Tag: sostantivo femminile

Botte

Botte s.f. = colpo

Questo sostantivo possiede una miriade di sfaccettature. Dargli un significato univoco è molto riduttivo.
Infatti ne ho trovato alcuni, grazie alla fattiva collaborazione dell’amico Matteo Borgia, provo a elencarli qui di seguito.

*Bòtte1 = Colpa
Dé ‘a bòtte =dare la colpa.
Ci’ho pegghjéte a bòtte pe salvé u fígghje = si è addossata la colpa per salvare il figlio).

*Bòtte2 = Colpo, anche in senso figurato
Ho ‘vüte ‘na bòtte de sìnze = ha avuto un mancamento, oppure ha
perso il controllo dei sensi o della ragione.
Ho ‘vüte ‘na bòtte de cüle = ha avuto un colpo di culo, nel senso
di fortuna.

*Botte3 = Segno, ferita, cicatrice, livido, oppure operazione svolta rapidamente (in un
colpo, in un tempo breve)
‘Na bòtte de pennìlle = un segno lasciato dal pennello, oppure
una rapida rinfrescata ai muri.
‘Na bòtte de rasüle = un segno lasciato dal rasoio sul viso o
anche una sbarbata veloce.
‘Ho bbušchéte nu cazzòtte sòtte a l’ùcchje,  jì rumàste (anche jì
rumése) a bòtte
  = ha preso un pugno sotto l’occhio, è restato il
livido.

*Botte 4 = Entità piccola o frazionata
Na bòtte e ‘na bòtte  = un po’ e un po’
A botte a botte = lavoro svolto in maniera discontinua o imprecisa.

*Botte 5 = Attimo
Sìnde ‘na bòtte, mandìne na bòtte, aspìtte na bòtte = ascolta un
attimo, mantieni un po’, aspetta un attimo, ecc.)

*Botte 6 = Colpo, in senso materiale
Ho déte ‘na bòtte mbàcce ‘u müre = ha dato un colpo sul muro.
L’ho cciacchéte a bòtte de martìlle = l’ha schiacciato a colpi di
martello.
Se nge vìne mò, te pìgghje a bòtte de battepànne = Se non vieni
adesso, ti prendo a colpi di battipanni).

*Botte7 = Rumore
C’jí sendüte ‘na bòtte ca mànghe i calecàsse alla fèsta Madònne
= si è sentito un rumore (talmente forte) che neanche i mortaretti della festa Madonna avrebbero avuto un effetto così dirompente.
‘Na volte ce vennèvene trik-trak e botte a müre = Una volta si vendevano petardi a miccia e botti a muro (bastava scaraventarli con forza contro una parete per ottenere la deflagrazione).

*BotteAtto sessuale consumato velocemente
Mudù decètte alla cumbagne ca se jöve fiurére, l’avrüje déte ‘nu fiore, ma seccöme jöve sparapìzze dumannatte se la putöve dé ‘na botta = Mudù disse alla sua amica che se fosse stato un fioraio le avrebbe dato un fiore, ma siccome era pirotecnico le chiese se poteva “darle una botta” (per evitare il doppio senso avrebbe dovuto dire se poteva “donarle un botto”)

Ho già trattato a parte:

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Tarande

Tarande s.f. = ragno (delle case)

Da non confondere con la tarantola, ragno peloso e dal morso velenoso.

Come tutti i ragni produce la sua brava tela per catturare insetti di cui si ciba.

Si tratta di un ragno domestico (Tegenaria parietina) assolutamente innocuo per l’uomo a dispetto delle sue allarmanti dimensioni. Difatti l’insetto può sviluppare le zampe fino a 9 cm per lato, fuori dal corpo.

Esiste una specie che vive nei campi (Tegenaria agrestis) da cui bisogna guardarsi perché il suo morso, per quanto non mortale, causa nell’uomo spasmi e stati dolorosi.. Viene detta localmente taranda pizzecagnöle (ragno atto a pizzicare).

