Tag: sostantivo femminile

Curatèlle

Curatèlle s.f. = Corata

Si intende la corata di agnello o di capretto, ossia la trachea, il cuore, i polmoni, la milza e il fegato. Con un sinonimo si chiamava ‘u cambanere = il campanile, perchè tutto l’apparato veniva appesa con un gancio all’interno delle macellerie a far bella mostra di sè.

Nella foto i vari organi sono stati separati per la preparazione di un delizioso soffritto, o di un gustoso cazzemàrre o di molteplici turcenjille.

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Calechére

Calechére s.f. = Calcificio artigianale

Si tratta di una fornace per la cottura del calcare.

Sappiamo tutti che la pietra comune, e  anche il marmo per intenderci, è un calcare, chimicamente detto carbonato tricalcico (CaCO3).

Da questo minerale si ottiene la calce in zolle mediante cottura ad alta temperatura in apposite fornaci a torre di pietra, alimentate da legna.

A Manfredonia ce n’erano un paio di queste  fornaci, produttrici di calce viva, scomparse con il procedimento industriale. Abbasce ‘a calechére ricordo era verso l’attuale Ufficio dei Vigili Urbani.

Nei cantieri le zolle di calce viva venivano “spente” con acqua in apposite vasche e diventavano grassello di calce, usato in edilizia per formare la malta.

Il termine è antico. I latini chiamavano  calcaria queste fornaci.

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Sciòttele

Sciòttele s.f. = Acqua di cottura

Talvolta il termine viene pronunciato in versione ridotta sciotte.

È l’acqua di bollitura che si raccoglieva dopo aver lessato la pasta o le vedure in genere.

Era usata ancora calda, in secondo uso, per lavare le stoviglie.

Si riciclava per il terzo uso come brodaglia per ammollare il pane duro da dare alle galline allevate in casa, e infine come sciacquone per il W.C. quando finalmente quasi tutti avevano in casa l’allacciamento alla fognatura (dopo gli anni ’40) ma non l’acqua corrente.

Prima dell’avvento della fogna semplicemente si buttava per strada per la delizia delle mosche…

Il termine sciòttele era ritenuto a torto troppo rozzo, e fu “ingentilito” in jòttele come quasi tutti quelli che iniziano con “sci” o contengono questo suono all’interno della parola (sciucarjille, desciüne, sciüte, scenócchje, ecc.= giochino, digiuno, andato, ginocchio, ecc.).

I Montanari, ammirevolmente più tradizionalisti, non sono caduti in questa moda e tuttoggi pronunciano questo suono marcatamente (me ne vògghje scì a Mónde =me ne voglio andare a Monte).

L’unica differenza con il manfredoniano è la “o” di Monte, da noi pronunciata larga e dai Montanari stretta.

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Caggiöle 

Caggiöle s.f. = Uccelliera

Gabbietta metallica per uso domestico, generalmente usata per porvi canarini o cardellini. I Napoletani la chiamano cajòla.
Questa della foto (clicca sull’immagine per ingrandirla) è detta caggiujèlle = gabbiettina, ed è usata solo per trasferire un volatile da un luogo all’altro. Un po’ come il furgone cellulare usato dalla Polizia penitenziaria per trasferire un detenuto da un carcere all’altro.

Quella più grande, costruita con asticelle di legno, era chiamatra caggellöne = stia.

I ragazzini più abili che catturavano i volatili si costruivano da sé la gabbietta con fil di ferro e assicelle di legno, con tanto di portellina per introdurvi il volatile e i semi di scagliètte per nutrirli.

Nell’immediato dopoguerra, quando le truppe americane ci deliziavano con i loro dischi e i loro film, fin ad allora proibiti dal fascismo perché avrebbero potuto imbarbarire con musiche “negroidi” la razza italiana, divenne famosissimo un gradevole motivo credo di Lecuona, dal titolo “Amapola”, cantato anche ai giorni nostri.

Che c’entra? Beh, Amapòla faceva una rima invitante con caggióla, il dialetto tradotto in un italiano improbabile.

Noi adolescenti arrossivamo nel sentire i più grandicelli che, in maniera disinibita, cantavano: “Amapooolaaa, fìcche-fìcche ‘ind’a caggjólaaaa…”

Al giorno d’oggi sembrerebbe roba da educande…..

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Cachète 

Cachète s.f. = Cacata

Il termine cachéte ha diverse valenze:

1 – atto di svuotamento dell’intestino. Agghje fàtte ‘na bella cachéte = Ho fatto un’abbondate defecata (io direi…finalmente, evidentemente il soggetto che ha sentito il bisogno di dirlo è uno che soffre di stitichezza).

