Tag: Locuzione idiomatica

Passé ‘a revìste

Passé ‘a revìste loc.id. = Perquisire

Alla lettera significa “passare la rivista” ma non nel senso di porgere un “magazine”, un rotocalco…

Si avvicina di più – per assonanza – a rovistare, frugare. Questi due verbi si riferiscono all’ispezione condotta su oggetti o in ambienti (bauli, scantinati, soffitte, campi, armadi, ecc.)

Specificamente passé ‘a revìste significa perquisire, cioè ricercare sulla singola persona oggetti indesiderati (armi, droga, lame, esplosivi o altro) prima di ammettere l’ingresso in luoghi sicuri.

L’ho sperimentato al “servizio di sicurezza” dell’Aeroporto di Palese:  al mio passaggio si è acceso l’allarme del metal detector perché distrattamente non avevo cavato le bretelle. Subito un Agente (armato) mi ha invitato a seguirlo e in un altro vano mi ha passéte ‘a revìste, palpeggiandomi dappertutto….
Assicuratosi che non ero un terrorista, perché senza le bretelle addosso il metal detector non dava alcun segnale, mi ha permesso l’ingresso al gate.

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Nen decènne njinde

Nen decènne njinde loc.id. = scusami, perdonami, non criticarmi,

Questa simpatica locuzione alla lettera significa “non dire niente”. Se si rivolgesse a più persone ovviamente si coniugherebbe al plurale. nen deciüte njinde = non dite niente.  Ma non significa “taci”, o “tacete”….

Si pronuncia quando si chiede sfacciatamente, quasi estorcendone il consenso, rivolgendosi all’interlocutore, per scusarsi del proprio atteggiamento, delle proprie azioni o delle proprie opinioni.

Meh, nen decènne njinde, ca mò me lu pìgghje n’atu scavetatjille = Ebbene, scusami, ma adesso me lo prendo un altro biscotto al finocchietto.

Giuà, nen decènne njinde, coddu lìbbre te lu porte a setteméne entrande = Giovanni, abbi pazienza, quel libro te lo porterò la settimana prossima.

Nen deciüte njinde ma pe mmè ‘u mègghje Presedènde jì stéte Pertini = Non biasimatemi, ma secondo me il miglior Presidente è stato Pertini.

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Luàrece ‘nu peröne da söpe ‘u stòmeche

Luàrece ‘nu peröne da söpe ‘u stòmeche loc.id. = Togliersi un peso dallo stomaco.

Traduzione letterale: togliersi una prugna da sopra lo stomaco.

Erompere e liberarsi di un impulso, un sentimento, uno stato d’animo a lungo represso o taciuto.

Uno stato di stress, di eccessivo self control, induce a reprimere le proprie reazioni, specie di fronte a palesi ingiustizie e sopraffazioni. Poi arriva il momento di sbottare: quanno ce vò, ce vò dicono i Romani!

Perché proprio il peröne = la prugna rappresenta (figuratamente) il peso sullo stomaco?

Quando si trangugia per voracità un boccone extra large, si avverte una sgradevole sensazione di gonfiore in mezzo all’esofago, come se si avesse ingoiato una prugna, questa la sua grossezza,  che non va giù, né tende a risalire. Non so se esiste un corrispondente in lingua, Noi diciamo che si resta ndumachéte. Una sensazione spiacevole che si cerca di sbloccare al più presto.

Ugualmente i giudizi negativi verso atti o persone,  costretti a restare nel proprio intimo per quieto vivere, spirito di tolleranza, pacifica sopportazione, ecc.. prima o poi diventano insostenibili. E allora bisogna liberarsi del tremendo peröne.

Spesso basta un semplice, salutare e terapeutico ma vaffa

 

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Nen putì vedì

Nen putì vedì loc. id. = Esecrare, disdegnare, odiare

Un’espressione ricorrente nel linguaggio di ogni giorno.  Alla lettera significa “non poter vedere”, ossia è detestabile, odioso, fastidioso ai miei occhi.

