Tag: sostantivo maschile

Tufarüle

Tufarüle s.m. sopr. = Operaio delle cave di tufo, Cavamonti

Operaio edile adibito all’estrazione manuale dei blocchi di tufo (‘nu tüfe = un concio di tufo) dalla cava chiamata tufére= tufara.

Una volta che non esistevano le macchine estrattrici, si faceva tutto manualmente con appositi picconi (‘u zappöne) a taglio di larghezza differente su ciascuna delle due estremità.

A questi zapponi ogni tanto bisognava ridare il taglio perché si consumavano. Ci pensava il fabbro a sturnì ‘i zappüne

Filed under: Soprannomi, TTagged with:

Tùcche

Tùcche s.m. = Conta

Conteggio, conta. Particolarmente è quella che, nei giochi infantili, si fa per stabilire a chi tocchi un dato ruolo, chi debba fare una data cosa, che viene prescelto dalla sorte.

I partecipanti al gioco si dispongono in cerchio e al grido: da mè,…oh! tutti presentano una mano con il numero di dita distese, da uno a cinque. Una volta sommate le dita presentate all’oh!, si comincia a contare a partire da quel  (o anche da un altro bimbo: da Giuànne, oh!), un numero per ciascuno, 1, 2, 3, 4, ecc.., secondo la disposizione del cerchio, fino al raggiungimento del numero delle dita sommate.

Si dice mené o vutté ‘u tùcche = fare la conta, tirare a sorte.

A volte si usa cantilenare una filastrocca, come già chiarito alla voce chetògne, oppure alla làmbe. Come l’italiano A-nghi-ngò, tre civette sul comò, ecc..

Filed under: TTagged with:

Trune

Trùne s.m. = Tuono

1) Trùne, s.m. – Rumore che, durante i temporali, fa seguito a una scarica elettrica atmosferica a causa della rapida espansione dell’aria da essa riscaldata.

Una domanda burlesca veniva rivolta ai bambinelli ingenui:
– “Döpe ‘u lambe che vöne?” = Dopo il lampo che viene? La risposta era logica:
– “U trùne!” = il tuono! Allora l’ “esperto” lo rimbeccava, addirittura con la rima:
– “Sì fèsse e nen te n’addùne!” = Sei sciocco, fessacchiotto e non te ne accorgi.

2) Trùne, agg. – Per i ragazzini che giocavano con le trottole di legno, trùne era un aggettivo che definiva la cattiva qualità del giocattolo, nel senso che esso non prillava benissimo sul suo asse, perché la punta metallica non era stata conficcata con l’estrema precisione voluta. Preso preso sul palmo della mano durante la sua veloce rotazione, dava un senso di tremore. Se non aveva oscillazione la trottola era definita ‘na pennozze, una pennuzza, una piuma! Se la qualità era pessima la trottolina era classificata come zarabbabbà, forse con una riminiscenza di lingua araba.

Filed under: TTagged with:

Trjìmete

Trjìmete s.m. = Torpedine

Pesce cartilagineo appartenente alla fam. dei raidi e comprende numerose specie. (Torpedo torpedo, nobiliana, ocellata, ecc.)

Ha il corpo appiattito a disco, bocca ventrale. Vive nei fondali bassi. E’ un po’ simile alla Razza, ma è caratterizzata dalla presenza ai lati del corpo di un particolare organo elettrogeno in grado di produrre un campo elettrico la cui scarica  tramortisce le sue prede.

La scossa – almeno nelle specie che vivono nei nostri mari  – è a basso voltaggio, ed è avvertita dagli umani come un tremore (da cui il nome che significa tremito). Le specie oceaniche producono scosse fino a 220 V.

Ha carni molli e poco ricercate.
Invece sono apprezzate nella cucina manfredoniana.
Tipico è il piatto ‘i trjimete ammullechéte = le torpedini mollicate, preparati in teglia, con olio, aglio, pepe,  prezzemolo e ricoperte con mollica sbriciolata di pane raffermo.

Filed under: TTagged with:

Trìspete

Trìspete s.m. = Trespolo, cavalletto.

Etimologicamente Trespolideriva dal tardo latino trespede(m), ossia con tre piedi, anche se il numero dei piedini d’appoggio non era vincolante.

Si tratta di un supporto di varia forma che poggia su tre o più piedi, usato come appoggio o come sostegno.

