Tag: sostantivo femminile

Cerratüre

Cerratüre s.f. = Cipiglio

Taluni pronunciano con una sola “r”, ceratüre.

Sguardo torvo, occhiata minacciosa, viso arcigno, espressione severa.

Pàteme nen m’ho déte méje: abbastöve ‘na cerratüre = mio padre non mi ha dato mai (una sberla correttiva): era sufficiente una sua espressione severa.

Si usa scherzosamente anche per evidenziare una straordinaria somiglianza fra consanguinei.

Töne ‘a stèssa cerratüre du pétre. = Ha la stessa sembianza del padre.

Deriva dall’italiano cera, nel significato di espressione (buona cera, cattiva cera)

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Cerése

Cerése s.f. = Ciliegia

Frutto del ciliegio (Prunus Cerasus), costituito da una drupa polposa e succosa di colore rosso più o meno intenso.
Gradevolissimo per il suo gusto leggermente acidulo.
La varietà  (clicca→)Ciliegia Ferrovia, molto apprezzata, è coltivata in Terra di Bari (Turi, Sammichele).

L’etimologia del termine è greca (κέρασος = cherasos) passato al latino (cerasum cerasus).
In tutti i dialetti del Sud Italia è chiamata cerasa o cirasa. Nei Paesi di lingua neo latina il nome si richiama a quello scientifico di Linneo, cioè Cerasus.

Per curiosità ho cercato il nome nelle varie lingue:
cereza spagnolo
cerise francese
cireaşă romeno
cereja portoghese
κέρασι greco moderno
ecc. ecc.

La forma tonda e rossa della ciliegia ha suggerito in nome ad una varietà di pomodorini (i ciliegini) e ad una specie di peperoncino piccantissimo (i ceraselli)

(Foto tratta dal web)
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Cepolle

Cepolle s.f. = Cipolla

La cipolla è una pianta erbacea biennale della fam. delle Liliaceae (Allium cepa).

La sua coltivazione è molto antica e risale agli Egizi nel IV millennio a.C.; oggi è coltivata in tutto il mondo.

I bulbi di cipolla sono ampiamente impiegati in cucina per preparare minestre, carni, sughi, insalate, ecc.

Proprietà terapeutiche: antibatterica e antinfettiva, stimola la funzionalità renale favorendo l’eliminazione delle scorie azotate e combatte i vermi intestinali.

Fino agli anni ’50 in dialetto si diceva cepodde, ma i termini contenenti o teminanti in -dde (cavadde, chése-cavàdde, cepodde, martjidde, jaddüne, jaddenére, jaddócce, , ecc.) erano ritenuti rozzi, e perciò si sono gradualmente “civilizzati” in -lle.

I nostri contadini preparavano una rustica zuppa di cipolle (‘a cepulléte), antesignana della raffinata soupe d’oignons dei Francesi. La nostra zuppa ruspante aveva bisogno solo di molte cipolle, un uovo a testa e di un filo d’olio. Vi assicuro che se l’assaggiassero i Francesi si andrebbero a nascondere perchè la loro tanto decantata soupe ci perde in gusto e aroma.

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Cendrèlle 

Cendrèlle s.f. = Bulletta o borchia

Piccolo chiodo con la capocchia larga, usato spec. da tappezzieri per guarnizioni di divani, e dai calzolai.

Sono ormai introvabili. Erano un po’ come le puntine da disegno, ma con la testa a cupola, rigate, resistentissime al logorio.

Non tutti sanno che le scarponi degli Alpini avevano la suola con 23 bullette ciascuna, disposte a perimetro perché potessero avere maggiore presa sul ghiaccio o sui terrreni molli.

Ricordo il numero 23, perché ho letto, credo in “Storia d’Italia” di Montanelli-Gervasio, di quella volta che Vittorio Emanuele III, Re d’Italia, volle informarsi in tutta serietà da un Ufficiale degli Alpini, impegnato con i suoi uomini nelle operazioni belliche nella Prima Guerra Mondiale, quante fossero le bullette degli scarponi, come se il numero delle bullette rappresentasse il maggior problema del momento….

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Cemöse

Cemöse s.f. = Cimosa, orlo

Bordura laterale delle pezze di stoffa fatta di tessuto più resistente.

Il sarto, dopo aver bagnato la stoffa prima di utilizzarla, pazientemente eliminava la cimosa.

Se il tessuto era particolarmente grosso, si arrotolava la cimosa, la si fissava con dei punti in modo da ottenere il cosiddetto ‘cassino’ o ‘cancellino’ per togliere le scritte di gesso dalla lavagna. Lo conosciamo tutti.

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Cègghje

Cègghje s.f. = Ciglio, palpebra

Ciascuno dei peli ricurvi disposti sul bordo della palpebra a protezione dell’occhio.

Anche la linea di tali peli.

Deriva dal latino cilium = palpebra

Da non confondere con cìgghje (←clicca) che viene dal latino aculeus = aculeo, punta e pungere

Poiché i peli sono numerosi, generalmente si citano al plurale ‘i cègghje = le ciglia.

Vüte a quà, me sènde pungeché, angöre jì trasüte ‘na cègghje jìnd’a l’ùcchje = Guardami qui, mi sento pungere, putacaso fosse entrato un ciglio nell'(orbita dell’)occhio.

Con un termine più antico, ormai in disuso, di diceva ‘i papèlle de l’ucchje, forse derivato da palpebra.

Stéche sèmbre a lagremé, vüte angöre tènghe ‘na cègghje jind’a l’ùcchje = Sto sempre a lagrimare, vedi se ho un ciglio nell’occhio.

Per estensione in dialetto si usa chiamare cègghje anche le sopracciglia.

