Tag: sostantivo maschile

Pötuaciüle

Pötuaciüle s.m. = Porta bacinella, porta catino

Il termine è l’abbreviazione di ‘u pöte d’ ‘u uaciüle = il piede del bacile.

Etimo:

Piede: Oggetto o parte di qlco. che abbia funzione di sostegno o che somigli a un piede SIN base, gamba: i p. di un mobile; in senso fig., parte inferiore di qlco.;

Bacile = recipiente per liquidi, largo, poco profondo, di uso domestico o liturgico SIN catino, bacinella (dal vocabolario Devoto-Oli)

Quindi pötuaciüle (ammessa anche la grafia pöte-uaciüle) è quel supporto metallico che nella parte superiore (80 cm. da terra) sostiene il catino, e in quella inferiore regge una brocca.

Alcuni erano dotati anche di un sostegno per la saponetta e di braccetto per appendere gli asciugamani. Altri addirittura di uno specchio.

Il tutto, piede, brocca e bacinella era adoperato come lavatoio per le mani e per il viso. Il catino, rimovibile, si spostava a terra per le abluzioni ai piedi, e ad altra altezza per le altre parti del corpo che di volevano lavare.

I porta bacinella erano costruiti dai nostri bravi artigiani locali. Ogni fabbro lo modellava a modo suo, ma tutti i manufatti avevano misure standard per la circonferenza del catino.

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Pöte-vrascjire

Pöte-vrascjire s.m. = Base del braciere.

Supporto rotondo in legno o metallico per sostenere per il braciere di rame, generalmente con il fondo bombato, per renderlo stabile e sollevato dal pavimento. Ottimo poggiapiedi e prudente distanziatore dal calore della carbonella accesa.

Etimo:
Pöte = piede, sostegno, supporto;
Vrascjire = Braciere, vaso di terracotta, rame o altro metallo che un tempo, durante la stagione invernale, si riempiva di brace accesa per riscaldare un ambiente.

È corretta anche la pronuncia rapida ‘u pötuvrascjire, che sarebbe la contrazione di lu pöte-de lu-vrascjire = il piede del braciere.

(foto di Chiara Carpano)

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Pöpe

Pöpe s.m. = Pepe

Il pepe comune (Piper nigrum) appartiene ad una delle numerose specie erbacee, arbustive, arboree o lianose della famiglia delle Piperacee , diffusa spec. nelle regioni tropicali asiatiche, con frutti molto piccanti e aromatici, usati in cucina come condimento.

Una volta, come tutte le cose, il pepe si vendeva sfuso, intero o macinato.

Il droghiere pazientemente lo macinava e lo poneva in una specie di fagottino di carta chiamata ‘a cartèlle.

Tonü, mamme, va da Viscarde e accatte ‘na cartèlle de pöpe macenéte = Toni, bello di mamma. vai da Viscardo e compra una ‘bustina’ di pepe macinato. Presumo che la bustina contenesse 10 g di prodotto.

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Pòngeche

Pòngeche s.m. = Pungiglione, spina

Qls oggetto a punta che punge fastidiosamente.

Al singolare si pronuncia con la “ò” aperta:
Tènghe ‘nu pòngeche jind’a scàrpe = Ho un chiodino nella scarpa che mi dà fastidio.

Al plurale con la “ó” chiusa:
I caperrüne tènene i póngeche = I murici hanno dei pungiglioni sulla conchiglia.

Certamente deriva dal verbo pungeché = pungere.

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Pólepe

Pólepe s.m. = Polpo


Il polpo comune o piovra (Octopus vulgaris) è un cefalopode della famiglia dei Octopodidae.

Ha la capacità di cambiare colore molto velocemente e con grande precisione nel dettaglio.

Grazie a questa abilità riesce a mimetizzarsi e a comunicare con i suoi simili.

Caratteristica principale è la presenza di una doppia fila di ventose su ognuno degli otto tentacoli che lo distingue dal moscardino (ugualmente con otto tentacoli ma con una sola fila di ventose).

Trova applicazione nella gastronomia locale. Per renderlo più tenero, si usa “sbatterlo” ripetutamente contro gli scogli o un’asse in modo da spezzargli le fibre.

Ottimo a ragù o in insalata o arrostito nel cartoccio.

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Pòlece

Pòlece s.m. = Pulce

Insetto parassita dell’uomo (Pulex irritans).

