Mangé grasse

Mangé grasse

Mangiare grasso.

Nulla a che vedere con una dieta ipercalorica!

È un modo di dire locale per indicare il turpiloquio.

C’è gente che ama usare un linguaggio scurrile, pieno di volgarità, di oscenità, di parolacce, forse credendo di apparire interessante.

Una parola, quanno ce vò, ce vò, come dicono i Romani, può anche colorire una frase, un concetto, ma due sono già troppe. E che cazze!

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Mànge a góste tüje e vjistete a góste de l’ate

Mànge a góste tüje e vjistete a góste de l’ate

Mangia secondo il tuo gusto, ma vestiti secondo il gusto degli altri.

Morale del proverbio: quello che mangi è una cosa che riguarda solo te, ma quello che tu indossi riguarda anche gli altri che ti vedono, ti osservano e ti giudicano.

Per esempio non puoi permetterti di indossare giacca scura, camicia di seta, cravatta a farfalla, e poi calzare scarpe da montagna o da tennis (qualcuno lo fa…) Ti rendi ridicolo!

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Mandjineme ca te mandènghe

Mandjineme ca te mandènghe

Sostieni me, così che io possa sorreggere te.

Un modo di dire per evidenziare una instabilità, una incertezza, un bisogno di aiuto reciproco.

Denota anche una situazione di precarietà, e non solo fisica.

Ad esempio: la salute malferma, una strada sdrucciolevole, uno strascico giudiziario.

-Uhé, la nonne, accüme stéje?
– Uhm, mandjineme ca te mandènghe!
 = Ehi, nonna, come stai? Uhm, così-così.

Veramente mia suocera, che era una nonnetta sprint, alla suddetta domanda rispondeva volentieri :cüme la fèsse de màmete!…
Ma qui andiamo troppo nel privato!

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Mandenì ‘a cannöle

Mandenì ‘a cannöle

Reggere il moccolo. Fare da candeliere.

Credo che ormai, dopo la nota canzone di Trovajoli “Roma nun fa la stupida stasera” questo modo di dire si sia diffuso in tutta Italia. Ma forse esisteva già prima nei vari dialetti.

Che vuol dire mandenì ‘a cannöle? Chi lo dice?

Certamente l’intruso, o chi si sente intruso fra due che si scambiano effusioni! Che sto a fare tra di voi? A illuminare la scena? Il lampadario? Il candeliere?

 

E che agghja fé ammjizze a vüje? Agghja mandenì ‘a cannöle’? = E che debbo fare in mezzo a voi? Devo reggere la candela?

 

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Mamme e figghje….

Mamme e figghje….

Lo cito completo, perché il proverbio è lungo, e nel titolo di testa non ci entra (nen ce chépe)

Mamme e fìgghje ce càpene ‘nda ‘na buttìgghje;
mamme e nöre ce càpene ‘nda döje lenzöle.

Mamma e figlia ci stanno dentro una bottiglia; mamma e nuora ci stanno dentro due lenzuola.

È questione di vicinanza fisica ma soprattutto affettiva. Una mamma starebbe sempre vicina vicina a sua figlia. Con la nuora forse è meglio che si mantenga un po’ alla larga, per il bene di entrambe!

Esiste una variante:
Sogre e nöre: ‘u diavele e la malöre; mamme e fìgghje: ce càpene ‘nda ‘na buttìgghje.  Suocera e nuora sono definite diavolo e disgrazia….

Comunque lo stereotipo della suocera invadente e della nuora pungente è un po’ in declino. Io non credo che sempre e in ogni caso debba esserci acredine tra le due. Ora la mentalità, grazie a Dio, è molto più elastica (spero!).

Ringrazio Michele Berardinetti e Consiglia Artone per i preziosi suggerimenti pubblicati su FB.

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Mambredònje jì cüme a na tüne….

Mambredònje jì cüme a na tüne: quèdde ca fé a sore ce sépe ‘a matüne

Manfredonia è come una tinozza: quello che si fa la sera è noto a tutti l’indomani mattina.

