La mamma jì vertuöse e la fìgghje jì cüle töse

La mamma jì vertuöse e la fìgghje jì cüle töse

La mamma è così virtuosa e (invece) la figlia è “culo teso”.

Culo teso può indicare schiena dritta, ossia che non si piega e non si presta a fare lavori domestici.

Smentisce il proverbio “talis pater“…tale padre, tale figlio. Forse vale solo per i difetti!

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La mala növe ‘a porte ‘u vjinde

La mala növe ‘a porte ‘u vjinde

La cattiva notizia la porta il vento.

Più ottimisticamente preferisco il proverbio in lingua “Nessuna nuova, buona nuova”!

In effetti le cattive notizie volano presto e veloci. Se sei in ansia perché tuo figlio non rientra al solito orario non arrovellarti eccessivamente. Se gli fosse capitato un brutto evento lo avresti saputo dopo pochi minuti, specie ora con i telefonini così diffusi.

(Grazie a Carmela per il suo suggerimento)

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La Madònne sépe chi töne ‘i recchjüne

La Madònne sépe chi töne ‘i recchjüne

La Madonna sa chi tiene gli orecchini.

Antefatto: “pare che in una chiesa di Foggia furono rubati gli orecchini dalla statua della Madonna; il prete, durante l’omelia, ammonì i fedeli dicendo appunto che la Madonna sapeva chi era stato il colpevole, cercando di spaventarli nella speranza di una restituzione del maltolto”.(ringrazio l’autore: Alberto Mangano di Foggia)

Da allora è rimasto il Detto, diffuso nell’intera Capitanata, che significa che la verità viene a galla, che qualsiasi mascalzonata venga commessa, prima o poi sarà smascherata.

Un invito a comportarsi correttamente, come ammonisce ogni Adagio popolare.

Una seconda interpretazione  riferisce di una donna molto povera che, per impetrare la guarigione del suo figlioletto, si dispera davanti alla Vergine, non potendole portare nulla in dono.
La Madonna conosce bene lo stato di reale povertà di questa mamma e magari intercede per lei, riconoscendole devozione e fede.
Perciò Maria sa perfettamente chi è abbiente (ed è tirato) e chi non lo è (ma sarebbe generoso).

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La jallüne fé l’öve, e au jàlle li dóške ‘u cüle

La jallüne fé l’öve, e au jàlle li dóške ‘u cüle

La gallina fa le uova e al gallo gli pizzica il culo.

C’è chi sa prendersi i meriti di un risultato positivo, e sa lamentarsi delle sue fatiche sofferte per ottenerlo, tacendo sul fatto che le pene sono state sofferte da altri.

Succede negli ambienti di lavoro. Il capo sa sempre mettersi in mostra: perciò i meriti sono tutti suoi.

I collaboratori invece, che hanno faticato, si sono fatti il mazzo così, sono quasi sempre ignorati, non sono nemmeno nominati, e men che meno additati per riconoscerne i meriti e dar loro un plauso.

Un po’ come la storia del mese di Maggio che si prende l’onore della fioritura di Aprile.

La voce verbale dóške viene dall’infinito (clicca→) dušké = dolere, bruciare

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La gràscia putténe!

La gràscia putténe!

L’abbondanza puttana!

Quando si vuole evidenziare che non sempre è bene avere più del necessario, si usa questo detto rivolto propri figli.

Ossia, è l’abbondanza maledetta che vi fa diventare viziosi, e perciò con voi si comporta malissimo, come una donnaccia: se ci fosse stata la carestia, tante storie ora non si sarebbero fatte!

Quando qualcuno è dotato di beni economici, per lo meno sufficienti, e si lamenta perché non ce la fa a campare, oppure si trova in una situazione di serenità e tranquillità eppure non è contento, si è soliti redarguirlo dicendogli: quèdde jì la grascia putténe!

Il termine abbondanza si traduce gràsce, ossia con desinenza -sce, ma per poterla legare eufonicamente alla parola seguente si fa terminare con -scia.

Mia madre, che non avrebbe detto mai una parolaccia, nemmeno sotto tortura, usava dire: ‘a mangiatöre jì vàsce = la mangiatoia è bassa, raggiungibile senza fatica…

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La fatüje vé annànze e jìsse scàppe addröte

La fatüje vé annànze e jìsse scàppe addröte  

Il lavoro va avanti e lui corre dietro.

Si pronuncia questo Detto quando si parla di qualcuno poco propenso a lavorare.

Voglia di lavorare saltami addosso, e fammi lavorare meno che posso.

Da noi il lavoro, anche quello intellettuale è detto fatica. È in effetti stanca notevolmente sia quella muscolare, sia quella cerebrale.

Gli anziani recitano il Detto con una lieve variante sostituendo “dietro” con “appresso”:
La fatüje vé ‘nnànze e jìsse scàppe apprjisse. 

 

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La fatüje ce chiéme checòzze…

La fatüje ce chiéme checòzze…

Detto completo: ‘A fatüje ce chiéme checòzze, a me nen me ‘ngòzze, a me nen me ‘ngòzze.

Il lavoro si chiama “zucca”, e non mi sollecita, non mi attrae, non mi stuzzica la voglia.

Poteva chiamarsi in mille altri modi, purché in rima con ‘ngozze.…
Un verbo un po’ strano. Altrove usano la locuzione “non mi azzecca”, o “non mi attira”, oppure “non mi invoglia “…

In italiano corrisponde un altro proverbio: «Voglia di lavorare, saltami addosso, e fammi lavorar meno che posso.»

E’ un ritornello rivolto verso qualcuno che non inizia mai un lavoro  manuale che deve comunque eseguire. Guarda qua, osserva là, deve organizzarsi, meglio aspettare, ci vogliono gli attrezzi adatti, domani se ne parla, ci vuole un aiuto,….ecc.

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