Tag: sostantivo maschile

Varrüle

Varrüle s.m. = Barile

Recipiente cilindrico, bombato al centro, formato da doghe di legno usato anticamente per il trasporto di liquidi (principalmente vino, o acqua, ma anche olio, o birra) usato spesso in tandem, ossia in coppia, e legati ai due lati del basto di un somaro.

Il fabbricante di botti e barili si chiamava varlére.

Nel Regno delle due Sicilie il barile era unità di misura equivalente a litri 43,625030. Ma esistevano anche recipienti di capacità inferiore usati per usi non commerciali. Ho visto in Germania barili di questa capacità sul bancone della birreria da cui attingevano i loro boccali da litro, e sostituiti man mano che si svuotavano da altri barili posti al fresco nella sottostante cella.

Dalle nostre parti il barile da sella aveva una capacità di circa 16 litri (così diceva mia nonna, classe 1880, moglie del curàtolo del Barone Cessa). Raccontava – scusate la divagazione, ma è un aneddoto molto divertente di cui era stata testimone – che il figlio del Barone Cessa, con un barile pieno di vino fresco legato sulla sella del suo cavallo, raggiunse nel campo i mietitori, impegnati a falciare il grano, per portare loro un refrigerio nella calda giornata di luglio.

Uno dei lavoratori un po’ più sfacciato, lasciò la falce e chiese al Signorino se poteva fare “una sorsata” direttamente dal barile. Il Barone gli diede via libera. Il tizio, calò il barile dal cavallo, ne tolse il tappo di legno, lo accostò alla bocca riarsa, sorreggendolo con le due mani, e bevve a suo piacimento.

Quando pensò di aver bevuto abbastanza posò il barile per terra in posizione verticale!….e dal foro centrale non uscì nemmeno una goccia di vino perché il disgraziato aveva bevuto più della metà del suo contenuto!, ossia circa otto litri! Tutti rimasero allibiti, di sasso. Risata generale. Non so se poi costui abbia continuato a menare la falce quel giorno!

Prima dell’avvento del sistema metrico decimale imposto con l’unità d’Italia si usava il barile, il cui corrispondente in litri era molto diverso da città a città.

Attualmente viene usato nelle transazioni commerciale del petrolio greggio ed è pari a 42 galloni USA ovvero a 158,987294928 litri.

Vedi Ortografia e Fonologia
sulla home page.Curiosità linguistica: se diciamo “due barili”, pronunciamo düje varrüle. Ma se vogliamo indicarne uno solo cambia la consonante iniziale: ‘u uarrüle. Così tutte le parole che iniziano per “v”. So che questo fenomeno fonetico ha un nome, ma adesso non lo ricordo.

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Varröne

Varröne s.m. = Spranga, barra snodata

Spranga, paletto di ferro incernierato all’interno delle case sui battenti della porta dell’uscio.  In italiano si usa il verbo sprangare per indicare questa operazione.

Era di uso comune quando le abitazioni erano quasi tutte al pianterreno.

La notte si chiudevano prima le porte a vetri, e poi quelle più robuste di legno.

Sulla parete situata dietro ciascun dei due battenti c’era una sbarra (detta varra da cui deriva ‘u varröne) di ferro a sezione circolare dal diametro di circa 2,5 cm e dalla lunghezza variabile dai 50 cm in su.

La barra era forgiata con due occhielli alle due estremità.

Uno era incernierato ad un altro occhiello a codolo, e questo era fissato al muro dietro la porta, e quindi rendeva snodabile la spranga.

L’altro occhiello veniva inserito al “dente” fissato alla porta quando era chiusa, in modo da tenerla ben salda.

Un altro tipo di varrone invece di terminare ad occhiello, era forgiato a gancio che si innestava nell’occhiello fissato nell’anta della porta oppure a parete, come nella foto gentilmente fornitami dall’amico Matteo Borgia.

“U varröne” è sinonimo di solidità, robustezza.

I bambini nella notte di Ognissanti vi appendevano le calze vuote perché la mattina le avrebbero trovate colme di doni portati dalle anime dei defunti. La festa della Befana non si celebrava.