Il Detto rispecchia l’animo pettegolo di paese, quando Manfredonia era ancora raccolta all’interno delle antiche mura, e come numero di abitanti era inferiore a Monte Sant’Angelo. Ossia fino agli anni ’30, come mi raccontava mio padre.

La tinozza, il mastello da bucato dà l’idea della limitatezza dello spazio.

Il paragone con la tüne = tinozza, bigoncia, è solo questione di rima con matüne

Non c’è più il pettegolezzo tagliente a Manfredonia. Ora c’è il gossip sforbiciante!

Ringrazio Matteo Totaro che mi ha citato questo Proverbio.

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Maledezzjöne, alla vamméne!

Maledezzjöne, alla vamméne!

Maledizione alla levatrice!

Si cita scherzosamente contro qlcn che si giudica maldestro.

Se la prende con levatrice che avrebbe dovuto affogarlo appena nato, intuendo che era un cattivo soggetto, ma non l’ha fatto.

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Male-màstre so’

Male-màstre so’,

male-firre tènghe,

a me ne me ‘ngòzze,

e nisciüne me chiéme

 

Sono un cattivo artigiano, ho cattivi arnesi, non ho voglia di lavorare e nessuno mi interpella.

Voglia di lavorare saltami addosso….

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Madònne de lu Càrmene…

Madònne de lu Càrmene, Bella Segnöre,
mandjine l’ànema möje pe quanne je möre

Madonna del Carmine, Bella Signora, mantieni l’anima mia per quando io muoio.

In italiano corretto sarebbe: sorreggi, o custodisci l’anima mia nell’ora della mia morte (così come è detto nell’ultimo verso dell’Ave Maria).

Questi versi, bellissimi e musicali, a rima baciata di tredici sillabe, forse erano stati composti su un motivo musicale, perché ha tutti gli accenti giusti.

È una giaculatoria, una preghiera popolare semplice e spontanea, che veniva recitata anticamente da chiunque passasse davanti alla Chiesa dedicata alla Madonna del Carmine (detta anche del Carmelo), in Corso Manfredi.

Maria di Nazareth, madre di Dio e madre nostra, venne da secoli venerata sotto i vari titoli: Madònna Sepundüne, de Pulezéne, de Sepònde, d’a Stèlle, du Càrmene, de ‘Ngurnéte, l’Adduluréte, l’Assunte, ecc.

Ella è sempre stata molto amata dal popolo, come una mamma cui potersi confidare nei momenti tristi che purtroppo erano frequentissimi a causa delle condizioni di indigenza in cui si dibattevano quasi tutte le famiglie italiane.

Passando davanti alla chiesa a Lei dedicata, ubicata proprio sul Corso principale, questo “saluto” usciva spontaneo dal cuore della gente come gesto d’amore e di rispetto.

Così accadeva nei tempi passati. Adesso i cuori sono pieni di altri sentimenti e non hanno posto per la devozione. Purtroppo…

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Madéma cuntrariöse, quanne chjöve vé a mètte l’acque ai puleciüne

Madéma cuntrariöse, quanne chjöve vé a mètte l’acque ai puleciüne

Madama piena di contraddizioni, quando piove va a mettere l’acqua ai pulcini.

Si cita quando qlcn fa un’azione faticosa, inopportuna e sopratutto inutile.

In questo caso la pioggia è più che sufficiente a dissetare i pulcini nel recinto o nell’aia.

Insomma, come si dice in italiano, fa il “Bastian contrario”, e in dialetto, jì scucchjande = è incoerente.

Nota linguistica.
-Si è usato un termine da élite dicendo madéme, per dare un’aria chic a quella sciocca.
Cuntrariöse è una forzatura linguistica per imitazione. Mi spiego meglio: la desinenza -öse = -oso/a, in italiano significa “pieno/a di..” (per es.: polverosa, sassoso, nevoso, ecc.). Quindi in italiano cuntrariöse equivale a “pieno di (atteggiamenti) contari”. Non esiste in lingua l’aggettivo “contrarioso”, o almeno nessun grande scrittore lo ha mai usato finora da poter legittimarne l’uso.

Non guardate me…

Scusate il mio atteggiamento pedante. Ci tengo semplicemente alla precisione.

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