Tag: sostantivo femminile

Càvece

Càvece s.m. e s.f. = Calcio, Calce

1) Càvece s.m. = Calcio, pedata, colpo sferrato con un piede (al pallone o contro un avversario in lotta).

2) Càvece s.f. = Calce, prodotto per l’edilizia o anche la calcina, la malta per attaccare i tufi o pavimenti e rivestimenti.

La calce viene prodotta per cottura della pietra calcarea in apposite fornaci dette calechére (si ottiene la “calce viva in zolle”), la quale posta poi a contatto con l’acqua, sprigiona calore e comincia a ribollire.

Questo processo, che è molto pericoloso, si chiama “spegnimento” (o più correttamente “idratazione”) e viene realizzato in apposite vasche. La la calce così ottenuta mista all’acqua ha consistenza pastosa, e viene detta “grassello di calce” o più correttamente “calce idrata”.

La calce oggi è utilizzata è la calce idrata in polvere, un prodotto industriale venduto in sacchetti da 33 kg.. Esiste in commercio anche il grassello di calce in pasta, in sacchetti di plastica, prodotto ad Apricena.
La calce in grassello era usata per imbiancare le pareti (vedi:bianghjatöre)
Usata soprattutto per preparare intonaci e malte bastarde (mischiandola al cemento e alla sabbia o alla tufina) per murature e rinzaffi.

Ai tempi di Roma antica, si usava mischiarla alla pozzolana per legare i conci di tufo o di pietra. Vedi il Colosseo o i muri a “reticolato romano”, tuttora in piedi, dopo venti secoli.

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Catréme

Catréme s.f. = Catrame

In italiano il termine è maschile e in dialetto è femminile. La differenza non è solo questa.

Per i non addetti ai lavori si fa grande confusione fra i termini catrame, bitume, asfalto.

In pratica sono materiali bituminosi di varia provenienza, generalmente impiegati nell’edilizia stradale.

Il catrame si ricava dalla distillazione del carbon fossile, il litantrace; il bitume dalla distillazione petrolio; l’asfalto si trova in natura come miscela di pietrisco e bitume.

‘A catrème copriva il MacAdam (manto stradale di pietrisco rullato) di Via Tribuna, ed era l’unica strada “asfaltata” che attraversava Manfredonia, detta vianöve = via nuova.

Il sole torrido di agosto rendeva la superficie stradale molto molle, e noi monelli staccavamo dei pezzi di “catrame” per farne palline. La leggenda metropolitana imponeva di gettare queste palline nel fuoco della cucina (fino all’avvento del gas in bombole, nel 1950, le nostre mamme cucinavano a legna o con il carbone vegetale) per ritrovarle trasformate in biglie d’acciaio!

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Catòbbe

Catòbbe s.f. = Bombetta

Cappello rigido da uomo, di forma tondeggiante con piccola tesa leggermente rialzata.

La bombetta è riconoscibilissima, perché usata dal grande Totò, da Charlie Chaplin, da Oliver Hardy e Stan Laurel nei loro innumerevoli film.

Era usata dai professionisti. Ricordo la figura del medico Don Camillo Grasso associata all’immancabile bombetta.

Il popolino adoperava la classica coppola con visiera o il pratico basco.

Qlcu confonde la catòbbe con il “celìndre“, chiamandoli allo stesso modo. Ora che sono rarissimi, nessuno ci fa caso.

Il cappello a cilindro era conosciuto dal popolino negli anni ’30 solo perché indossato nelle grandi occasioni dai conducenti di carrozze a servizio dei signori abbienti, o dai cocchieri dei carri funebri.

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Catenìgghje 

Catenìgghje o Catenìglje s.f. = Cordoncino

rocchetto8È un lavoretto con il filo di lana multicolore, opportunamente intrecciato, che facevano anche i maschietti per ricavarne lunghi cordoncini.
Per ottenere il cordoncino si piantavano tre chiodini equidistanti intorno al foro centrale di un rocchetto vuoto, quello di legno tornito che acquistavano i sarti e che portava il filo della macchina per cucire. Ottenuto il “telaio” Si passava attraverso il foro il capo del filo di lana. lo si avvolgeva più volte intorno ai tre chiodini e poi con l’aiuto di uno spillone si accavallavano le maglie (quelle di sotto passava di sopra). Difficile da dire ma facile da fare.

Aveva un unico utilizzo. Il lungo cordoncino veniva piegato in due. Il vertice veniva poggato sulla parte posteriore del collo di un bambino (destinato a fare il cavallo) e i due segmenti passati sotto le sue ascelle. In questo modo, con molta fantasia i due capi, che rappresentavano le redini, venivano prese dal secondo bambino (destinato a fare il cavaliere).

Dopo la “bardatura” i due bimbi, cavallo e cavaliere, trotterellavano con lo stesso passo, all’interno della villa, o intorno al proprio isolato.

Il gioco era solo questo. Vi assicuro che ci divertivamo moltissimo.

Ma il lunedì di Pasqua la ‘galoppata’, si estendeva, andata e ritorno, fino a Siponto per la tradizionale gita di pasquetta!

Cateniglje è un suono spagnolesco (catenilla) che significa proprio catenella.