Essere contrariati dall’atteggiamento di una persona, dal malfunzionamento di un attrezzo o di un’apparecchiatura, dal persistere di avversità atmosferiche o di altro genere.

Quante nen pozze vedì ca ogni jurne ce mètte a chjöve = Quanto detesto (il fatto) che ogni giorno si mette a piovere.

Nesciüne pöte vedì a códdu sbafandüse = Nessuno può sopportare quell’arrogante.

Nen pozze vedì quanne ‘stu cazze d’ascenzöre ce blocche, e succiöde sèmbe de dumèneche = Odio quando quest’accidente di ascensore si blocca, e succede sempre di domenica!

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Ammazzé i frajùle

Ammazzé i frajùle loc.id.= Cessare il lavoro

Ammazzé significa fare un mazzo, stringere insieme, fare un fascio. Mentre frajùle è un termine generico e può significare:  attrezzi dotati di manico (pala, zappa, rastrello, ecc.).

Quindi questa locuzione indica il termine del lavoro, o perché è finita la giornata, o perché si è ultimata l’opera. Ordinare gli attrezzi (zappa, rastrello, vanga, ecc.) in modo che siano pronti per il successivo utilizzo.

Meh, ammazzéme ‘i frajùle e jémecìnne = Beh, chiudiamo tutto e andiamocene.

Esiste anche una locuzione che indica la stessa operazione: 
Arrezzeljè i fjirre
= Ordinare, rassettare, ricollocarli nella propria sede dopo l’utilizzo, gli arnesi del mestiere (lima, sega, martello, cacciavite, punte di trapano, forbici, ferro da stiro, trincetto, pettini, ecc. a seconda dell’attività svolta).

Il maestro artigiano, per i ferri del mestiere, raccomandava: “un posto per ogni cosa,e ogni cosa al suo posto”.

Ringrazio l’amico Michele Castriotta per avermi suggerito la stesura di questo articolo.

 

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Acchessüne-accuddéne 

Acchessüne-accuddéne loc.id. =  Per filo e per segno, questo e quello, così e cosà, bla bla. Discorso abbozzato.

Si usa questa locuzione quando si vuol riferire ad un interlocutore ciò che un terzo personaggio assente aveva già affermato in precedenza, presumendo che colui che ascolta già conosca l’argomento esposto da quello. Ciò  evita di ripetere  testualmente o il succo del discorso sottaciuto.

Mamma mia, che spiegazione contorta! Avrò forse confuso i miei lettori?

Qualche esempio, spero, chiarirà tutto.

Jì venüte Giuànne, acchessüne-accuddéne, ce volöve cunvìnge = È arrivato Giovanni, e bla bla bla pretendeva di convincerci.

Agghje ‘ngundréte a Sepònde e, acchessüne-accuddéne, m’ò ditte tutte cose = Ho incontrato Sipontina  e, così-così-così, mi ha raccontato tutto.

Mattöje, ho dìtte ca nen putöve venì, ca nen tenöve a màchene, acchessüne-accuddéne, quanda scüse… = Matteo ha detto che non poteva venire, non aveva la macchina, così, colà,  quante scuse.…

Questo Matteo non aveva voglia di partecipare ed ha trovato mille scuse per non venire. Lo avevano capito tutti!

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Accatté a credènze

Accatté a credènze loc.id. = Comprare a credito, indebitarsi

Comprare merci con pagamento differito, non contestuale all’acquisto.
Il che avviene solo se il venditore “crede” nella solidità economica e nella solvibilità dell’acquirente.
Il che è normale nelle transazioni commerciali tra fornitori e concessionari grossisti. Difatti il pagamento in questi casi  avviene generalmente dopa 60 giorni dall’emissione della fattura.

Una volta si comprava “a credènze” il corredo per la figlia (a tànd’u möse = a tanto al mese, a rate mensili), e soprattutto la spesa alimentare quotidiana.

