Tag: sostantivo maschile

Brachessüne 

Brachessüne s.m. = Mutanda da donna

Indumento “scandaloso” usato dalla ventenni sfacciate nell’immediato dopoguerra.

Era di cotone, ovviamente bianco, e, udite udite, sgambato, e con un merlettino rosso o giallino lungo il bordo inferiore.

Le ragazze fino ad allora avevano adoperato mutande lunghe fino al ginocchio, come i calzoncini dei calciatori: figuratevi cosa dicevano le loro mamme.

Fino agli anni ’50 le mutande da donna, erano confezionate in casa uguali ai box degli uomini, con tanto di gambetta, più o meno lunga a seconda della stagione.

Poi sono arrivate sulle bancarelle dei mercatini le prime mutande di cotone già confezionate, sgambate,con l’elastico largo in vita, chiamate slip.

Gli slip da uomo con l’apposita apertura, e quelli da donna intere, a triangolo, erano tutte in cotone filato bianco a coste.

Siccome fino ad allora le mutande si chiamavano tutte vréche = “braghe” (= Ciascuna delle gambe di pantaloni o mutande da uomo) qualcuno pensò che quelle femminili si dovessero chiamare vrachèsse = “braghesse”, (come dottorèsse).

Ovviamente il passo successivo venne da sé. Da vrachèsse a brachèsse e quindi brachèssüne per la loro dimensione ridotta rispetto a qelle maschili.

Notate l’influenza spagnola già evidenziata, tra la b e la , come spiegato nella “Fonologia e ortografia”.

C’era una canzonaccia che circolava tra gli studenti dell’epoca, ora tutti attempati pensionati: cominciava come la famosa canzone napoletana ” ‘A cammesella” e poi naturalmente finiva con…e ljivete ‘u brachessüne!

Ora esiste una mutandina da donna, tipo file interdentale, chiamato perizoma.

Un amico veneziano ha sentenziato: “na olta par vedar el cul se spostaa le mudande, adesso par vedar le mudande se sposta el cul”. C’è bisogno della traduzione?

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Boss

Boss s.m. = Dirigente, Manager, Capo squadra, Intestatario di Azienda, ecc.

Il termine inglese è giunto tale e quale qui da noi per merito degli emigrati in America. L’ho visto incluso addirittura nel vocabolario della lingua italiana come acquisito.

Per la sua brevità il sostantivo, volto soltanto al maschile, ‘u Boss, è accattivante, si ricorda facilmente, e dà un senso di familiarità e viene citato anche con una sottile ironia. Ecco giustificato il suo successo.

In ambiente domestico si intende indicare il Capo famiglia. In ambito lavorativo il Direttore della scuola, il Capo mastro, il Responsabile dell’Ufficio, il Direttore, ecc.

Un termine che ha diffusione anche nel linguaggio malavitoso. Il Boss è il Capo di associazioni mafiose. E questo boss non è detto in modo ironico ma in maniera maledettamente seria fin dai tempi di Al Capone.

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Bommüne

Bommüne s.m. = Bambino

Va bene anche la grafia omofona Bommïne

Usata soltanto, per antonomasia, per indicare il Bambino Gesù nel presepio. San Gesèppe, la Madonne e ‘u Bommüne.

Una storpiatura linguistica come se si volesse rendere in dialetto una parola italiana.  Difatti il bambino, inteso come neonato, è detto:
‘u/’a criatüre (m e f.) = la creature
‘u/’a uagnöne = il o la bambina
‘u peccenìnne = il piccolino
‘a peccenènne = la piccolina

Stanotte uà nàsce ‘u Bommüne = Siamo alla vigilia di Natale.
Mò àmma mètte ‘u Bommüne jìnd’u presèpje = Ora dobbiamo posare il Bambinello dentro il presepio.

Ho anche ho sentito il diminutivo ‘u Bammenjille = Il Bambinello. Chiaro il termine simil-italiano.

Un tenero ricordo della mia infanzia. Ho assistito alla Messa di Natale in Cattedrale. avevo otto anni, ossia nel 1948: a mezzanotte, quando è nato ‘u Bommïne, assieme ai canti e all’incenso, all’interno della Chiesa, con mia somma meraviglia, furono liberate dall’altare maggiore alcune colombe bianche, certamente in segno di “pax hominibus bonæ voluntatis“.
Esse volando passarono sulle nostre teste attraversarono tutta la navata e si andarono a posare sulla balconata dell’organo, al di sopra dell’ingresso principale.
Un’altra volta un bontempone, siccome la corrente elettrica  era altalenante a causa del maltempo, disse durante la fase del buio:
Nen sapüme se stanotte se uà nasce mascule o  fèmene…

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Böje 

Böje s.m. = Boia

Epiteto rivolto affettuosamente nel linguaggio familiare, ai bambini che fanno birbonate e marachelle.

Mado’, ccùme àgghja fé pe ’stu bböje? Ne la fenèsce méje… = Madonna, come (ho da) devo fare con questo boia? Non la finisce mai

Significato letterale = boia, carnefice, esecutore di condanne a morte.