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Catalògne

Catalogne s.f., sopr. = Cicoria Catalogna

1) Ortaggio coltivato (Cichorium intybus, var. foliosum), detta Cicoria Catalogna o Cicoria asparago di Gaeta, più dolce e più grossa dell’amara cicoria campestre (Cichorium intybus).

Proprio per distinguere l’una dall’altra, quella dell’orto viene comunemente chiamata Catalogna, dalla regione Catalana da cui proviene.

Ci sono comunque almeno due tipi: uno più alto ed eretto, il quale essendo più amaro si presta meglio alla cottura; l’altro più basso, a costa larga, i cui germogli (turioni) si nascondono all’interno del cespo, sono buonissimi da mangiare crudi e sono noti come puntarelle, diffusi anche nella cucina campana e cucina romana.

2) Nomignolo affibbiato a un certo Catalano, sarto e suonatore nella banda cittadina, il cui cognome significa proprio originario della Cataluña = Catalogna, una bella Regione spagnola.

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Castagnöle 

Castagnöle s.f. = Nacchere

Strumento musicale a percussione costituito da due piccole conchiglie di legno duro o di avorio, tipico del folklore spagnolo, ma usato anche nelle sagre popolari garganiche.

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Cascetèlle

Cascetèlle s.f. = Cassetta

Principalmente si intende ‘a cascetèlle ‘i fjirre = la cassetta degli attrezzi.

Questa cassetta è un contenitore a valigetta usato spec. dagli artigiani per trasportare gli attrezzi del lavoro quando devono eseguire riparazioni fuori dal laboratorio o dall’officina.

Quella di mio padre era stata fatta da lui ed era di lamierino. Conteneva un trapano a manovella, cacciaviti, chiavi fisse e chiave inglese, un tronchesino, un paio di forbici da lattoniere, la lima grossa e quella a triangolo, un seghetto, l’immancabile martello, un compasso, una livella a bolla d’aria, un contagiri meccanico, due scalpelli temprati ricavati da una vecchia lima, un metro pieghevole di alluminio, e ‘u singature = il graffietto. Ho fatto una descrizione minuziosa perché ora quella cascètelle l’adopero io.

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Cartelléte

Cartelléte s.f. = Cartellate

Dolce natalizio tipico pugliese e lucano.

Fettuccia di pasta dolce, ritagliata con la rotellina, ripiegata a V e avvolta a spirale.
Si cuoce al forno o si frigge in olio di oliva.

Dopo la cottura le cartellate si condiscono con miele o con vünecutte = sciroppo di carrube, o con mosto-cotto.

A volte si adornano anche con confettini colorati. Si conserverebbero a lungo, ma finiscono presto!

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Cartèlle

Cartèlle s.f. = Cartella, bustina, cachet

1) Cartèlle = Cartella, nel senso di bolletta esattoriale. Simil italiano.

2) Cartèlle = Cartella, nel senso di cartella scolastica per contenere libri e quaderni. Quando frequentavo io le elementari di chiamava ancora ‘a cartjire o ‘a cartjille. Simil italiano.

3) Cartèlle = Cartella, ‘bustina’, ossia piccolo involucro di carta per contenere qls prodotto in polvere, un cilindretto con le estremità ripiegate verso il centro: una specie di bustina senza colla.

C’era la supposizione che anche il vino si preparasse con certe polverine contenute nelle cartelle. Lo si diceva quando era di pessima qualità.

4) Cartelle = Cachet: capsula di farina d’amido, cialda sottile, come un’ostia, contenente farmaci in polvere da prendere per bocca.

Molte medicine erano preparate dal farmacista stesso di volta in volta su indicazioni del medico curante (Prodotti galenici).

In casa poi le mamme prendevano l’ostia – appena passata nell’acqua per farla ammorbidire e poggiata su un tovagliolo di tela bianca – ponevano il farmaco in polvere e avvolgevano i lembi come un fagottino, Questa ‘cartella’ veniva deglutita con un sorso di acqua.

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Carréte 

Carréte s.f. = Carrettata

Con questo termine si designava un quantitativo di circa 300 litri di acqua potabile.

Alcuni carrettieri, fino a metà degli anni ’50, acquistavano dall’Acquedotto Pugliese acqua potabile che poi rivendevano a terzi.

Il prezioso liquido veniva trasportato con dei carretti a trazione animale, dotati di rudimentali serbatoi metallici a forma di cilindro, antesignani dei carri-botte motorizzati.

L’acqua veniva acquistata prima di tutto dai privati ad uso domestico. Molte abitazioni non disponevano di acqua corrente, e quasi tutte disponevano di una sottostante  cisterna per l’accumulo di acqua piovana.

Le famiglie acquistavano una o due carrate di acqua per aumentarne la disponibilità, specie in estate quando le precipitazioni erano assenti.

Anche i cantieri edili, scaricavano grandi quantitativi d’acqua depositandola in appositi fusti per consentire la preparazione della malta.

Talvolta anche agli ortolani locali (Orto Sdanga ad es.) ricorrevano ai carrettieri per rifornirsi di acqua per uso irriguo, quando scarseggiava la propria disponibilità idrica.

Ringrazio Manfredonia Ricordi per la foto d’epoca che riprende i carri mentre attingono l’acqua in Largo dei Baroni Cessa.

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