2 – sostanza evacuata dall’intestino in una sola defecata. In questo caso esiste anche un sinonimo: preséte

3 – cosa di pessima qualità o di orribile aspetto.

Cume’jì stéte ‘u film c’ha vìste ajire söre? ‘Na cachéte! = Com’è stato il film che hai visto ieri sera? Una boiata pazzesca!(alla maniera di Fantozzi quando commenta il film pseudo capolavoro “La corazzata Potёmkin – Потёмкин”, pronuncia: Potiòmkin).

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Caccianózzele

Caccianózzele s.f. = Nòcciolo

È la parte più interna, legnosa e non commestibile dell’albicocca (Prunus armeniaca).

Una volta si usavano per giochi fanciulleschi, in mancanza di biglie.

C’era anche il rigattiere Gennarino che comprava i semi amarissimi contenuti all’interno dei nòccioli. Non sono mai riuscito a capire a chi potessero servire….

Qualche nonnina teneva gli stessi semi in acqua per molti giorni per far perdere loro tutto l’amaro. Poi da essi otteneva una specie di sciroppo orzata, detto ‘u latt’amènele, ossia “latte di mandorle”,  non so con quale metodo, per una rinfrescante bevanda estiva.
Occorre specificare che il vero latte di mandorla, ossia ottenuto dalle mandorle, ai nostri tempi era del tutto sconosciuto.

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Caccialèpre o Caccialèngue

Caccialèpre o Caccialèngue s.f. = Caccialèpre


E’ una pianta commestibile (Reichardia picroides) che cresce in zone sassose nelle balze e zone sabbiose vicino al mare. Si utilizzano le rosette fogliari basali, crude in insalata, sole o accompagnate da altre specie erbacee commestibili

A Roma lo chiamano Caccialepre, in Toscana Terracrepolo o Grattalingua.

Curiosità attinte dal web:

Etimologia del nome scientifico Reichardia picroides:
Il primo termine del binomio è dedicato al medico e naturalista tedesco J. J. Reichard, mentre il secondo deriva dal greco picros = giallo, con riferimento al colore dei fiori.

Etimo del nome volgare:
Il termine Caccialepre ha etimo incerto, sembra tuttavia (DURO, 1986-93); che esso sia composto da un primo elemento alterato: caccia(re) e la lepre; cioè erba utile come esca per cacciare la lepre. Il dialettale Caccialebbre non ha nulla a che vedere con la malattia infettiva; è un meridionalismo; infatti in questo contesto linguistico lebbre significa la lepre, non lebbra.

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Cacchjöle

Cacchjöle s.f. = Asola

Asola, occhiello, alamaro per abbottonare giacche, cappotti, pantaloni, sandali, ecc.

Si chiama cacchjöle anche l’annodatura di un laccio, o di una fettuccia, o di un nastro, che si scioglie tirando uno dei suoi due capi.

Presumo che cacchjöle significhi propriamente “piccolo cappio”

In questo caso c’è un sinonimo simile all’italiano nocca: “la nnòcche”

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Cacàzze 

Cacàzze s.f. = Paura

Paura, spavento, panico, timore, terrore, tremarella, ecc.

Modi di dire:

“Ce sime pigghjéte ‘na cacàzze!…” = Abbiamo preso uno spavento!

Ce n’jì scappéte p’a cacàzza ‘ngüle. = Se n’è fuggito con la coda fra le gambe.

Da non confondere con il termine “scacàzze”

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Cacaròzzele

Cacaròzzele s.f. = Sterco degli ovini

Accettabile anche la forma breve cacaròzze.

Le deiezioni delle pecore e delle capre, essendo ricche di azoto e con una bassa percentuale di potassio, dopo opportune misture con paglia e seguita da lunga “maturazione”, diventano un eccellente concime adatto alle coltivazioni orticole.

Quando, attraversando la città, le greggi di pecore venivano condotte all’ “Acqua di Cristo” per il lavaggio del vello prima della tosatura, disseminavano lungo tutto il loro percorso una lunga traccia di cacaròzze .

Sono di forma tondeggiante e, prima di disseccarsi,  mantengono la dimensione e la lucentezza delle olive.

Con queste “olive” dei farabutti hanno perpretato degli scherzi diabolici e feroci. Non voglio proseguire, altrimenti i deboli di stomaco cominciano a mettersi in subbuglio….

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