Mariètte ce spüle ‘ i cègghje = Mariella si depila le sopracciglia.

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Cecòrje

Cecòrje s.f. = Cicoria comune

In dialetto è conosciuta anche con il diminutivo cecurjèlle.

È una pianta erbacea, perenne con vivaci fiori di colore celeste, appartenente alla famiglia delle Asteraceae. (Cichorium intybus), da non confondere con quella orticola. È presente in Italia, nei campi, nei prati, in terreni incolti.

Viene riconosciuta anche dai meno esperti perché il fusto della pianta è di forma zigzagante.

In cucina si possono utilizzare le foglie per preparare insalate sia crude che cotte, saporite, ma decisamente amare.
In Puglia “fave e cicorie” è diventato un piatto tipico: foglie di cicoria campestre lessate e condite con abbondante purè di fave e olio extravergine di oliva.

In passato,soprattutto nel periodo bellico, le radici tostate, venivano usate come succedaneo del caffè. La coltivazione di cicoria a questo scopo, ebbe un grande impulso in seguito al blocco continentale, quando Napoleone si oppose all’importazione della canna da zucchero e anche del caffè.

Era conosciuta fin dai tempi antichi, prima come pianta medicinale, e poi come alimento.

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Cecèrchje

Cecèrchje s.f. = Cicerchia

La cicerchia è una pianta leguminosa annuale (Lathyrus sativus) appartenente alla fam. delle Fabacee, che assomiglia alla veccia e contiene nei suoi bacelli dei semi poco più grandi dei piselli ma più schiacciati.

Le cicerchie si trovano solo secche, e vanno sottoposte a un lungo ammollo prima di cuocerle. L’acqua di ammollo va eliminata poiché contiene una sostanza che può dare problemi al sistema nervoso.

La cicerchia è un legume ormai quasi dimenticato, è coltivato solamente in alcune zone dell’Italia centrale in quantità ridotta. Il motivo di abbandono della loro coltivazione va ricercato nel miglioramento delle condizioni di vita.

C’è in questi ultimi anni un’inversione di tendenza per la loro importanza nella dieta vegetariana mediterranea e nell’agricoltura biologica.

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Cavezètte

Cavezètte s.f. = Calza

1) Indumento aderente che copre il piede e parte della gamba.

2) Stoppino dei lumi a petrolio. C’era ‘a cavezètta chjàtte = La calza piatta, e ‘a cavezètta tonne = la calza tubolare, cilindrica, dalla fiamma molto più luminosa, ma dai consumi di petrolio illuminante (ora si chiama kerosene) più veloci.

Cavezètte l’aneme ‘i mùrte = Calza dell’Anima dei defunti. Usanza locale. Invece che alla Befana, la calza piena di doni e dolcetti a Manfredonia ricorre il 2 novembre. Un po’ l’antesignana di Halloween e della formula “dolcetto o scherzetto?”

Cavezètte de bomméce = Calza fatta con i ferri da maglieria con filo di cotone ritorto. Le nostre nonne dedicavalo la vita intera a sferruzzare per confezionare calze per tutta la famiglia.

Cavezètte veléte = Calze velate, a velo, sottilissime.(chiamate anche cavezètte setéte=calze setate).
Indumento esclusivamente femminile. Prima dell’avvento delle fibre sintetiche poliammide (spec. il nylon), le calze velate erano pregiatissime perché erano solo di seta, con la cucitura sulla parte posteriore che, una volta indossate, rendeva sexy la parte visibile delle gambe delle donne, almeno agli occhi bramosi dei maschietti.

Veramente io, all’epoca in cui si usavano le calze di vera seta, ero piccino e non avevo ancora gli ormoni maturi e sviluppati. Perciò la cucitura sexy mi lasciava completamente indifferente…

Cavezètte a còllant = Invenzione moderna, il termine collànt è importato dalla Francia tale e quale tranne l’accento. Indumento femminile di tessuto sintetico, sottile e trasparente, formato da due calze tenute insieme da una mutandina dello stesso tessuto.

Teràrece a cavezètte (←clicca) = Atteggiamento di sussiego, di altezzosità.

Tó va fé ‘a cavezètte! = Va a fare la calza tu!

Ordine inderogabile dato dal marito alla moglie quando questa usciva dal suo consueto atteggiamento di sudditanza e diceva la sua, anche solo nell’ambito delle mura domestiche. Fuori delle mura domestiche era inconcepibile che la donna avesse e manifestasse le sue idee.

Roba da medioevo. Il mondo era solo maschilista. Almeno all’apparenza…

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Cavedére

Cavedére s.f. = Pentola.

Grossa pentola per cuocere la pasta ( ‘i maccarüne).

Il termine deriva dal latino calidarius = caldaia, pentola.

Una volta le facevano di rame. Per evitare avvelenamenti da ossido la parte interna veniva sempre coperta da un bagno di stagno fuso.
Passava un ambulante per le vie di Manfredonia, con la sua brava forgia portatile, e stagnava, le pentole di rame. A volte anche gli zingari girovaghi facevano questa operazione. Spesso passavano nello stagno fuso anche le posate di ferro perché non era ancora conosciuto l’acciaio inox.

Quando è proprio grande di chiama cavedaröne = marmitta, pentolone.

Se la massaia abbonda un po’ nel fare le porzioni della minestra si dice:
avàste! ne’mmettènne cchjó! Ha’ fatte ‘nu cavedaröne de pàste! Chi ca ce lu’ ha mangé? = Basta! Non metterne più! Hai fatto un calderone di pasta! Chi se la deve mangiare?

Per preparare il ragù si usa “ ‘a tièlle” o “a tjillózze

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