In dialetto era detto anche trispele o, con voce più antica, solo trìspe sia al singolare, sia al plurale.

Da noi con questo termine si indicavano (parlo al passato perché non esistono più per questa funzione), solo quei cavalletti di ferro usati per sostenere il letto. Dalla barra trasversale scendevano due gambi e ognuno di questi si biforcava. Sul pavimento quindi c’erano quattro piedini per ogni trespolo.

Ogni letto singolo aveva due trespoli, uno a chépe = a testa, e l’altro a pjite = a piedi. Sopra le due traverse superioni, ad almeno 40 cm dal pavimento, si ponevano dei tavolacci di legno destinati a sostenere ‘u saccöne = il pagliericcio, imbottito di foglie di mais, e infine il mataràzze = materasso, (forse) con la lana.

Ovviamente il letto matrimoniale aveva tutto a misura doppia: quattro trespoli, doppio di tavolacci, due pagliericci e due materassi.

Nelle case dei proletari a piano terra (la quasi totalità degli abitanti di Manfredonia), nello spazio tra i due trespoli si depositava la legna secca da ardere nel fucarüle = focolare.

Lascio immaginare a voi il ricettacolo che diventava il sotto letto: corteccia secca staccata dalla legna, polvere, scarafaggi…
Agli occhi di oggi ci sembra impossibile. Eppure le nostre nonne ci hanno vissuto in questa maniera.
Qualcuna, per igiene, allevava in casa una quaglia che faceva repulisti di insetti, ma in compenso lasciava immunerevoli cacche sparse su tutto il pavimento…..

Filed under: TTagged with:

Trìc-trac

Trìc-trac s.m. = Tric-trac, Petardo

Il sostantivo tric-trac, dal suono onomatopeico, è accettato anche nel vocabolario italiano quale regionalismo.
Secondo me va bene anche scritto con grafia diversa, trick-track, o tricche-tracche.

È un pericoloso gioco pirotecnico che scoppiando produce botti ripetuti.   Si reggeva l’ordigno con una mano e con l’altra si accendeva una corta miccia prima di lanciarlo per strada.  Se si indugiava nel lancio si rischiava l’amputazione di qualche dito….

Usato diffusamente nel mese di dicembre e fino a Capodanno per “festeggiare” rumorosamente l’Avvento e l’entrata dell’anno nuovo.

C’era quello modesto, quattro o cinque scoppi ravvicinati seguiti dal botto finale: tà-ta-tà-ta-bùm.

Poi c’era il tric-trac a dieci colpi, nove piccoli e sempre col finale più sonoro.

Prima dell’avvento sul mercato dei “fuochi” cinesi, fatti di luce e di fragore, quasi professionali, quelli usati da noi erano di fattura artigianale, simili a quello raffigurato nella foto in alto.

Questa foto qui a lato mostra un tric-trac cinese da 50 colpi (senza botto finale) detto “gazza cantante”, di libera vendita a meno di due euro,  ma sempre pericoloso per la sua miccia corta a combustione rapida.

A mio parere bisogna comunque proibirli, o quanto meno consentirne l’uso solo ai professionisti dei fuochi pirotecnici.

Un modo simpatico di descrivere un soggetto frettoloso era racchiuso nella locuzione: assemègghje ca töne sèmpe ‘u tric-trac appezzechéte ‘ngüle!| = sembra che abbia sempre un petardo attaccato al culo!

Insomma il tizio sbrigativo sarebbe “costretto” ad agire in fretta perché altrimenti la corta miccia dell’ immaginario petardo appiccicato ai suoi pantaloni non gli darebbe tempo di mettersi in salvo e di conseguenza potrebbe riportare un danno irreparabile al suo culo. 😀

Filed under: TTagged with:

Tréve lùnghe (‘u)

U tréve lùnghe s.m. = La trave lunga

Alcuni dicono U’ tröne lunghe= il treno lungo. Gioco fanciullesco.

“Era il salto della cavallina ma fatto da un nutrito gruppo di amici: il primo si piegava a novanta gradi, con le mani poco sopra le ginocchia, ed il secondo lo saltava ma, distaccatosi di alcuni passi, si piegava a sua volta; Il terzo saltava i due che restavano chinati e, anche lui si distanziava e si piegava, e cosi via, finché il primo che si era piegato restava l’ultimo e allora saltava tutti quelli che lo avevano saltato prima.