Il bottegaio segnava su un quadernetto (‘a lebbrètte) suo e su quello della massaia, uguale, la spesa fatta giornalmente. Mezzo chilo di pane, una “mezza misura” di olio, 10 lire di concentrato di pomodoro, due “quinti” di canaruzzètte (tubettini), un “quinto” di zucchero, “mezzo quinto” di formaggio.. Tutto era venduto sfuso, alla minuta.

Ogni mese la brava massaia saldava i conti. Talvolta chiedeva di differire la scadenza: “..’u sé, marìteme sté maléte…” = lo sai, mio marito è ammalato…
Ovviamente parlo di quando non esisteva la Cassa integrazione né altre forme previdenziali.
Se il capo famiglia non lavorava, in casa c’era da fare davvero la fame. In compenso c’era un fortissimo senso di solidarietà da parte del vicinato.

Adesso con l’avvento della grande distribuzione, nei Supermercati si compra solo cash, perché le condizioni economiche generali sono decisamente migliorate.

Attenzione:
‘u lebrètte =  al maschile significa un piccolo libro, un’agenda, un manuale, il deposito postale a risparmio.

‘a lebbrètte = al femminile una specie di carta di credito. Era un normale quaderno a quadretti con copertina nera,  per uso specifico da parte dei venditori di generi alimentari, su cui si segnavano le vendite a credito da saldare periodicamente.

a credènze significa “a credito”. Invece il sostantivo italiano “credenza”, praticamente uguale, designa un mobile da cucina con sportelli e alzata, oppure un convincimento di fatti non provati, una leggenda.

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Accarré ‘nnanze pjite

Accarré ‘nnanze pjite loc.id. = Travolgere

Il verbo accarré proviene dal linguaggio degli allevatori, che indicavano l’adunarsi delle mandrie e delle greggi, e poi farsele camminare davanti negli spostamenti da un pascolo all’altro.

Ricalca il verbo spagnolo accarrarse che significa: radunare. I muratori l’intendono come ammucchiare il materiale prima di usarlo in edilizia.

Per linguaggio figurato l’avanzare di una moltitudine di bestie viene trasferito ad altre azioni inarrestabili. Come, ad esempio, un fiume in piena che trascina tutto con sé.

Quel ‘nanze pjite mi fa immaginare egli ostacoli che vengono travolti perché si trovano “davanti ai piedi”, sul cammino di chi avanza, prorompe inarrestabilmente.

L’avverbio nnanze (o anche ‘nnande) è una contrazione di annànze o annànde = innanzi, avanti, dinanzi

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Abbutté ‘u mósse

Abbutté ‘u mósse loc.id. = Gonfiare il muso (altrui)

Gonfiare il muso, colpire la faccia di qlcu, colpendolo sulle labbra in modo che diventino tumefatte.

I più fantasiosi, nel minacciare qlcu, gli promettono: t’agghja abbutté ‘u mósse accüme ‘u pecciöne d’a jummènde = ti concerò le labbra grosse e gonfie quanto la vulva una giumenta.

Peggio delle labbra siliconate della Marini!

Con minaccia solo verbale, mai messa in atto, questa frase veniva molto spesso detta dalle mamme, se il figlio usava termini sboccati e scurrili. Era un deterrente a scopo educativo.

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Abbùne-abbùne

Abbùne-abbùne loc.idiom. = Senza aspettarselo,

Si dice questa locuzione quando qlcu inaspettatamente si intromette nei nostri affari, e magari ne distoglie il fine, o devia l’attenzione, o rimprovera, percuote, urla, ecc.

Stöve tanda-bèlle camenànne: abbune-abbune c’jì avvecenéte ‘na maskere e m’ho ‘nghiute di curiànde = Stavo tranquillamente passeggiando quando si improvvisamente si è avvicinato qlcu mascherato e mi ha riempito di coriandoli.

Abbune-abbune so’ cadute ‘ndèrre. = Senza che me l’aspettassi sono caduto per terra.

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