Tag: sostantivo femminile

Stambéte

Stambéte s.f. = Pedata

Calcio, colpo inferto col piede.

Si presume che ci sia anche la rincorsa perché stambéte è molto più di un calcione.

Quando mia moglie si lamentò col medico di famiglia per il mio insopportabile russamento, ebbe un consiglio fraterno: “E škàffele ‘na stambéte”! = Mollagli una pedata (quando siete nel letto)

Quindi per le pedate non si usa il verbo  = dare, rifilare, mollare, assestare, bensì škaffé.

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Stajèlle

Stajèlle s.f. = Regolo o staggia

Il sostantivo stajèlle si rifà alla definizione più antica di ‘staggia’ resa al diminutivo. Il termine staggia deriva dal lat. stadium nel senso di misura di lunghezza.

I nostri nonni dicevano stascèdde, o con altro termine più tecnico rijèlle. Ora li fanno di alluminio.

I Tecnici dell’edilizia usano il nome ‘regolo’ quale sinonimo di ‘staggia’, che ormai è usato raramente.

Ecco la definizione dell’Enciclopedia Treccani: “Regolo – Asticciola di legno, di metallo o di materiale plastico, a sezione quadrata o rettangolare, che si usa per tirare linee diritte. Attrezzo di legno di analoga forma con cui il muratore verifica l’allineamento dei muri durante la costruzione, o la spianatura dell’intonaco”.

Al maschile (‘u stajùle) indica un’asta di legno, e sezione tondeggiante adoperato in innumerevoli applicazioni. Ad es. per sostenere le piante, in coppia per costruire le sedie e gli schienali, le parti verticali delle scale in cui vengono fissati i pioli, ecc. ecc.

A noi Manfredoniani ‘u stajùle fa venire in mente un bel bastone, non quello che sostiene i passi delle persone anziane, ma un paletto cilindrico e maneggevole per freché de mazzéte (riempire di botte) qlcn o per difendersi da esso: comunque è un’arma impropria, perché micidiale.

In tempi ormai passati i giovincelli andavano a scuola di “bastone” o a quella di “coltello” – così come ora si va alla scuola di ballo, di karate o in palestra – per saper usare eventualmente uno o l’altro per difesa e magari per offesa.

Scherzosamente si sottolinea una persona dalle gambe lunghe: töne döje stajèlle = ha due pertiche

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Stagnöre

Stagnöre s.f. = Secchio di latta

Recipiente di riciclo, ottenuto da grossi contenitori di latta che racchiudevano in origine prodotti alimentari o usati per tinteggiare.

Ad esempio quelli quadrangolari che contenevano 5 kg di olive in salamoia, o quelli da 25 litri di olio o quelli da 30 litri di tintura murale. Opportunamente adattati, servivano per mettere i fichidindia in bagno per facilitare la caduta delle spinelle, o per raccogliere i pomodori dal campo, ecc….

Anche questo termine deriva da stagno, sinonimo dialettale di latta, e stagnino.

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Staggiöne

Staggiöne s.m. e s.f. = Stagione

1) Staggiöne s.m. = Tempo della mietitura.

Proprio se si vuole specificare, parlando ai non addetti ai lavori agricoli, si dice ‘u staggiöne de l’arje, al maschile;

2) Staggiöne s.f. = Stagione estiva. La bella stagione.

I ragazzi moderni dicono con un termine italianeggiante “l’estéte”…puah!
Ma jì tànda bèlle a düce ‘a staggiöne!

‘Sta staggiöne me ne véche a Sammarchìcchje, au frìške! = Quest’estate me ne andrò a Borgo Celano, al fresco!

Me pére mill’anne ca vöne ‘a staggiöne = Non vedo l’ora che venga l’estate

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Squìcce

Squìcce s.f., s.m.= Goccia, schizzo, rinzaffo.

Minuscola quantità di liquidi vari. Le gocce ad uso terapeutico si chiamano come in italiano.

Credo che derivi da schizzo, nel senso di spruzzo, spruzzata, macchia, chiazza, e quindi dal verbo squiccié = schizzare.

Ad esempio la pioggia, battendo contro un vetro, lascia attaccate tante squìcce= goccioline sulla sua superficie.

‘U lastre sté chjüne de squìcce/sté squicciéte = Il vetro è pieno di goccioline/è schizzato.

È più chiaro l’esempio di un’automobile che passa sopra una pozzanghera e si riempie di squìcce = schizzi di fango, in italiano specificamente diconsi zàcchere (sté squicciéte = è inzaccherata)

Altro esempio: nel tinteggiare una parete, inevitabilmente cadono sul pavimento delle squicce di pittura.

Un ulteriore esempio di squìcce: le goccioline che, dopo l’uso, restano attaccate sulle pareti del box doccia.