Pensate che coraggio doveva avere costui: mettere il cappio intorno al collo del condannato, e azionare la botola o issarlo a braccia sulla forca, sospendolo finché non sopraggiungeva la morte. Oppure, nei tempi più antichi, calare manualmente la mannaia sul collo del malcapitato poggiata sul ceppo e troncarla di netto. Con la rivoluzione francese la ghigliottina gli ha risparmiato questa incombenza: ma era sempre il boia ad issare la lama e a farla calare.

Chissà se era retribuito bene!

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Bófele

Bófele s.m. soprann. = Bufalo.

Mammifero da latte che si è ambientato nella nostra zona grazie alla presenza di numerosi acquitrini.
Molto ricercata la mozzarella derivata dal latte di bufala.

Riferito a un uomo lo identifica come un tipo grande, grosso e gran mangione (‘u bófele = il bufalo).e si pronuncia con la ó stretta.

Al femminile indica una donna grossa e lattifera come una bufala (‘a bòfele = la bufala) e si pronuncia con la ò larga.

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Bianghjé

Bianghjé v.t.= Imbiancare,tinteggiare

Coprire con uno strato di tinta bianca, spec. pareti, soffitti o infissi.

Nel sud Italia e della Spagna per secoli si è usato tinteggiare le case a calce.

Si diluiva la calce spenta in acqua e si davano due mani di bianco sulle pareti e sulla volta con un pennello innestato in cima ad una canna di palude.

L’operaio addetto a questo servizio era ‘u bianghjatöre = l’imbianchino.

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Bianghjatöre

Bianghjatöre s.m. = Imbianchino

Operaio, artigiano che esegue lavori di tinteggiatura.

Siccome anticamente la tinteggiatura si eseguiva solo a calce, è ovvio che si parlasse di bianco, come il termine imbianchino, del resto.

Le case venivano imbiancate anche all’esterno con grassello di calce diluito in acqua.

Con linguaggio moderno si dice anche Pettöre nel senso di tinteggiatore, non di chi fa i quadri.

Pe’ refrešké ‘a chése agghje chiaméte ‘u bianghjatöre = Per rinfrescare la casa ho chiamato l’imbianchino.

 

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Bezzöche

Bezzöche agg. e s.f. = Devota, pia, bigotta, timorata di Dio

La bezzöche  specificamente è una donna avanti negli anni che va  in chiesa ogni giorno alla stessa ora, e si dedica con zelo e fervore alle preghiere, ai canti religiosi e alle pratiche di devozione.

Tuttavia il termine bezzöche ha assunto una valenza molto negativa, ma non per la frequentazione delle donnette a tutte le funzioni della Chiesa. Questa già di per sè sarebbe una cosa buona e meritoria.
Invece queste famose bezzöche sono malviste perché ritenute pedanti, chiacchierone, pettegole (tagghja-tagghje). E poi capaci con le loro voci stridule di rendere inascoltabili gli antichi e bellissimi inni liturgici.
In effetti anche i più bei canti gregoriani per bocca loro diventavano nenie storpiate e strascicate talmente tanto da far addormentare i fedeli.

Non parliamo poi della storpiatura del latino!
Et anticum documentum.. diventava com’è antico lu cunvento…

Tutto un programma.

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Il sostantivo al maschile suona bezzuche. 

Negli uomini è raro trovare soggetti che si dedichino alle pratiche religiose con tanta assiduità come accade alle donne, o che si occupino tanto di gossip casarecci.

Ricordo mia nonna che citava una “chiusa di ulivi” (un uliveto recintato) vicina all’abitato di Manfredonia di proprietà de  ‘U Bezzuche, ma credo che in questo caso sia un semplice soprannome.

(La simpatica foto è stata reperita in rete)
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Bettöndomàtece

 

Bettöndomàtece s.m. = Bottone automatico, bottone a pressione

La consueta capacità di sintesi del nostro dialetto.

Al plurale suona: ‘i bettündomàtece.

Il bottone automatico è costituito da due dischetti metallici che si incastrano l’uno nell’altro per pressione. Si abbottonano facilmente e altrettanto agevolmente si sbottonano. Vengono cuciti su due lembi contrapposti di tessuto o su altri supporti per tenerli uniti.

Esistono di varie misure, a seconda dell’uso cui sono destinati. Quelli piccoli per camicette di bambini; quelli medi si usano in pelletteria per calzature, borsette e giubbotti; quelli più grandi per tasche, borsoni, giacconi e stivali.

Praticissimi, si lavano insieme all’indumento. Ora vengono spesso sostituiti dal moderno Velcro®.

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Benghéle

Benghéle s.m. = Bengala, Razzo

Fuoco d’artificio dai colori vivaci; razzo luminoso usato per segnalazioni e, in operazioni belliche, per individuare i bersagli di notte; significa anche cilindro fumogeno, usato per segnalazione, e qualche volta allo stadio con fumi variamente colorati.

In dialetto ha assunto una valenza negativa perché definisce qlcu lungo e fessacchiotto.

Si diceva, per esempio: Sì pròprje accüme a ‘nù benghéle, tutte füme… = Sei proprio come un bengala, tutto fumo…

Oppure ad uno molto alto e snello, in modo accrescitivo: (clicca→) Bengalöne

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