Vònghele s.m. s.f. = Baccello; Vongola
1) Vònghele (almaschile) = Baccello di fava (Vicia faba).
In primavera le fave contenute in questo baccello si mangiano fresche assieme al pane e al formaggio pecorino. Una delizia mediterranea.
Il baccello, una volta seccato, si scarta facilmente lasciando liberi i semi di fava, che si conservano a lungo come gli altri legumi.
Il singolare ‘nu vònghele suona con la ‘ò’ larga, mentre al plurale va pronunciata con la ‘ó’ stretta: ‘i vónghele, o anche ‘i féfe de vónghele le fave in baccello.
Il prof. Michele Ciliberti – cui va il mio ringraziamento – mi fornisce l’etimologia di vònghele:
“deriva dal latino concula che significa “piccola conchiglia”; per indicare il baccello di fava il tardo latino utilizzava il termine conculum al maschile o al neutro, forse come contrazione di conclusum, cioè baccello “chiuso”.
2) Vònghele (al femminile). = vongola
Si tratta della famosa vongola verace (Tapes decussatus), apprezzatissima per il sapore e per il profumo intenso che dà all’intingolo usato per condire i famosi spaghetti alle vongole.
In questo caso vònghele viene pronunciato, al singolare e al plurale, alla stessa maniera, con la ò larga.
Quelle che compriamo sulle bancarelle, di allevamento, provengono quasi esclusivamente Chioggia e dalla laguna veneta: le nostrane sono scomparse forse perché nessuno le va più a raccogliere per la scarsa redditività.
Ho sentito dire da una persona anziana che anticamente le vongole erano chiamate ” ‘i còzzele bònghele” = le cozze vongole (per la solita mutazione della ‘b’ in ‘v’ e viceversa di derivazione spagnola, come il classico esempio di vàrve per barba).
Le vongole comuni (Chamelea gallina), sprovviste di sifoni specifici delle vongole veraci, sono dette in manfredoniano ‘i lupüne = i lupini. Ugualmente buone per preparare intingoli profumatissimi.
In Romagna le chiamano poveràss = poveracce, forse perché, per dimensioni, sfigurano davanti alle loro consimili, quelle veraci, più dotate e più tenere.
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