Invito i maggiorenni a leggere una burla a proposito della taranda pizzecagnöle cliccando qui.

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Pasque

Pasque sf= Pasqua di resurrezione

La Pasqua è una Festa mobile (non come il Natale che da secoli ricorre in una data fissa), perché secondo la tradizione ebraica, la Pasqua da essi festeggiata ricorda il “passaggio” dalla schiavitù d’Egitto alla libertà del Popolo di Israele per mano di Mosè.

Questa data coincide con il primo sabato dopo la luna piena di primavera. Gesù ha festeggiato con i suoi apostoli la Cena di Pasqua, ricordando proprio l’impresa di Mosè. Subito dopo fu catturato ed ucciso.

La Pasqua cristiana è detta appunto «Pasqua di Resurrezione», coincidendo spesso, secondo il calendario, con quella ebraica, perché cade la prima domenica dopo il plenilunio di primavera.

La tradizione popolare del nostro territorio dava all’Epifania (6 gennaio, manifestazione del Signore) l’epiteto di «Pasqua Epifania» (‘a Pasqua Bufanüje).

In altre parti d’Italia riconosceva la Pentecoste (50 giorni dopo Pasqua, ossia la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli sotto forma di fiammelle) col nome di «Pasqua delle rose». Il nome deriva dai petali di rosa che si lasciavano cadere sopra i fedeli dall’alto delle chiese, a simboleggiare le divine fiammelle.

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Rózzene

Rózzene s.f. = Ruggine, ossido

Deriva dal latino aerūgo -gĭnis, propriammente nel significato di: dare origine.

L’ossido si crea quando il ferro è a contatto con l’ossigeno, sia quello dell’aria, sia quello dell’acqua.

Difatti i natanti con lo scafo metallico sono protetti da strati di vernici al minio (antiruggine) per evitarne il contatto con l’acqua marina.

Una nostra locuzione descrive l’avaro come chi sté attacchéte alla rózzene = sta attaccato alla (maniera della) ruggine, nel senso che è radicato ai suoi beni da cui non vuole staccarsi.

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Menuzzagghje

Menuzzagghje s.f. = minuzzaglia

Il nome collettivo minuzzaglia generalmente ha valenza dispregiativa, e descrive una quantità di frammenti, frantumi, minuzzoli di sostanze omogenee o anche eterogenee.

Nel primo caso (omogenee) sono frantumi di una stessa sostanza. Cito ad esempio i frammenti di maccheroni misti, talvolta usati come “pasta corta” nei piatti a base di legumi.

Nel secondo caso (eterogenee) si tratta di minutaglia di sostanze diverse. Vi presento il mio banco da lavoro, sul quale un recipiente contiene ammassati: viti a legno di tutte le misure, dadi e perni, chiodi, puntine da disegno, graffette, fisher, rondelle, punti per cucitrici, guarnizioni, fil di ferro, connettori elettrici, mammut, tubetto semi essiccato di Attak, una lampadina dell’albero di Natale, una matassina di stagno per saldature, ecc.. Un ammasso indescrivibile nel quale però riesco sempre a trovare qualcosa che mi necessita in quel momento.

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Guandjire

Guandjire s.f. = vassoio, cabarè

Generalmente la “g” iniziale nel nostro dialetto tende a cadere davanti al dittongo ua/ue, (uèrre, uande, uardé, uadagné, uasté..). Perciò è accettabile anche la versione uandjire.

Su di una guantiera più grande, durante il rinfresco di nozze, venivano allineati i bicchierini di liquori o le porzioni di cassata che i camerieri in sala porgevano agli invitati nei vari “giri” di portate .
Ovviamente c’è il derivato ‘a uanderèlle per designare il vassoietto di dolci che molti di noi acquistiamo per onorare degnamente il rito del pranzo domenicale in famiglia..

