Pasùnne

Pasùnne s.m. = Tontolone

Al femminile fa Pasònne

Soggetto tardo a comprendere e ad agire, stupido, intontito, che agisce come fosse sempre assonnato (da cui il nome pasùnne, con un sonno…).

Aspìtte e aspìtte, ‘stu pasùnne nen’arrevöve méje! = Aspetta e aspetta, questo tontolone non arrivava mai!

Quann’jì ca ve speccéte?… Sti doje pasònne! = Quand’è che vi sbrigate? Queste due morte di sonno!

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Pastunéche

Pastunéche s.f. = Carota

La carota (Daucus carota) è una pianta erbacea appartenente alla famiglia delle ombrellifere; è anche uno dei più comuni ortaggi.

C’è un termine identico anche in spagnolo, portoghese, latino, e molto simile in tedesco e rumeno,(francese panais) che definisce la “pianta con radice carnosa, fusiforme alquanto gialla.

Gli antichi le attribuivano ogni sorta di virtù”. Deriva dal greco Panàkeia (lat. Panacèa) ossia: pan=tutto e àkos=rimedio.

Ho voluto documentarmi consultando il dizionario etimologico italiano.

Siccome come forma sono praticamente identiche, il nome generico “pastinaca” in tutto il Sud Italia, indica solo le carote, quantunque i due ortaggi siano diversi.  Infatti la carote sono commestibili anche crude in insalata, mentre le pastinache – largamente usate in Germania, Francia, Inghilterra – si possono mangiare solo cotte, come le patate, cui si avvicinano come sapore.

In dialetto il sostantivo simile, caröte, indica la barbabietola rossa (Beta vulgaris).

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Pastròzzele

Pastròzzele s.f. = Trasandata

L’aggettivo è rivolto specialmente a certe donne che non curano né la propria persona, né la loro casa.
Sinonimo del notissimo aggettivo muffàrde.

Sono quindi trasandate, malvestite, maleodoranti, arruffone, sporcaccione, ecc.

Credo che derivi da tròzzele, sterco ovino o gran sporco in genere.

Ho sentito pronunciare la forma breve “pastrozze“, un po’ come è accaduto per còzzele che è diventato cozze.

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Pastöre

Pastöre s.f. = Bandana a tracolla, pastoia

1) ‘A pastöre = Striscia di robusta tela olona cucita ad anello che i pescatori adibiti a salpare la sciabica portavano a tracolla. L’anello di tela terminava con una sagola e un grosso sughero.

I pescatori entravano in mare finché il pelo dell’acqua lambiva il ginocchio.

Avvolgevano con un rapido movimento la sagola al tirante della rete e spingendo con la forza muscolare come i muli attaccati all’aratro, portavano la rete della sciabica fino a riva, ripetendo il movimento di andata in acqua a vuoto e ritorno alla battigia sotto sforzo.

2) ‘A pastöre = Pastoia. Corda legata alle zampe degli animali per ternerli frenati.
Si lega alle zampe anteriori degli animali al pascolo, per evitare che si allontanino troppo.
Usata anche per le bestie da latte per tenerle ferme durante la mungitura manuale.

3) ‘U pastöre s.m. = Pastore. Chi custodisce e porta al pascolo il bestiame, spec. ovini e caprini. Comunque questo termine in dialetto manfredoniano è piuttosto desueto. Si preferisce dire più specificamente: pecuréle = pecoraio; crapére = capraio; e vacchére = bovaro, vaccaro.

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Pastöravacche

Pastöravacche s.m. = Cervone


Il cervone (Elaphe quatuorlineata) è il più lungo serpente italiano ed uno tra i più lunghi d’Europa. La sua lunghezza può variare dagli 80 ai 240 cm, anche se raramente supera i 160. È di colore bruno-giallastro con le caratteristiche quattro scure barre longitudinali (da cui il nome scientifico). Vive nel sottobosco fino a 1000 m di altitudine. Non è velenoso.
Il nome deriva dalla “pastoia”, un legaccio che si pone alle zampe anteriori o posteriori dei quadrupedi per impedirne il movimento. Per esempio era usato per immobilizzare le mucche durante la mungitura.

Curiosità da Wikipedia:
“Secondo alcuni il nome cervone deriva dal fatto che i pastori che lo vedevano durante la muta scambiavano la pelle secca della testa per delle corna. Per altri il nome è dovuto alle piccole escrescenze presenti sul capo. Per altri ancora le corna sono virtuali ed indicano la nobiltà di questo serpente, tra i più grandi d’Europa.

È anche chiamato Pasturavacche in quasi tutte le regioni del centro-sud, in quanto la credenza popolare voleva che fosse attirato dal latte delle vacche e delle capre al pascolo, e che per procurarselo si attaccasse alle mammelle degli animali, o addirittura lo leccasse dalle labbra sporche dei lattanti.”

Insomma, fungeva esso stesso da pastoia per tenerli fermi, allacciandosi alle loro zampe posteriori.

