Tag: sostantivo femminile

Lènghe-Négósse

Lènghe-Négósse s.f. = Lecca-lecca

Grossa caramella piatta inserita in cima a un bastoncino per poterla tenere in mano.

Il lecca-lecca, chiamato a Manfredonia Lènghe-Négósse = Lingua di Negus, aveva sapore, colore e odore di liquirizia, e lasciava ad ogni leccata una scura colorazione nella bocca dei bambini che si potevano permettere di comprarlo.

Forse questo nome era diffuso anche in altre parti d’Italia, tenuto conto che in quell’epoca c’era in cima ai pensieri espansionistici dell’Italia fascista la conquista dell’Etiopia, e perciò l’Imperatore legittimo di quel Paese, Hailé Selassié (gli spettava il titolo nobiliare etiope di Negus neghesti, il Re dei Re), doveva essere ridicolizzato, perché era negro e ritenuto selvaggio ed estremamente bisognoso della grandiosa civiltà del Fascismo.

Tutte stronzate che ora ci fanno ridere. Nel fu così nel 1936 purtroppo.

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Lègne

Lègne  s.f. = Legna da ardere

Per lègne si intende solo quella da bruciare nel caminetto o nei falò.

Bellafè, m’ ‘u dé ‘na lègne a San Gesèppe? = Signora, mi vuoi dare un pezzo di legna per consentirci di accendere il falò la sera della vigilia di San Giuseppe?

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Legnasànte

Legnasànte s.f. = Loto, kaki

Albero originario dell’Oriente (Diospyros kaki) con foglie coriacee lanceolate e frutto polposo a bacca, arancione, commestibile.

Letteralmente il nostro termine significa i “legna santa” e questi frutti erano chiamati in tal modo fino a pochi anni fa.

Vorrei dare una spiegazione plausibile: forse perché il legno di questa pianta è inattaccabile dai tarli, ed è particolarmente duro (appartiene infatti alla famiglia delle ebanacee) ed usato per farne utensili molto robusti (mazze da golf, attrezzi sportivi).

Un’altra spiegazione deriva dalla figura biancastra (detta placenta) visibile tagliando il frutto longitudinalmente, immagine che ricorda Cristo in croce.   Per questo in spagnolo, oltre a kaki, è detto palo santo. (Fonte “Vesuviolive.it”)
(clicca→) https://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/95968-in-napoletano-cachi-si-dice-legnasanta-ecco-perche/

Questi frutti autunnali ora sono comunemente denominati “cachìzze“, derivato forse dal nome scientifico (Diospyros kaki) col plurale esotico cakis.
Il termine (kaki o cachi) in italiano è invariabile, sia usato al singolare, e sia al plurale.

Mio padre diceva che questo frutto ha fatto la sua comparsa a Manfredonia solo nel dopoguerra, ossia dopo il 1946. Prima non lo conosceva nessuno, forse perché coltivato solo fuori della Capitanata.

In quell’epoca il commercio cominciava a prendere vie più estese e le derrate avevano una gittata maggiore. Allora noi cominciammo a conoscere anche il formaggio Bel Paese, lo Stracchino e l’Asiago.

In merceologia quelli molli sono chiamati “kaki stufati” per distinguerli dai “kaki vaniglia”, con polpa dolce ma più compatta.

Da pochi anni è arrivata sulle nostre tavole una nuova varietà di loto (DOP “Ribera del Xùquer”), meglio conosciuto come “Caco-mela” o “Persimon®”, a polpa dura, senza semi e commestibili anche appena raccolti.

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Làschere

Làschere s.f. = Lastrico solare.

Söp’a làschere = Sul terrazzo.

Come quasi tutte le case del sud Italia, la copertura piana degli edifici è ampiamente praticabile.

Molte massaie vanno tuttora a sciorinarvi il bucato.

Quando eravamo ragazzi era diventata una discoteca privata in funzione nelle sere d’estate.

Bastava un mangiadischi portatile, da poggiare sul muretto, una presa di corrente e una lampadina.

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Lardechèlle

Lardechèlle s.f. = Anemone di mare, Attinia, ortica di mare

Animale marino della fam. degli Attinidi (Anemonia viridis o Anemonia sulcata) dal corpo polipoide molle, con decine di piccoli tentacoli urticanti, detto anche anemone di mare e in alcune zone Capelli di Venere.

Il nome deriva dal Latino “urticula” da “ùrere”, bruciare. Presumo che sia anche la corruzione di (clicca→) l’ardüche = l’ortica. La dimensione minore, rispetto all’ortica terrestre, richiama all’orecchio l’ardechèlle = l’ortichella. Poi l’articolo si è fuso con il sostantivo, ed ecco ‘a lardechèlle.

Ho sentito, per contropartita, che qlcu si è comprato “l’oculo” al camposanto invece che “il loculo”: carenza di orecchio o di istruzione…

Non tutti sanno che in cucina le lardichèlle infarinate e fritte sono una prelibatezza. Una volta raccolti con una forchetta (attenzione che sono peggio delle meduse) si sciacquano in abbondante acqua corrente, si sbattono con il sale grosso e si lasciano dentro uno scolapasta per far perdere l’acqua e la loro micidiale forza urticante.