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Vannüne

Vannüne s.m. = Puledro

Cavallo di tenera età, puledro, chiamato anche vannenjille o peddìdre.

Veniva attaccato al bilancino più per fargli fare movimento che per obbligarlo al tiro del carretto.

Delizia dei bambini per la sua docilità.

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Vambógghje

Vambógghje s.m. = Truciolo

Striscia più o meno sottile di materiale, generalmente arricciata, che si asporta da un pezzo di legno o di metallo lavorandolo con una pialla o con altre macchine utensili.

Deriva, secondo me da vàmbe = vampa, fiamma per la facilità con cui si possono accendere. Usata proprio quale esca per preparare un fuoco più grande.

Famosa la gag del clown, che aveva posto gli occhiali verdi al suo ciuchino in modo che scambiasse per erba di prato i trucioli che gli aveva propinato per desinare.

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Valanzüne

Valanzüne s.f. s.m. = Bilancina, cavallo d’appoggio

Non si tratta di una bilancia di precisione, quella usata dai farmacisti o dai tossicodipendenti.

1) Valanzüne s.f. = Bilancina, bilanciere.
È un’asta di legno cilindrica lunga cm 80 e di diametro di circa cm 10. Dalle due estremità partono due funi che si allacciano i finimenti del cavallo da tiro, e dalla parte centrale un gancio che si fissa al carrettöne=carro grande. Il fatto che avesse un gancio centrale e gli allacci alle due estremità la faceva assomigliare all’asta della bilancia a piatti. Da questo il nome valanzüne.

2) Valanzüne s.m. = Cavallo d’appoggio.
Per estensione si intende (‘u valanzüne, al maschile) il cavallo di appoggio a quello collocato tra le stanghe del carretto, che di solito è più forte e più affidabile, quando si prevede di trainare dei pesi considerevoli o di affrontare un percorso che comprende delle salite.

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Úve

Úve s.m. = Uovo

Da non confondere con Üve = uva

Al plurale suona öve uova

Negli animali ovipari, cellula germinativa (fecondata o no), ricoperta da un guscio o altro materiale protettivo, fornita di notevoli riserve nutritive. L’uovo viene espulso dal corpo materno prima che l’embrione si sviluppi. (uova di uccelli, di pesci, di rana)

Quello usato in cucina è generalmente l’ùve de jallüne = l’uovo di gallina. Eccezionalmente si adoperano l’ùve de pàpere o l’ùve de vìcce = l’uovo di oca o l’uovo di tacchina.

Böna Pàsque, e quìste so’ l’öve! Scherzosamente si ripete questa frase, che un bambino incaricato dalla madre di portare un cestino di uova in regalo per Pasqua a qlcu recitò tutta d’un fiato, quando da adulti facciamo gli auguri di Pasqua agli amici più intimi.

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Urteléne

Urteléne s.m. = Ortolano

Chi coltiva un orto; estens. chi vende ortaggi.

Fino agli anni ’50 gli orti erano presso le mura della città. Uno era situato ai piedi della Torre dell’Astrologo fino all’incrocio con via Magazzini, quella che porta all’Ospedale Civile.

Un’altro, il più esteso, il famoso Orto Sdanga, copriva il suolo poi occupato dalle palazzine della Posta Centrale.

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Ùgghje 

Ùgghje s.m. = Olio

Sostanza liquida insolubile in acqua, di origine vegetale, animale o minerale, con caratteristiche proprie per ogni tipologia.

1 – L’olio vegetale, dalla notte dei tempi, dalle nostre parti è stato sempre e solo quello ricavato dalle spremitura delle olive. Si usava solo per uso alimentare e con parsimonia, altrimenti (come ci ammonivano i nostri genitori) c’era il rischio che comparissero delle croste sul cranio (‘i scorze ‘nghépe).
Sappiamo tutti che è un prodotto pregiato della nostra Puglia, checché ne dicano i Toscani e i Liguri, che forse hanno saputo meglio reclamizzare l’olio delle loro Regioni convincendosi che i loro prodotti siano  i migliori d’Italia.

