’invito pressante e perentorio che un sapiente rivolge a chi, marito o fidanzato, orienta le proprie attenzioni ad una vicina di casa o, peggio, ad una parente, tipo cognata o cugina che, come si dice, “ce frèchene in prime”.

‘U ggio’, prüma ca te succiöde quacche-cöse, va chéche au làrje, va! = Giovanotto, prima che ti ritrovi in barella, (ti consiglio di) girare al largo. Aria! Smammare!

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Caccé ‘u diàvele 

Caccé ‘u diàvele loc.id. = Esorcizzare

Non si tratta di fare un esorcismo vero e proprio.
Occorre fare un po’ di flash-back, ritornare indietro all’epoca preconciliare, per intenderci prima degli anni ’60.
Allora la Pasqua di Resurrezione veniva celebrata solennemente a mezzogiorno del sabato Santo in Cattedrale.

Al suono delle campane, che erano “legate” nel triduo Pasquale, cioè mute, si “scioglievano” suonando a distesa in tutte le chiese a mezzogiorno in punto.

Allora alcuni monelli, che pazientemente avevano preparato trenini di lattine vuote legati da una funicella, correvano per le strade del paese inseguiti da altri compagni armati di bastoni che colpivano la ferraglia con grande fracasso, gridi ed esortazioni: “vattì, vattìnne da quà” = vattene, vattene da quì. Era un rito liberatorio, era la cacciata del diavolo, una specie di purificazione.
La masnada talvolta terminava la corsa forsennata nel cortile del Palazzo episcopale, forse i attesa di una improbabile “benedizione” al termine di un rito paganeggiante.  Il Presule benevolmente a volte lanciava caramelle ai monelli.

Il Concilio Vaticano II ha riportato il rito di Pasqua a mezzanotte, come quello di Natale. Da allora non si sentono più per le vie le rumorose “cacciate”.

Qualcuno lo fa in privato, senza disturbare i vicini, in ossequio al regolamento condominiale… Non si sa mai, magari scaccia la jella!

Ringrazio Umberto Capurso per avermi fornito il bellissimo scatto di Matteo Losciale ripreso in Via Porto, la discesa che costeggia la Villa, subito dopo la Chiesa Stella.

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Caccé ‘i pjite 

Caccé ‘i pjite loc.id. = Mostrare i piedi

La locuzione si riferiva specificamente ad un momento della vita del neonato, diciamo verso i sei mesi, allorquando si cambiavano le abitudini tenute fin dalla nascita, quelle cioè di fasciarli dalle ascelle in giù.

Per secoli si sono imprigionate le povere creature, almeno fino al compimento del sesto mese (imbottiti con le culöre

= pannolini filtranti), avvolgendole come un turcenjille con una lunga fascia di cotone. Un paio di volte al giorno si doveva sfassé e ‘mbassé= sbendare e rifasciare al il pupo per la necessaria pulizia delle loro abbondanti deiezioni.

Finalmente dopo il periodo citato, si abbandonava questa usanza e si faceva indossare al marmocchio una vestina, anche nel caso dei maschietti. Ecco che si mostravano, comparivano i piedini fino a quel momento sempre coperti dall’orribile “sacco” composto dai pannetti e dalla fascia avvolgente.

Quindi quando una mamma diceva che “cacciava i piedi” del bambino, manifestava semplicemente il fatto che la sua creatura aveva già superato i sei mesi di vita.

Fortunatamente le fasce costrittive non si usano più. Credo che sia un bene. Ora si adoperano i costosi pannolini di cellulosa ‘usa e getta’ ed il neonato sgambetta senza alcuna costrizione fin dal primo momento di vita.

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Caccé ‘a lènghe

Caccé ‘a lènghe loc.id. = Diventare sfacciati e indisponenti.

Commento che constata una metamorfosi avvenuto in qlcu che era sempre taciturno, introverso. Improvvisamente costui trova da ridire, ciarliero e, inaspettatamente, molto polemico.

Ih, vüte a jìsse, ò caccéte ‘a lènghe mò = Toh, guarda lui, è diventato sfacciato adesso.

Può anche riferirsi a qlcu reticente, omertoso, che alla fine si decide a rivelare quello che è a sua conoscenza, magari valutando il vantaggio che potrebbe trarne.

Più semplicemente evidenzia il fatto che il bebé, dopo tanta lallazione, tipica nella fase di apprendimento del linguaggio, inizia da dire parole comprensibili, magari ripetute a lungo.

Infine, come atto materiale, significa proprio cacciare la lingua fuori dalla bocca per fare smorfie e boccacce.

Qualche altro significato può essermi sfuggito? A voi la replica!

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Cacàrece sòtte 

Cacàrece sòtte loc.id. = Cacarsi addosso.

La locuzione, oltre al significato letterale di imbrattarsi, (zellàrece), vale anche sbigottire, e gongolare.

1) Imbrattarsi le braghe per un’errata valutazione di un’emissione intestinale.

2) Gongolare, gioire intimamente per sé o per gli altri.
Quànne ho sapüte ca me sò pegghjéte ‘a Patènde de “Fuchìste”, pàteme stöve cachéte sòtte = Quando ha appreso che io avevo conseguito la Patente di Conduttore di macchine a vapore, mio padre gongolava dalla gioia.

