Tag: sostantivo maschile

Mócche

Mócche s.m. = Muco

In dialetto mócche è solo la secrezione nasale. In terminologia medica muco è qualsiasi sostanza liquida densa e vischiosa,secreta dalle ghiandole e dalle cellule mucipare, che ha la funzione di proteggere le mucose dai batteri patogeni.

Tjine ‘u mócche appüse! = Hai il muco pendente dal naso. Ossia: sei ancora un moccioso, perché vuoi impicciarti di argomenti che riguardano gli adulti?

Nel linguaggio fanciullesco veniva detto ciacciamócche. Poi le nostra mammine hanno ingentilito il termine, che di per sé evoca una massa grassa giallastra stomachevole (ózz!), chiamandolo “candelina”…

Tirare su col naso dicesi surchjé; l’azione contraria, ossia soffiare ilnasoper liberarlo dal muco, si traduce sciuscé ‘u nése.

Il fazzoletto da naso, proprio per la sua specifica funzione di raccogliere il muco, viene chiamato maccatüre (calabrese muccaturi)

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Mjizze-quìnde

Mjizze-quìnde s.m.  = Ettogrammo

Letteralmente significa mezzo quinto, ossia un decimo (di chilogrammo o di litro).

Si usa anche dire mjizze quìnde per etichettare una persona minuta, gracile, con voce querula e scarsa.

Insomma una cosina di poco peso.

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Mjizze-cüne

Mjizze-cüne s.m. = Mezzo chilo

Nel sistema metrico decimale è una unità di peso sottomultiplo del kg, del valore di 500 g

Se una seppiolina pesa 350 g si dice ‘nu quinde e mjizze e cenguanda gramme (calcolo mentale rapido 200+100+50).

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Miškammìške

Miškammìške s.m. = Miscuglio, accozzaglia, guazzabuglio

Mescolanza confusa e disordinata di elementi disparati.

Per estens.: insieme di persone di condizione, di estrazione differenti.

Figuratamente: accostamento, mescolanza disordinata e confusa di concetti o idee contrastanti.

Agghje accumenzéte a parlé e pò agghje fatte ‘nu miškammìške… = Ho cominciato a parlare, e poi ho detto un guazzabuglio di idee disordinate.

Deriva dal verbo Mešké (o meškéje): mettere insieme, combinare, fondere, miscelare, mescere, mescolare.
Alla lettera: mischia-mischia.

Nota linguistica:
Il segno š – usato nell’alfabeto dagli Scandinavi (es. Škoda), ha il suono dell’italiano sc(di scena, non di scarpa). I Francesi lo rappresentano con ch (change), i tedeschi con sch(schnell), gli Inglesi con sh (sheriff).

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Miseröre

Miseröre s.m. = Miserere

Si tratta dell’incipit del Salmo di Davide n. 51, un salmo penitenziale molto sentito dai fedeli anche dai non cattolici.
Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam” (“Pietà di me, o Dio, secondo la tua grande misericordia”).

La tradizione cristiana pone questo Salmo nella veglia funebre e nella liturgia dei Defunti.

Nella prima metà del scorso, data l’ignoranza del volgo, questa parola era intesa come indicativa dell’ora della morte.

Quando qualcuno era in fin di vita lo si descriveva colpito dal “miserere”.

Madonne möje, coddu pòvere Mattöje, nen ge pötete cchjó arrecògghje sté p’u Miseröre! = Madonna mia, quel povero Matteo non riesce a riprendersi da questo male!

Talvolta, non solo a titolo di cronaca, si usa il termine miseröre per indicare che qualcuno è già passato a miglior vita.

Infatti se si augura la morte di qualcuno – cosa abominevole in ogni caso, anche se questi fosse il nostro peggior nemico – gli si lancia l’improperio:
T’àgghja venì a candé ‘u Miseröre! = Verrò io a salmodiarti il Miserere [sopra la tua bara, come fa l’officiante prima della sepoltura della salma….]

Lo so che ci gratificherebbe talora lanciare questa invettiva verso qualche specifica persona, augurandoci di vederla in posizione orizzontale, ma non si fa!

