Tag: Locuzione idiomatica

Rumanì tra vèspre e mezzjurne

Rumanì tra vèspre e mezzjurne loc.id. = Restare fra il Vespro e il Mezzogiorno

Da tempi immemorabili gli ecclesiastici scandiscono la loro giornata col preghiere secondo le cosiddette Ore Canoniche (Mattutino, Lodi, Vespri, Compieta).
Il Vespro, linguisticamente, significa sera.

Insomma dal vespro al mezzogiorno successivo intercorre un lasso di tempo molto lungo, immagino noioso o carico di tensione.

La locuzione descrive figuratamente uno stato di disagio, di incertezza, di titubanza nel prendere una decisione importante, temendo di sbagliare.

Ringrazio Umberto Capurso por il suo suggerimento, che mi ha permesso la stesura di questo articolo.

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Che bell’ùcchje tjine ‘mbacce

Ecco la locuzione idiomatica completa:
Nen lu pùte dïce manghe: « che bell’ùcchje  tjine ‘mbacce!» = Non gli posso dire nemmeno: che begli occhi e hai in viso!

È la definizione di un soggetto irritabile o permaloso.

Qualsiasi apprezzamento viene recepito da questo soggetto con sospetto. Oppure reagisce con veemenza, in modo sproporzionato, a qualsiasi critica o consiglio.
Cì’, cì’, nen te pozze düce manghe “che bell’ucchje ca tjine ‘mbacce!” = Zitto, smettila, non è il caso di inveirmi contro solo per aver espresso un mio parere sul tuo discutibile comportamento.

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Vatte lu frjiche!

Vatte lu frjiche! loc.id. = Vattelapesca

Somiglia, come costruzione verbale,  a quello che la inesauribile Enciclopedia Treccani spiega sulla locuzione  vattelappésca, cioè :
«[da vàttelo (imperat. di andare, rafforzato dalle particelle ti e loa pesca (pop. per «a pescare»)]. – Propr., «va’ a trovarlo, a indovinarlo; va’ a saperlo.»
Come dire chissà dov’è finito!

Nel nostro caso, alla lettera, caso corrisponde “vattelo a frecare”, nel senso che è ormai impossibile acchiappare, catturare, bloccare un ipotetico fuggitivo, scappato via fulmineamente di fronte alla prima avvisaglia di pericolo.

Ad esempio un gattino che sfugge al tuo tentativo di presa. O un monello che ha compiuto una birichinata e teme la tua reazione o la tua minaccia.

Nota fonetica:
Vatte lu frjiche!
si pronuncia tutto d’un fiato appoggiando e prolungando l’accento tonico sulla penultima sillaba. come fosse scritto vattelufriiiiche! (ascolta cliccando sul triangolino bianco qui sotto).

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Botte carröre (a)

A bòtte carröre loc.id. = Velocemente

La lingua italiana in questo senso è ricca di locuzioni similari:

-di gran carriera,
-precipitosamente,
-a gambe levate,
-in tutta fretta,
-celermente,
-frettolosamente
-rapidamente,
-a rompicollo
-a precipizio
-di corsa,
-a tutta birra,
-repentinamente,
-a spron battuto,
-a briglia sciolta, ecc.

Stèmme tanda belle nanz’a chése, quànne, tutte ‘na vòlte, jì’rrevéte Giuànne a botte carröre = Stavamo tanto bene davanti casa, quando, ad un tratto, è arrivato Giovanni di gran carriera.

Stèmme ‘ncambagne e au prüme trùne, ce ne süme scappéte a botte carröre… = Eravamo all’aperto, e al primo tuono ce ne siamo scappati di gran carriera (verso un riparo).

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Pegghjàrece velöne

Pegghjiàrece velöne loc.id. = Crucciarsi, affliggersi

Alla lettera Pegghjiàrece velöne si tradurrebbe “prendersi del veleno”. Si può dire pegghiàrece ‘na velenéte = prendersi una avvelenata.

Da noi velöne non significa solo veleno, ma anche cruccio, indignazione, afflizione.

Sdegnarsi, irritarsi per un evento o una circostanza sfavorevole.

A sente tanta zingramjinte me so pegghjéte ‘na velenéte = Nel sentire tante falsità mi sono molto amareggiato.
Meh, nen facènne pegghjé velöne a màmete = Beh, non fare amareggiare tua madre.
Quanne sente parlé de pulìteche me pìgghje ‘nu sacche de velöne = Quando sento parlare di politica mi assale una grossa indignazione.
Nen te pegghjànne velöne, ca nen jì njinte = Non ti affliggere, ché non è niente di grave..

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Accucchjé ‘a settande

Accucchjé ‘a settande loc.id. = Fare primiera, raggiungere un eccellente risultato.

La locuzione traspone, nel linguaggio figurato, un elemento del punteggio nel gioco popolare chiamato “Scopa”

La Scopa, al termine di ogni mano, prevede il raggiungimento di quattro punti, che possono essere divisi o patteggiati, secondo l’andamento della partita, tra i due giocatori (quattro se si gioca in coppia).

Si conteggia un punto per ciascuna delle seguenti voci:

– Carte-a-llonghe = Carte, numero di carte raccolte da ciascun giocatore. Si conteggia il numero maggiore di carte raccolte da ciascun giocatore durante la manche; sul mazzo di 40 carte napoletane, vince chi ne ha almeno ventuno.
 Carte-a-ddenére = Denari, numero di carte con seme di “denari”. Si conteggia il numero maggiore di carte “denari” raccolte da ciascun giocatore durante la manche;vince chi ne ha almeno sei.
 Sètte barjille = Settebello, Il punto va al giocatore che ha raccolto il sette di denari nel corso della mano; il settebello è chiamato – chissà perché – anche Sètte Gerjille, diminutivo di Ciro
– Settande = Primiera o Settanta. Quattro carte dello stesso seme con valore decrescente che si raffrontano con le quattro di altro seme in mano all’antagonista.