Il percorso si definiva prima di iniziare. Noi andavamo, per corso Roma, dal campo sportivo a ‘U Larje ‘a Chjisa Granne = il largo della Chiesa grande, ossia Piazza Duomo, laddove, grazie al largo spazio, si giocava diversamente”. (Lino Brunetti)

Filed under: TTagged with:

Trepjite

Trepjite s.m. = Treppiedi

Era un arnese usato dalle massaie che –  quando non c’era il gas e si cucinava a legna o a carbone –  si poneva sul fuoco del braciere, infisso nella carbonella, a sostegno della “tièlle” = tegame di terracotta nella quale si cuocevano i legumi, il ragù con i turcenjille, la ciambotte, ecc.
Consisteva in un anello fatto con vergella di ferro battuto (cioè a sezione piatta) dal quale partivano tre piedini terminanti a “L”.

I treppiedi avevano varie dimensioni, adatte al diametro delle pentole che dovevano reggere.

Si annerivano con il fuoco, e si riponevano, dal più piccolo al più grande, appesi “ind’u fucarile” = dentro il vano del focolaio, insieme alla rarìchele = graticola per gli sparroni e alla fresöle = padella

Esistevano quelli di forma triangolare con piedini più corti, da usare nel camino.

Filed under: TTagged with:

Trengéte

Trengéte s.m. = Trinciato

In italiano la voce verbale ‘trinciato’ significa: tagliato, tagliuzzato, sminuzzato.

In dialetto designava un prodotto semilavorato costituito da foglie di tabacco ridotte in striscioline corte e sottili. Era di infima qualità, puzzolente, quasi come quello contenute nelle sigarette “Gauloises” francesi, autentici ‘candelotti di dinamite’.

Esistevano tre versioni: ‘u trengéte fòrte = il trinciato forte, ‘u trengéte Nazziunéle = il trinciato Nazionale, e ‘u trengéte dòlce = il trinciato dolce, una più schifosa dell’altra.

Il ‘trinciato’ veniva posto in vendita in pacchettini (credo da 20 grammi) di carta grossa color beige, con tanto di sigillo ‘Monopoli di Stato’.

Di solito i fumatori per non sgualcire il pacchetto nella tasca, trasferivano in un astuccio metallico tutto il suo contenuto. L’interno del coperchio era dotato di una linguetta per serrare il ‘libretto’ delle 10 cartine col lembo gommato, necessarie per confezionare a mano gli spinelli.

Quando il fumatore voleva fumare, compiva un autentico rito woodoo: apriva l’astuccio, staccava una cartina e la piegava a canaletta con una mano; con l’altra prendeva un pizzico di trinciato e lo posava sulla cartina; chiudeva l’astuccio e lo infilava in tasca; con le due mani arrotolava lo spinello, lo umettava con la saliva in modo che il lembo gommato si incollasse all’altro lembo; si poneva la ‘sigaretta’ tra le labbra; accendeva un fiammifero da cucina – i famigerati puzzolenti zolfanelli – e le dava fuoco, sprigionando una puzza acre e insopportabile, una miasma che dava di zolfo e fuliggine riarsa. Puah!

Forse avete capito che non sopporto il fumo del tabacco….

Quando nelle tasche di questi fumatori girava qualche lira in più si concedevano le sigarette: ovviamente compravano le ‘Alfa’, che costavano 6 lire l’una (mentre quelle pregiate, ad es. le ‘Edelweiss’ o le ‘Macedonia Oro’ costavano 14 lire ciascuna).

Presumo che non si usino più né il trinciato, né le cartine, né gli zolfanelli.

Filed under: TTagged with:

Tremöne

Tremöne s.m. = Masturbazione maschile

Senza affidarci troppo alla sua veridicità, c’è un aneddoto sicuramente divertente che spiega la sua origine.
Il musicista barese Nicolò Piccinni ricco e osannato a Parigi, soleva viaggiare portandosi a seguito degli amici e delle donzelle. Quella volta che volle tornare alla sua Bari, senza le pulzelle per rispetto alla sua città, gli amici gli chiesero: «Ma senza le donne, come faremo?» Lui laconicamente rispose “Autrement!” (pronuncia ótremòn), ossia “altrimenti!”

Nel Barese tremóne (un po’ come il nostro cremöne) è anche sinonimo di fessacchiotto, come il  milanese pirla o il toscano bischero. 

Filed under: TTagged with: