Tag: sostantivo maschile

Düje-bastöne

Düje-bastöne s.m. = Due di bastoni

Si tratta della denominazione di una singola carta da gioco del mazzo delle 40 carte dette “napoletane”, mazzo che comprende 10 carte per ogni seme: denari, coppe, spade e bastoni.

Invece nel mazzo di 52 carte dette “francesi”, 13 per ogni seme, ci sono: cuori, quadri, fiori e picche.

Generalmente il due di bastoni è considerata una scartina, cioè una carta di poco valore.  Però In certi giochi, come nel “tressette” invece è molto ben apprezzata.   Al Nord dicono che una persona vale il due di picche quando non ha voce in capitolo.

Scherzosamente, venivano detti “due bastoni” i mutandoni lunghi  i vréche (←clicca), usati una volta dagli uomini che lavoravano all’aperto in mare, in edilizia o i nei campi, per proteggersi nella stagione fredda.

Infatti una somiglianza dei mutandoni con quella carta è evidente.

 

 

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Prèsèndatàrme

Presèndatàrme s.m. = Rimprovero solenne, rimbrotto

È ben noto il significato letterale. di questo Comando militare alla voce, con cui si ordina ai soldati inquadrati di “presentare le armi” (da fuoco per la truppa e la sciabola per i graduati) in segno di onore e saluto. «At-tenti! Ri-poso! Presentàt-arm!»

Nella nostra parlata ‘u presèndatàrme  per l’imperiosità della voce, assume un significato di rimprovero verbale molto forte, un vero e solenne cazziatöne fatto in pubblico.

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Pöte

Pötes.m. s.f. v. intr.= Piede, potatura, può

1 – Pöte – al maschile significa semplicemente piede, riferito sia  a quello umano, sia a vari oggetti (pöte ‘u ljitte = piede del letto, pöte-u-vrascjire = piede del braciere, ecc.)

2 – Pöte – al femminile (‘a pöte o anche ‘a putatüre) indica l’operazione di sfrondatura delle piante coltivate (olivi o da frutta) allo scopo di accrescerne la resa.

3 – Pöte – Con lo stesso suono si indica la terza persona singolare del verbo putì, potere.  Ad esempio:
Giuanne nen pöte venì jògge= Giovanni non può venire oggi.
Mamme nen pöte mangé ‘a frettüre = mia madre non può mangiare la frittura (peccato!)

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Tedìgghje

Tedìgghje s.m. = Ascella

Accettate anche le variant1 tetìgghje, tetìgne, tedechìgghje

Incavo posto al di sotto dell’articolazione del braccio con la spalla.

L’ascella è particolarmente ricca di peli – che compaiono in età puberale – e di ghiandole sudoripare.

Inoltre è molto sensibile al solletico, dal cui verbo (clicca→) tedeché = solleticare, titillare derivano il sostantivo tedìgne = ascella, .e l’aggettivo tedecüse = sensibile al solletico.

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Candecatöre

Candecatöre s.m. = Banditore di asta

Nel linguaggio marinaresco era usato per indicare il banditore della vendita all’asta. Successivamente è stato adottato il termine, diciamo più moderno, di astatöre, praticamente simile al termine italiano Astatore.

Il soggetto doveva essere iscritto all’ «Albo degli astatori dei prodotti ortofrutticoli, carnei ed ittici», la cui normativa è compresa nella Legge n. 125 del 25 marzo 1959.  La figura dell’Astatore fu soppressa nel 2012,.

Era un abilissimo professionista, conoscitore della qualità dei prodotti che i pescatori conferivano al mercato ittico per la vendita ai grossisti.

I pesci,  suddivisi in specie (triglie, sparroni, seppie, cicale, polpi, sogliole, sgombri, ecc.) erano posti in “telai” e raramente pesati: generalmente si vendevano a cassette.

I cosiddetti telére =  “telai” erano delle cassette a bordi bassi, una volta di legno, poi di plastica rigida riutilizzabili, ed ora di polistirolo ingombrante e inquinante.

Il lotto dei pesci (ad esempio 20 cassette di cicale) veniva presentato dall’astatore partendo da un prezzo base, sul quale, a voce, i vari grossisti offrivano un rialzo fino all’aggiudicazione, annotato da Carlo Attanasio, un attentissimo Ragioniere presente all’asta, il quale rilasciava una  “bolletta” in due copie che attestava l’avvenuta compravendita. Una serviva all’acquirente per l’uscita del prodotto del mercato, e l’altra al pescatore per l’introito del venduto.

Per l’incasso, che generalmente avveniva  il giorno successivo, dato che il pescatore era in mare al lavoro, c’era un familiare delegato che passava a riscuotere presentando la sua copia della bullètte allo sportello pagatore del “Banco di Napoli”, che era ubicato in un gabbiotto all’interno del mercato stesso, il cui cassiere era  il rag. Celestino Telera.

Ringrazio sia Amilcare Renato, figlio di un Astatore in servizio al mercato dal 1950 al 1960, sia il prof. Matteo Castriotta, figlio di pescatore, per le preziose notizie fornitemi sull’andamento delle operazioni riportate in questo articolo.

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Zìnghe-nzelànghe

Zìnghe-nzelànghe s.m. = altalena

Usato generalmente al plurale, anche nelle versioni zlinghe-zlanghe, e zinghe-zelanghe, indica il gioco dell’altalena.
Mma fé i zlinghe-zlanghe? = Giochiamo all’altalena?

È un termine onomatopeico come din-don, tic-tac, tuppe-tuppe (toc-toc), e il sinonimo ndrìnghete-ndrànghete

Si riferisce specificamente a due segmenti di corda legati ad un rudimentale sedile e al ramo di un albero o ad altro appiglio.

Si può anche intendere l’asse di legno incernierato al centro e basculante su un cavalletto. Alle due estremità dell’asse si mettono i bimbi a cavalcioni e si sollevano alternativamente, ora l’uno tra l’altro.

Mia nonna diceva anche tràndele  = tiranti, ma credo che il termine sia di origine Montanara. Potete chiedere agli anziani se è conosciuto anche nel nostro dialetto?

I montanari usano il termine tràndele, ma trovo il nostro zìnghe-nzelànghe  più simile al napoletano zìnghete-mànghete o al calabrese mbìzzica-mbòzzica.

Per favore non chiamate il gioco con il termine italianizzante altalöne.  Si dice Zìnghe-nzelànghe!

Questo sostantivo dà il titolo a una pregevole raccolta di “Poesie e Canzoni in vernacolo manfredoniano” del poeta locale Michele Racioppa, mio illustre omonimo scomparso nel 2015.

 

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Calannàrje 

Calannàrje s.m. = Lista, elenco, programma.

Specificamente si dice che qlcu o qlco non è a calannàrje se è imprevista, inaspettata.

Statte cìtte ca ne stjive pe njinte a calannàrje = Taci tu, che non eri stato preso per nulla in considerazione (non eri nella lista)

Mò cust’ate fatte ne stöve pe nnjinde ‘ngalannarje = Adesso quest’altro fatto è del tutto imprevisto (non era in lista, non era programmato)

Ora i Manager Aziendali dicono che non è in Agenda, o in Planner.

Forse deriva dal sostantivo “calendario”, lunga lista con ben 365 Santi e altrettanti giorni.

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Ungiüne

Ungiüne   s.m. = Bastone a uncino

L’amico Enzo Renato mi ha dato lo spunto per questo articolo. Utilizzo copiando alcune sue righe, sperando che non mi denunci per plagio.

«…L’ungiüne è un bastone ricavato dalla biforcazione di un ramo alberello. Un braccio di lascia lungo, e fungerà di appoggio e l’altro corto, per il manico.  Tipico bastone per adoperato per svariati utilizzi.

Per uso  agricolo: cattura e abbassa i rami per facilitare la  raccolta di frutti alti, come nel fico, nei fichi d’india

Per uso pastorale: per appoggio e per catturare gli animali dalla caviglia.

Particolarmente resistente e forte deve essere però ricavato dal mandorlo, dal pero, dal susino, dall’albicocco; un po’ meno dall’olivo giacchè troppo eslastico e con troppi nodi e occhi sulla superficie, a meno che non venga messo a mollo per giorni e poi pelato a coltello.

Particolarmente apprezzato ‘u ngiüne a paròcche.(←clicca)   Alla sommita dei due bracci (quindi sul manico) è una grossa e tondeggiante sporgenza, un pomo, determinato proprio da un nodo del legno all’incrocio dei due rami a V.

Stessi concetti per il corno a V della fionda (a furcenèlle)(←clicca): ai due rami vengono annodate due banderelle di camera d’aria rosse di bicicletta, unite da un rettangolo di cuoio o tomaia.»

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Accedemjinde

Accedemjinde s.m. = Affaticamento

Parola un po’ desueta, adoperata solo dalle persone più anziane.

Significa strapazzo, affaticamento eccessivo, fatica enorme.

Va bene anche scritta acciüdemjinde, come acciüde, acciüse = uccidere, ucciso da cui ovviamente deriva, come se fosse ‘uccisione’.  Questa fatica è immane, mi farà soccombere, è al di sopra delle mie forze, mi ucciderà.

Fràteme sté accedendéte, e pe javezàrle ogne vòlte jì ‘naccedemjinde = Mio fratello è infortunato, e (l’atto di) sollevarlo, ogni volta è (per me) uno sforzo immane.

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Àcce

Àcce s.m. = Sedano

Il sedano (Apium graveolens), originario della zona mediterranea e conosciuto come piante medicinale fin dai tempi di Omero, è una specie erbacea biennale appartenente alla famiglia delle Apiaceae.

Le varietà più utilizzate in cucina sono il “sedano da costa” (Apium graveolens dulce) di cui si utilizzano i piccioli fogliari lunghi e carnosi, e il “sedano rapa” (Apium graveolens rapaceum) di cui si consuma la radice.

Presumo che il nome àcce derivi dal latino Apium.

Il mazzetto costituito dalle foglie piccole di sedano, usato in cucina per profumare pietanze, e non in insalata, è chiamato l’accetjille = Piccolo sedano.

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