Con questo termine si designava anche una malattia dolorosissima e spesso mortale, un tumore o una  occlusione intestinale. Insomma non c’era nulla da fare se non salmodiare il Miserere.

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Mìgghje

Mìgghje s.m. = Miglio

Unità di misura di lunghezza in uso fino all’introduzione del sistema metrico decimale, avvenuto con l’unità d’Italia nel 1861.

Ora viene usato solo in marineria o in aviazione per definire le distanze.

Per una forte assonanza, al posto di “veglia”, viene usato erroneamente nella locuzione tra mìgghje e sùnne = fra veglia e sonno, nel dormiveglia. Anche perché non esiste in dialetto il corrispondente originale di “veglia”. Più verso gli anni ’50 si coniò “vegliöne” sull’onda delle manifestazioni carnevalesche. Ma è un termine importato dall’italiano.

Aspetto eventuali precisazioni per migliorare la trattazione di questo termine.

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Mezzanüne

Mezzanüne s.m. = Soppalco

Locale ricavato suddividendo orizzontalmente un ambiente di notevole altezza.

Si tratta di un sottotetto, un controsoffitto, generalmente un piano di legno sostenuto da travi, costruito all’interno di una stanza dal soffitto particolarmente alto, in modo da ricavare una superficie da adibire a deposito. Si accedeva da una scala esterna a pioli

Se lo spazio era abbastanza alto, e il soppalco diventava abitabile, e accoglieva un letto per l’ ospite inatteso.

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Mezzafèmene

Mezzafèmene agg. e s.f. = Effeminato

Che ha aspetto o atteggiamenti poco virili; soggetto eccessivamente curato e lezioso. Non è detto che costui sia pederasta o gay.

Può succedere che commessi di biancheria femminile o parrucchieri per signora, a furia di contattare una clientela formata da sole donne, imitino inconsciamente i loro atteggiamenti, il loro modo di parlare e i loro discorsi.

Alla lettera significa “metà donna”: ho sentito dire anche mezza-figghjöle = mezza figliola.

‘U vüte accüme ce vèste? Assemègghje a ‘na mèzza-fegghjöle = Lo vedi come si veste? Sembra un effeminato.

Alcune di queste persone possiedono un notevolissimo senso estetico: altrove diventavano ballerini o stilisti (Schubert, il primo stilista italiano, Nureyev, Armani, Valentino, Versace, ecc.) Da noi erano chiamati ad addobbare, dietro modesto compenso, le vetrine di qlc negozio alla moda, o a sistemare il corredo della sposa in esposizione prima della ‘consegna‘, incombenze che eseguivano con un gusto veramente ammirevole.

Ripeto, non è detto che queste persone siano omosessuali. È l’atteggiamento che li ‘condannava’ nel secolo scorso.

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Merìsse

Merìsse s.m. = soggetto strambo

Personaggio maschile che fa coppia naturalmente con Merèsse. per l’assonanza a jìsse e jèsse = lui e lei.

Quando si vede arrivare da lontano una coppia di persone un po’ strane, particolari per il loro modo di incedere o di vestirsi, si dice: ‘I vì, mo’ vènene Marìsse e Merèsse = Eccoli, ora stanno giungendo lei e lui.

Ironicamente si può identificare come “la coppia più bella del mondo”!

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Mercjöne 

Mercjöne s.m.= Contenitore

Al plurale fa mercjüne ed indica specificamente dei recipienti (damigiane, fiaschi, bidoni, scatoloni).

Indica anche qualcosa di ingombrante, di fastidioso, che sta sempre tra i piedi.

Esempio: “Che sso’ tutte sti mercjüne mmizz’a chése? Luàtele da mizze!” = Che cosa sono tutti questi recipienti per casa? Toglieteli di torno!

A volte può essere anche riferito alle persone per definirle ingombranti e sgraziate.

Un’amica spettegola con l’altra sull’imminente matrimonio della loro vicina per anni zitella, un po’ soprappeso e già avanti con gli anni e si sente rispondere: “Jì stéte affurtenéte, ch’jì c‘ha l‘avöv‘a pigghjé a quèdda merciöna vècchjie“. = E’ stata fortunata, (altrimenti) chi se la doveva prendere quella “damigiana” vecchia?

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