Tutti ci credevano e gli anziani giuravano che era la verità!

Addirittura mia nonna mi raccontava che il serpente usasse penetrare di notte nelle case di campagna attratto dall’odore del latte e, una volta infilatosi nel letto, si attaccava al seno della donna per succhiarne a volontà. Per evitare che il pupo si svegliasse, gli poneva perfino in bocca l’estremità della sua coda… Giurava che era vero!

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Pàsse ‘nnande pàsse

Pàsse ‘nnande pàsse loc.id. = Gradualmente, a piccoli passi.

La locuzione, oltre che in modo figurato col significato di progresso graduale e costante, descrive anche una reale passeggiata che si protrae piano piano abbastanza a lungo.

In italiano, stranamente, si dice “un passo dietro l’altro” o anche “passo dopo passo”: ma che succede, si cammina all’indietro? È certamente più realista il nostro modo di dire, che tradotto alla lettera significa: “un passo avanti l’altro”.

Passe ‘nnande passe e süme arrevéte a Sepònde = Quasi senza accorgersene siamo giunti a Siponto. Una bella passeggiata!

Passe ‘nnande passe e quedda fìgghje j’ì rrevéte alla làurje
 = Piano piano quella nostra figliola è giunta alla laurea. Brava!

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Passarèlle

Passarèlle s.f. = Passera di mare, o passera pianuzza

A volte viene chiamata rennenèlle = rondinella.
Si tratta di un pesce di mare (Platichthys flesus) che con i passeri (passarèlle significa passerina) ha  in comune forse il solo colore cangiante del mantello.
Appartiene alla specie delle Platesse atlantiche.

Come tutti i pesci congeneri (sogliola, suacia/cianchetta/zanghetta, platessa, limanda, ecc…) ha  il corpo appiattito di forma ovaleggiante e gli occhi su un solo lato della testa.
Possiede notevoli capacità mimetiche.  Spesso  per sfuggire ai predatori o per praticare la caccia, si copre della sabbia del fondale, da cui spuntano solo i suoi occhi protuberanti.
Si nutre di invertebrati e di piccoli pesci, soprattutto ghiozzi.

La lunghezza massima è di 40 cm. Vive anche in Adriatico.
Carni apprezzate.

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Passaméne

Passaméne s.m. = Corrimano

Lunga asta di metallo o legno infissa lungo la parete della scalinata con sostegni distanziati, che serve come appoggio.

È presente anche sui mezzi di trasporto urbani, in forma tubolare, cui si aggrappano i passeggeri per sorreggersi durante la corsa.

Intendiamo con passaméne indicare anche la parte superiore ringhiere, parapetti, perlopiù in ferro, o legno, di balconi, scale, terrazze ecc.

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Pàrte

Pàrte s.f. = Parte, porzione

Un termine  poliedrico!

1) La pàrte, ciascuna delle frazioni o degli elementi in cui può essere suddiviso o scomposto un intero.  In dialetto esiste un significativo proverbio con questo termine: Chi sparte jéve ‘a megghja parte

Quèst’jì ‘a parta töve. Fàttele abbasté = Questa è la tua porzione. Fattela bastare. Evidentemente il poverino è a dieta e riceve le porzioni ridotte!

2) Fé alla pàrte = Fare alla parte. In dialetto significa associarsi al 50% (fifty-fifty)in qlc impresa commerciale, o anche semplicemente per spartirsi amichevolmente a metà la posta in gioco in una partita a carte.

Credo che sia tuttora in uso fé alla parte nel raccogliere le olive nei piccoli oliveti. Il proprietario delle piante chiama qlc conoscente che provvede alla raccolta. Le olive vengono portate al frantoio e l’olio ricavato si suddivide a metà tra il proprietario delle piante e colui che le ha raccolte.

3) ‘A pàrte = Lo spartito musicale scritto per ognuno degli strumenti di un’orchestra, ricavato dalla partitura (generale) ad uso del Direttore. .

4) ‘A parte a ssöle = L’esecuzione musicale del solista.  Aspettéte ca mò ‘a trombe uà féje ‘a parte a ssöle = Aspettate che ora la tromba eseguirà un pezzo da solista.

5) Parte =  partire, verbo declinato al presente (Giuanne parte jogge = Giovanni parte oggi) o all’infinio (Mattöje nen völe parte = Matteo non vuole partire).

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Paröla möje ai chéne (La)

La paröla möje ai chéne loc.id. = Non sia mai

Alla lettera: La parola mia ai cani.

Si usa questa locuzione prima di pronunciare qls cosa che possa essere mal interpretato dall’interlocutore.

Si preferisce chiarire che quello che si sta per dire di spiacavole non debba nuocere ad alcun essere vivente, tranne i cani. Perciò è meglio che questi siano senza proprietari.

Un po’ come ‘nziamé, allonghe da ‘gnüne, allonga süje

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