E’ di minuscole dimensioni e di colore rossiccio, privo di ali e con le zampe posteriori molto sviluppate e atte al salto, il cui morso è particolarmente fastidioso per il prurito che provoca.

Al singolare suona ‘u pòlece, plurale con la o stretta si pronuncia ‘i pólece

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Platò

Platò sm = Vassoio.

Noi per platò intendiamo le cassette di frutta a un solo strato, come quella delle pesche.

Il termine viene dal francese Plateau (pronuncia identica, ma con la o stretta) = vassoio, piano (esempio plateau à fromages)

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Pjöne

Pjöne s.m. = Manciata, giumella

Veramente in italiano “manciata” significa: quantità di cose che possono essere contenute in una sola mano (in dialetto ‘na ciambéte).

Invece pjöne è quello che si riesce a raccogliere con due mani unite a coppetta, con le palme rivolte in su, facendo combaciare la destra e la sinistra per la parte dei due mignoli.

Si raccolgono così, per farne modesti spostamenti, particelle di sostanze varie (riso, briciole, sabbia, e anche liquidi). Tipico è l’uso che se ne fa per lavarsi il viso, usando le due mani per raccogliere l’acqua corrente.

Probabilmente esiste anche in italiano un termine specifico. Chiedo aiuto agli esperti per l’aggiornamento di questo articolo.

Il lettore Sator (che ringrazio) dice che il termine italiano corrispondente a pjöne è giumella.

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Pjiteràsse

Pjiteràsse s.m. = Pederasta

Uomo che pratica la pederastia; in senso più ampio e oggi è desueto. Più  usato il termine omosessuale, o gay.

La prima volta che da ragazzino ho sentito questa parola (Uhé, pjiteràsse!) mi è venuto da ridere irrefrenabilmente, perché ho pensato ai piedi (pjite) distanti (daràsse): uno che camminava con le gambe divaricate non può essere che un clown…

Invece il significato del termine è molto serio, non deve far ridere.

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Pizzechìlle

Pizzechìlle s.m. = Pizzicotto

Il pizzicotto è una stretta data con il pollice e l’indice a una parte molle del corpo.

Se dato con l’intento di far male, in una zuffa tra adolescenti, dicesi (al maschile) ‘u pìzzeche: in questo caso può lasciare un’ecchimosi sulla parte pizzicata.
Attenzione che al femminile ‘a pìzzeche indica la “pala” dei fichidindia.

Quando è dato affettuosamente sulla guancia è detto pizzichìlle. Questo…non fa male! Cantavano i Napoletani: “pìzzeche e vase nun fanne pertòse” = Pizzicotti e baci non lasciano piaghe o ferite.

U béce a pizzechìlle = È un bacio scambiato fra ragazzotti, dove ognuno tiene fra i pollici e l’indice di entrambe la mani le guance del partner. Uno dei primi baciotti, “un giuramento fra due anime fatto più da presso… un apostrofo color rosa posto fra le parole ti amo” (Edmond Rostand: Cyrano di Bérgerac – Atto III, scena X).
Scusatemi se mi son lasciato andare con il mio inguaribile romanticismo.

Anche in Campania, in Molise ed in Abruzzo, ossia nelle Regioni confinanti con la Capitanata, usano la locuzione ‘nu vàse a pezzechillo”

Vi ricordate quella canzone popolare abruzzese “Vola vola vola”?:
E vola vola vola
e vola lu cardille;
nu vasce a pizzichìlle
ne’ me le può negà.

Siccome è breve, approfitto infine della vostra pazienza per ricopiare qui di seguito una bellissima poesia del grande Totò [saltatela se vi dà fastidio]:

Si fosse n’auciello, ogne matina
vurria cantà ‘ncoppa ‘a fenesta toja:
«Bongiorno, ammore mio, bongiorno, ammore!».
E po’ vurria zumpà ‘ncoppa ‘e capille
e chianu chiano, comme a na carezza,
cu stu beccuccio accussì piccerillo,
mme te mangiasse ‘e vase a pezzechillo…
si fosse nu canario o nu cardillo.

(Antonio De Curtis)

Dimenticavo: qualcuno dice anche béce a pezzechìlle o anche a pezzechìcchje. Non mi piace quest’ultima versione, mi sembra un po’ rozza.

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