Origine del nome “guantiera”. Anticamente, nei pranzi eleganti, gli invitati deponevano i guanti su un vassoio posto all’ingresso della sala, detto proprio guantiera. Lo stesso termine era usato per indicare la scatola che conteneva i guanti lunghi delle signore.

Quale strascico della dominazione francese degli Angioini, è rimasta in italiano la voce cabarè (come da pronuncia di cabaret).
In dialetto è pronunciato cabbarè=vassoio (con la consonante raddoppiata come tóbbe = tubo, pippe = pipa), ma ormai il termine va scomparendo, e viene usata solo dagli anziani: ‘nu cabbarè de paste = un vassoio di dolci.

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Mantöche

Mantöche s.f. = Manteca, burrino, butirro.


Accettabile anche la pronuncia mandöche.
Mi viene in aiuto il solito Treccani:

«Nome regionale di piccole forme di cacio tenero (pasta di scamorza) tipiche della Puglia, della Basilicata e della Calabria con un globo di burro posto al centro, chiamate anche con altri nomi (ad esempio burrino, e butirro silano).

Aggiungo che è un latticinio di antichissima origine, e che “manteca” in spagnolo significa semplicemente “burro”. Era un modo di conservarlo prima dell’avvento dei frigoriferi. La pasta della scamorza poteva anche asciugarsi e indurirsi ma il burro interno si conservava a lungo grazie all’assenza di aria. Un sottovuoto naturale.

È poco commercializzato perché tutti cerchiamo, per motivi dietetici, di allontanare il burro dalle nostre abitudini alimentari.

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Capetògne

Capetògne s.f. = Capriola, capitombolo

Accettabili le versioni capetonne o chépetonne.

Definizione della Treccani:
«Salto che si fa mettendo le mani o il capo a terra, slanciando le gambe in aria e rovesciandosi su sé stessi» 

I bambini la fanno per divertire se stessi; i clown le fanno multiple nei circhi per divertire gli altri.

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Giógge

Giógge s.f. = Caramelle balsamiche

Pastiglia gommosa zuccherata, di forma emisferica, aromatica o medicinale.
Sono caramelline gommose, al sapore di menta, ricoperte di zucchero semolato.
Le più note sono prodotte da oltre 100 anni dalla Valda e vendute nelle inconfondibili scatolette rotonde di latta.

Sono balsamiche e vengono usate, specie da parte dei fumatori, per il trattamento delle irritazioni delle vie respiratorie.

Il nome giógge dato dai nostri antenati è una storpiatura di “giuggiola”, con la quale non ha nulla da spartire…

Ricordo che nel negozio di Viscardo erano in bella mostra sul bancone, dentro un contenitore di vetro a bocca larga. Evidentemente erano vendute sfuse, a peso.

A noi bambini queste caramelle non facevano gola perché erano di sapore penetrante e poco dolce. Preferivamo quelle lunghe di Pasqualino, tipo grissino, a base di zucchero in pasta bicolore, di fattura domestica.

A Cerignola sono dette sciusciù.


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Rüsce

Rüsce s.f. = Carbonella

Si tratta di carbone vegetale spezzettato, tuttora in vendita in sacchetti di carta preconfezionati, usato per preparare la grigliata.

Anticamente veniva usata per riscaldamento domestico, accesa in capienti bracieri, e coperta di cenere per prolungarne la durata.
Era possibile acquistare la rüsce già accesa dai fornai, quando la rimuovevano dal forno, essendo un residuo della legna usata per riscaldarlo, prima di introdurvi il pane per la cottura.
Ci si recava al forno con un secchio o un altro recipiente, e con pochi spiccioli si otteneva una palata di rüsce ardente che alimentava il braciere fino a sera.

Potrebbe derivare dal francese (charbon) roussi = carbone bruciato, o dall’aggettivo rouge = rosso.

Nel Salento è detta roscia o croscia o vroscia.

I pezzi grossi del carbone erano detti carevüne a ciocche = carboni a ciocco.

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