Ecco Wikipedia che mi facilita la descrizione della Settande:

Il termine “Primiera”, che deriva dal francese prime, significa letteralmente “premio”.
Il suo utilizzo italiano nell’ambito di alcuni giochi di carte è relativo proprio al suo etimo: chi riesce ad ottenere una certa combinazione con le carte riceve un premio che, nella maggior parte dei casi, equivale ad un punto.
Nome alternativo della Primiera è “Settanta” nel caso in cui si entra in possesso di tutti e quattro i 7 (Denari, Coppe, Bastoni, Spade).

Conclusione: accucchjé ‘a settànde vale guadagnare un premio, raggiungere un risultato eccezionale.

Scherzosamente si pronuncia quando si raggiunge un bel numero di amici, magari inaspettati, allegri o musoni non fa differenza, come per dire: “ti aspettavamo, mancavi solo tu!”.

 

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Quann’jüne düce

Quann’jüne düce... loc id. = Chi l’avrebbe mai detto?

Alla lettera significa “quando uno/qualcuno dice..”
Ossia quando qualcuno prevede una cosa e poi magari accade il contrario.

Un’espressione quasi di incredulità per manifestare l’evolversi positivamente di una situazione, di una circostanza che stava prendendo una piega sfavorevole.

Ovviamente si declama a posteriori, per constatare l’insperato colpo di culo (scusate il francesismo, ma mi pare appropriato).

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Passé ‘a revìste

Passé ‘a revìste loc.id. = Perquisire

Alla lettera significa “passare la rivista” ma non nel senso di porgere un “magazine”, un rotocalco…

Si avvicina di più – per assonanza – a rovistare, frugare. Questi due verbi si riferiscono all’ispezione condotta su oggetti o in ambienti (bauli, scantinati, soffitte, campi, armadi, ecc.)

Specificamente passé ‘a revìste significa perquisire, cioè ricercare sulla singola persona oggetti indesiderati (armi, droga, lame, esplosivi o altro) prima di ammettere l’ingresso in luoghi sicuri.

L’ho sperimentato al “servizio di sicurezza” dell’Aeroporto di Palese:  al mio passaggio si è acceso l’allarme del metal detector perché distrattamente non avevo cavato le bretelle. Subito un Agente (armato) mi ha invitato a seguirlo e in un altro vano mi ha passéte ‘a revìste, palpeggiandomi dappertutto….
Assicuratosi che non ero un terrorista, perché senza le bretelle addosso il metal detector non dava alcun segnale, mi ha permesso l’ingresso al gate.

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Nen decènne njinde

Nen decènne njinde loc.id. = scusami, perdonami, non criticarmi,

Questa simpatica locuzione alla lettera significa “non dire niente”. Se si rivolgesse a più persone ovviamente si coniugherebbe al plurale. nen deciüte njinde = non dite niente.  Ma non significa “taci”, o “tacete”….

Si pronuncia quando si chiede sfacciatamente, quasi estorcendone il consenso, rivolgendosi all’interlocutore, per scusarsi del proprio atteggiamento, delle proprie azioni o delle proprie opinioni.

Meh, nen decènne njinde, ca mò me lu pìgghje n’atu scavetatjille = Ebbene, scusami, ma adesso me lo prendo un altro biscotto al finocchietto.

Giuà, nen decènne njinde, coddu lìbbre te lu porte a setteméne entrande = Giovanni, abbi pazienza, quel libro te lo porterò la settimana prossima.

Nen deciüte njinde ma pe mmè ‘u mègghje Presedènde jì stéte Pertini = Non biasimatemi, ma secondo me il miglior Presidente è stato Pertini.

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Luàrece ‘nu peröne da söpe ‘u stòmeche

Luàrece ‘nu peröne da söpe ‘u stòmeche loc.id. = Togliersi un peso dallo stomaco.

Traduzione letterale: togliersi una prugna da sopra lo stomaco.

Erompere e liberarsi di un impulso, un sentimento, uno stato d’animo a lungo represso o taciuto.

Uno stato di stress, di eccessivo self control, induce a reprimere le proprie reazioni, specie di fronte a palesi ingiustizie e sopraffazioni. Poi arriva il momento di sbottare: quanno ce vò, ce vò dicono i Romani!

Perché proprio il peröne = la prugna rappresenta (figuratamente) il peso sullo stomaco?

Quando si trangugia per voracità un boccone extra large, si avverte una sgradevole sensazione di gonfiore in mezzo all’esofago, come se si avesse ingoiato una prugna, questa la sua grossezza,  che non va giù, né tende a risalire. Non so se esiste un corrispondente in lingua, Noi diciamo che si resta ndumachéte. Una sensazione spiacevole che si cerca di sbloccare al più presto.

Ugualmente i giudizi negativi verso atti o persone,  costretti a restare nel proprio intimo per quieto vivere, spirito di tolleranza, pacifica sopportazione, ecc.. prima o poi diventano insostenibili. E allora bisogna liberarsi del tremendo peröne.

Spesso basta un semplice, salutare e terapeutico ma vaffa

 

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