Jì néte ‘a nepöte e la nònne sté tutta cachéte = È nata la nipotina, e la nonna è tutta gioiosa e orgogliosa.

3) Sbigottire, temere eccessivamente un evento, paventare il peggio, abbattersi facilmente davanti a difficoltà.

Škìtte ca pènze all’éséme me chéche sòtte! = Solo che penso agli esami mi assalgono i borborigmi nella pancia.

Lu Tenènde: feccàmece sòtto! E jìsse jì ‘u prüme a cacàrece sotte = Il Tenete (ordina): all’assalto! E lui è il primo a farsela adosso dalla paura.

È questo un canto popolare dialettale della Prima Guerra Mondiale: una marcetta tramandata fino agli anni della mia fanciullezza 1950.

Per curiosità, riporto i versi che ricordo:
Sò venüte da Montepelüse,
e sope ‘a catarre tenöve ‘u pertuse.
Lu Tenènde: feccàmece sòtte!
E jìsse jì ‘u prüme a cacàrece sotte.
Lu Sottetenènde pe ‘nu segröte,
l’esercete ‘annande ‘u cumanne da dröte!
E màmete pe criàze
porte sembe ‘a panze annanze.
E pàtete jì troppe ricche,
e töne a panze de ‘Ndröje Scialippe”

Traduzione: Sono venuto da Montepeloso (Montebilioso e attualmente Irsina) e sopra la chitarra avevo la buca. Il Tenete (ordina): all’assalto! E lui è il primo a farsela adosso dalla paura. In Sottotenente con un segreto, l’esercito avanza e lui lo comanda da dietro! E tua madre, per educazione, è sempre incinta. E tuo padre ha la pancia di Andrea “Scialippo”. Evidentemente costui aveva un bel panzone, ritenuto all’epoca segno di floridezza economica. Scusate la divagazione.

 

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Camöre ca

 Camöre ca loc.id. = Poiché, siccome, dal momento che,da quando

È un’espressione tipica del nostro dialetto, un po’ desueta, a causa della scuola dell’obbligo che ha elevato il grado culturale dei giovani a detrimento del dialetto.

Scusate il termine ‘detrimento’ ma mi è scappato, dovevo dire ‘a danno’.

Camöre ca andava pronunciata sempre all’inizio di una frase, che si concludeva con considerazioni generalmente di lamentela, di brontolamento, di rimostranza.

Camöre ca jì ‘u grùsse, jéve sèmbe ‘a mègghja parte! = Siccome è il primogenito, quando la mamma prepara i piatti, lui riceve sempre la porzione maggiore, e invece io debbo accontentarmi ogni volta di un quantitativo minore.

La traduzione non è proprio letterale: sapete che il dialetto ha una capacità di sintesi eccezionale che gli consente di dire molto con poche parole…

Sto lambiccandomi invano il cervello per cercare l’origine di questa espressione. Traducendo alla lettera non vengo a capo di nulla, perché “con amore che” non ha alcun significato plausibile.

Qualcuno può aiutarmi? Si potrebbe completare degnamente questo articolo.

P.S. Vi invito a leggere qui sotto l’interessante commento del prof. Michele Ciliberti, sempre pronto a dare il suo graditissimo contributo per migliorare e rendere godibile questo mio lavoro.
Grazie Prof. !

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Bùne-crestjéne

Bùne-crestjéne loc.id. = Buono uomo, signore

Alla lettera significa buon cristiano, ma ho detto già che crestjéne da noi significa ‘persona, individuo, soggetto’, non ‘seguace del Cristianesimo’.

Giuànne jì ‘nu bùne-crestjéne = Giovanni è un buon diavolo, una brava persona,

Si fa riferimento al fatto che è una persona onesta, incapace di azioni disoneste.

Bùne-crestjéne, pronunciato con un certo tono sommesso, ha valore esortativo:

Sjinde a me, bùne-crestjéne, vattìnne a càste ca quà nen ce sté njinde = Dammi retta, signore, vattene a casa tua, perché qui non c’è niente (che possa interessarti e se permani qui la tua presenza può scatenare reazioni disordinate).

Meh, bùne-crestjéne, fàcce passé da quà! = Suvvia, buon uomo, ci lasci attraversare il suo campo!

Può essere detto anche in tono minaccioso:

Uhé, bun-crestjéne, se vù i chelómbre accattatìlle, e no ca li sté cugghjènne ‘mbàcce a l’àreve nustre! = Ehi, amico, se vuoi i fichi fioroni va a comperarteli, e non raccoglierli dagli alberi di nostra proprietà!

È chiaro che questo è un esempio linguistico. Non so se nella realtà, uno che vede che gli stanno rubando i fichi possa avere la garbatezza di pronunciare quella frase o si presenta direttamente con un randello…..

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Alla bórje 

Alla bórje loc.id. = Per finta

Sarebbe come dire: per burla, per scherzo, per gioco, come presa in giro.

Traduzione letterale: alla [maniera di una] burla.

Tipico nella frase: Ma, veramènde? No, alla bórje =  Ma per davvero? No,  per scherzo.

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