Dopo si infarinano e si friggono in olio abbondante. Questo piatto anche in Sardegna è ritenuto una prelibatezza e viene chiamato orziadas, e in Spagna ortiguillas (si pronuncia ortighiglias quasi lardichèlle)

Il sapore del mare è evidente al primo assaggio.

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Landröse

Landröse s.f. = Bavosa

Bavosa, uno dei tanti pesci di scoglio (pìsce de pröte), piccoli ma gustosissimi.

Nome scientifico: Blennius gattorugine, ord. Perciformi, Fam. Blennidi, Gen. Blennius

Appartiene alla fam. dei blennidi che comprende una trentina di specie (blennius dalmatinus, blennius gattoruggine, blennius pavo, ecc. ecc.)

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Lanapènne

Lanapènne s.f. = Nàcchera, Gnàcchera, Cozza-pinna, Stura.

Mollusco bivalve (Pinna nobilis) della fam. delle Pinnidae, che vive solo nel Mare Mediterreaneo. Può raggiungere dimensioni ragguardevoli, fino a 100 cm. di lunghezza. La sua raccolta è vietata dal 1999. Essendo edule, e trattandosi di un mollusco filtratore, è estremamente rischioso mangiarlo in quanto accumula assorbendoli dal mare grandi quantità di inquinanti e patogeni.

Sulla punta ha un ciuffo di fili morbidi come seta, con cui si attacca al fondo marino. Questi fili, sottili e robusti, costituiscono il materiale con cui si fabbrica il filamento detto bisso marino, utilizzato in passato specialmente in Sardegna per la tessitura di preziosi indumenti dai colori cangianti.

Questo ciuffo, una volta asciugato era molto morbido, come un pennello di lana (forse da qui in nome lanapènne = lana della pinna).

Era ritenuto dalle nostre nonne un potente analgesico contro il mal d’orecchi. Bastava passarlo alcune volte sulla parte dolente, et voilà, il dolore scompariva all’istante. Io sono convinto che funzionava meglio di “Efferalgan”, perché non aveva alcun effetto collaterale indesiderato!

La pesca a strascico e l’inquinamento delle acque hanno praticamente contribuito a mandare quasi in estinzione questa pinnide dall’Adriatico.

Le carni, quando non esistevano questi impedimenti, erano molto apprezzate dai Manfredoniani, specialmente praparate in “ammollicata”.
Io ricordo di averne visto qualche esemplare prima degli anni ’60, ma di non averne veduti né mai più.

Qualche marinaio lo chiama anche lanjapènne o lajnapènne.

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Làmie

Làmie s.f. = Volta

Una volta era solo la cupola delle case a piano terra, costruita con conci di tufo.

Ora si intende anche il solaio in calcestruzzo armato su travetti precompressi e pignatte di laterizio.

Vulté i làmie = Ultimare il solaio.

Gettare il solaio con il calcestruzzo o chiudere la cupola con l’ultimo concio.

Ovviamente al termine del lavoro il proprietario e gli operai concludevano la giornata con una cena detta Chépecanéle = capo-canale (forse da baccanale = baldoria, gozzoviglia) in un trattoria-cantina preavvertita dell’evento (Ciumarjille, Giuànne, Pachjireche, Menjille, ‘Nzaléte, ecc…)

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Lambe

Lambe s.m. e s.f. = Lampo, patella, lumino

1) ‘U lambe s.m = Lampo. Manifestazione visiva delle scariche elettriche nell’atmosfera durante i temporali.

2) ‘U lambe s.m. = Patella.Indica sempre al maschile, la patella (Patella caerulea) attaccata agli scogli. Per divertimento la si staccava dagli scogli su cui vive, per mangiarla all’istante, risciacquata nell’acqua di mare.

3) ‘A lambe s.f. = Lumino. Cilindro di cera o vasetto con olio in cui galleggia uno stoppino, acceso sulle tombe o davanti alle immagini sacre

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Làjene

Làjene s.f. = Sfoglia.

La parola greca laganon era usata per indicare un foglio grande e piatto di pasta tagliato a strisce.

Da laganon deriva il laganum latino, che Cicerone cita nei suoi scritti.

Sottile strato di pasta tirata con il mattarello o con l’apposita macchina. La sfoglia fatta in Puglia non prevede l’impiego di uova come quella emiliana, di cultura diversa dalla nostra.

Da questa sfoglia ‘madre’ si ricavano tagliatelle, tagliolini, e maltagliati, chiamati genericamente, al plurale, ‘i làjene.
Le pappardelle, le lasagne e i cannelloni ricavati dalla sfoglia di farina e uova, non rientrano nella nostra cultura antica, e perciò sono stati chiamati con un nome italianizzato.

Un formato di pasta industriale detto Tripolina o Mafaldina sono chiamate da noi ‘i làjene rìcce, per il loro bordo ondulato.

Condite con il sugo di pomodoro fresco al basilico e con la ricotta dura grattugiata formano un primo piatto fra i più semplici e gustosi di Manfredonia.

Un piatto montanaro abbastanza apprezzato anche da noi era lajene, cìcere e baccalà.

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