Gli oli ricavati dai semi di girasole, di soia, di vinaccioli, di colza e da chissà quali altri semi e propinati come sostituti di quelli di oliva sono un’offesa alla nostra millenaria cultura alimentare mediterranea.

L’olio di semi “per fritture”, dal costo infimo, e reclamizzato come “più leggero”, è una contaminazione americana degli anni ’60. Io sono fondamentalista anche nell’alimentazione non lo adopero mai.

2 – L’olio minerale, ricavato dalla distillazione del petrolio greggio, è usato come lubrificante nei motori a scoppio (a combustione interna) molto apprezzato e costoso.

3 – Quello animale, è quello ricavato dal fegato dei merluzzi, ricchissimo di vitamine e sali minerali. Veniva usato come ricostituente per combattere il rachitismo dovuto a carenze alimentari.  Adesso  i nostri bimbi hanno il problema inverso, quello dell’obesità….

Ricordo che a scuola, nell’immediato dopoguerra, quando tutti risultavamo ipo-nutriti  (cibo scarso, poche proteine, latte solo se stavamo ammalati…) il Maestro ogni mattina ci propinava, per disposizione del Ministero della Salute pubblica come misura e cura contro il rachitismo, un cucchiaio di olio di fegato di merluzzo a testa, attinto da una orribile bottiglia gelosamente custodita nel suo armadietto.

Il bello della storia, di per sé lodevole, era che un unico cucchiaio passava di bocca in bocca a tutti gli scolari della stessa classe!!!

Quelli purtroppo erano i tempi che vivevamo, e solo dopo molti anni, rammentando quel “rito” giornaliero, ci siamo resi conto che fosse un po’…rivoltante.   Comunque siamo sopravvissuti, forti, sani e certamente con qualche grosso anticorpo in più!

Scusate se ogni tanto inserisco qualche ricordo personale….

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Ugghjarüle

Ugghjarüle s.m. = Oliera, orzaiuolo

1) Oliera. Ampolla o altro recipiente con beccuccio usato a tavola per versare l’olio sui cibi da condire.
Quello pugliese è di latta saldata o di acciaio inox, con coperchio incernierato e beccuccio lunghissimo. State certi che è meglio del salvagocce, perché non fa perdere inutilmente il prezioso condimento.

2) Orzaiolo. Infiammazione suppurativa delle ghiandole sebacee della palpebra, che si forma nello spessore di questa e si apre sull’orlo libero e sulla superficie congiuntivale, risolvendosi per lo più spontaneamente.

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Ugghjaréle

Ugghiaréle s.m. = venditore ambulante di olio.

Non credo in italiano esista il termine oleovendolo (come pescivendolo) oppure olearo oliaio (come casaro, lattaio) o anche oliere…(come barbiere)….No,oliere mi sembra che faccia pariglia con saliere e pepiere…..

Comunque ci siamo intesi: l’ugghjaréle era una persona che, con un recipiente di latta legato al portapacchi della sua bicicletta condotta a mano, girava a piedi per le strade di Manfredonia richiamando le massaie con il suo grido prolungato: Uhé l’ùgghje, uhé l’ùuuuugghje! = Ohé, l’olio!

Se qualcuna lo chiamava, appoggiava la bicicletta alla parete e misurava con il suo decilitro di latta la quantità richiesta. Se una voleva “mezza misura” – ossia anche a 50 cc. per volta, perché non sempre la massaia disponeva di soldi per comprarne a litri – il suo occhio esperto sapeva dosare esattamente metà del suo misurino da mezzo quinto(100 cc.).

L’ugghjaréle è una figura ormai scomparsa, come quasi tutti gli addetti al commercio ambulante di Manfredonia.

Una volta giravano con i carrettini, o con cesti e panieri portati a braccio, molti merciai che vendevano latte, carbone, frutta, bottoni, lucido per scarpe, occhiali, aceto, pesci, castagnaccio, bustine di shampoo Palmolive, lana filata per maglieria, verdure, capperi, gelati, corbezzoli, stoffe, còzzele e carècchje uhé!. Addirittura il cavadenti (‘u türa-jagnéle) era ambulante!

Da non confondere con ugghjarüle.

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