Non voglio essere truculento portando ad esempio gli schizzi di sangue…

Invece mi piace presentare l’immagine delle goccioline di caffè che si spandono sulla superficie della cucina quando si alza il coperchio della moka per vedere se la bevanda è completamente uscita. Ogni volta che lo faccio io, mia moglie dice che devo farmi i fatti miei!

Che ci posso fare? Non è vero che la curiosità è femmina!

Mi è venuto a mente proprio ora che lo stesso termine, volto al maschile, ha un altro significato.

Difatti ‘u squìcce è il rinzaffo e/o l’arriccio, un termine prettamente tecnico usato in edilizia.

Mené ‘u squìcce indica un’operazione del muratore che prepara una parete liscia ad accogliere l’intonaco per favorire l’adesione della malta in verticale. È una miscela di cemento e sabbione piuttosto plastica, che con la cazzuola viene con forza sbattuta alla parete da intonacare. Insomma una prima mano che, una volta rappresa dopo qualche ora, rende il muro rugoso, un vero e proprio scheletro sul quale la seconda mano di malta trova appiglio più facilmente e migliora la sua durata.

I muratori, se non ho ricordato bene il termine tecnico, sono pregati di correggermi.

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Sputàzze

Sputàzze s.f. = Sputo

Saliva che si espelle dalla bocca, spesso unito ad altri escreti dell’apparato respiratorio.

Quando qlc oggetto non è solido si usa dire sté appezzechéte p’a sputazze = Sta incollato con lo sputo. Notoriamente lo stputo non ha alcuna proprietà coesiva.

Si dice anche sputàcchje s.f.

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Sputacchjéte

Sputacchjéte s.f. = Sputo

“Proiettile” lanciato nella volgarissima azione di sputare la saliva in segno di disprezzo verso qlcu.

Anche lo scaracchio buttato stomachevolmente per terra dalle persone affetti da bronchite cronica (puah!).

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Spunzéle

Spunzéle s.f. = Cipollotto

Si tratta del giovane turione della cipolla, all’inizio della crescita, quando il bulbo è ancora di forma cilindrica e non ha ancora cominciato ad assumere la classica forma tondeggiante come il cipollotto nocerino.

Ha aspetto bicolore: la parte interrata, commestibile, è bianca, mentre le foglie cresciute fuori terra sono di un bel verse scuro.

Vengono raccolte in primavera e sono dolcissime da mangiare crude in insalata.
Ma sono usate anche in cucina per preparare delicati soffritti.

Non so spiegarmi l’etimologia e nemmeno la somiglianza di spunzéle con l’aggettivo italiano sponsale, relativo agli sposi.

Chi mi aiuta?

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Spïnapùrche

Spïnapùrche s.f. = Topo di mare

Si può scrivere anche spünapùrche.
Finalmente ho reperito, grazie all’amico Amilcare Renato, il nome scientifico di questo animaletto marino che produce le famigerate spünapurche.

Il Topo di mare (Aphrodita aculeata) è un anellide invertebrato, che raggiunge la lunghezza massima di 20 cm, e vive semi sommerso dal fango sui fondali marini dei Mediterraneo, nel Atlantico settentrionale e nel Mare del Nord fino a 200 metri di profondità. Di forma ovale e piatta, ha il corpo a 40 segmenti ricoperti di pelo iridescente e contornato da aculei rigidi, atti alla sua difesa dai predatori.

Ritengo che, durante la pesca a sciabica o a strascico, il Topo di mare viene a contatto con il pescato e rilascia i suoi micidiali sottilissimi aculei, di circa 1 cm, che si conficcano, per sfregamento, nelle carni dei molluschi (seppie, calamari), e tra le squame di alcuni pesci, cefali e sparroni in particolare.

Le massaie temevano che, durante la pulitura di questi pesci, le spünapùrche trafiggessero la pelle delle loro dita, o che rimanessero nascoste all’interno dei pesci, e perciò non li compravano volentieri. Per sbarazzarsi di questi pesci “infestati” di “spine”, i pescatori li vendevano a prezzo vile.

La foto (reperita in rete) riprende il Topo di mare in posizione dorsale.

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Sponda-pöte

Sponda-pöte s.f. = Inciampo, intralcio

Intralcio, ostacolo, intoppo, specificamente riferito ai pedoni che inavvertitamente colpiscono una sconnessione del suolo che fa inciampare, incespicare mentre si cammina spediti.

Questo colpo viene dato inavvertitamente e forte proprio dalla punta del piede e perciò il dolore resta colà localizzato.

Giuànne ho pigghjéte ‘na sponda-pöte e ‘natu pöche ce ne jöve ndèrre = Giovanni ha preso un inciampo che per poco non lo faceva ruzzolare per terra.

Secondo me sponda-pöte può significare “urtato con la punta del piede”. Comunque ‘u pöte = il piede c’entra nell’inciampo.

Sinonimo (clicca→) ‘ndrùppeche.
Contrario, nel senso di avvallamento, che comunque fa inciampare (clicca→) sgùtte (o anche, al femminile, sgòtte)

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