Chépa-grosse sopr. = Testone, capo grosso
Etimologia facile. Vedi anche , capacchjöne , chépa-grosse, larga e lunga.
Chépa-grosse sopr. = Testone, capo grosso
Etimologia facile. Vedi anche , capacchjöne , chépa-grosse, larga e lunga.
Chépa-bjanche soprann.= Canuto
Nomignolo affibbiato a qlcn che precocemente ha avuto i capelli imbiancati.
La canizie talvolta si manifesta, per derivazione genetica, anche in giovane età.
Chenzöle s.f. = Consolle
“Consolle” è un arredo domestico, ed è un termine francese tel quel..
Si tratta di un ripiano fisso, a mensola, sorretto da telaio con piedi di legno intagliato.
E’ sempre completato da uno specchio, la cui cornice si armonizza con lo stile e con le intagliature della sottostante «consolle ».
In questa opera si riflette la immensa bravura dei nostri artigiani. Era fatto completamente a mano, compreso gli intagli, in stile quasi barocco.
Era l’orgoglio delle nostre nonne. Molte consolle sono purtroppo diventate legna da ardere perché incoscientemente considerate vecchiume dai nipoti…
Chenéte s.f. = Chiletto, chilata
Al contrario di chenarjille, che valuta un chilo solo in difetto (quasi un chilogrammo), questo sostantivo può anche andare per eccesso: pesa un kg circa, un po’ più o un po’ meno, ma siamo lì.
Jògge mangéme djice persüne: quanda paste agghja mené? Meh jüje düche ca ‘na chenéte avàste = Oggi mangiamo dieci persone: quanta pasta devo calare? Beh, io dico che una chilata basta.
Quande pèsene quìddi cerése? Sarrànne ‘na chenéte = Quanto pesano quelle ciliege? Saranno circa un kg
Chéne-mùrte loc.id.. = Insificante, apatico.
Il termine, raccolto di recente, designa qlc elemento del gruppo che non ha smalto, o brio, o vivacità.
Non prende mai alcuna iniziativa, è “spento” anche se di giovane età.
Insomma indica una persona senza vitalità, che è fermo come un cane morto!
Mattöje jì proprje ‘nu chéne murte = Matteo è proprio in tipo apatico.
Talvolta invece indica un fetore insopportabile paragonabile a quello che esala da una carcassa di cane insepolto.
Föte a chéne murte = Puzza come un cane morto.
Chéne s.inv. = Cane
(etimol. dal latino Canem, greco Kuon)
Animale domestico (fam. canidi) molto comune, diffuso in tutto il mondo, usato per la caccia, la difesa, nella pastorizia, come animale da compagnia o per altre attività.
Chéne arraggéte = Cane arrabbiato. Indica il cane colpito da una terribile malattia chiamata idrofobia. O anche fig. una persona avida, cattiva, egoista, litigiosa.
Chéne vattescéte = Cane bastonato. Evidenzia figuratamente, l’aspetto di qlcu mogio, afflitto, scoraggiato, rassegnato.
Assemègghje a ‘nu chéne vattescéte = Somiglia a un cane bastonato. Il termine vattescéte è ormai desueto.
In dialetto, che sia maschile, o femminile, o singolare, o plurale, si dice sempre chéne. Ovviamente è l’articolo che determina il genere e il numero dei cani (‘u chéne, ‘a chéne, ‘i chéne)
Chenarjille s.m. = Chilotto, chiletto,
È una valutazione “a occhio” del peso di un oggetto o una derrata alimentare, senza che ci sia un controllo sulla bilancia, cui viene attribuito il valore di circa un kg.
Segnö, accattatìlle ‘stu pólepe ca jì angöre vüve, sarrà ‘nu chenarjille: dàmme sett’èure e böna salüte!
= Signora, còmpratelo questo polpo perché è ancora vivo (appena pescato), sarà un chiletto: dammi sette euro (mangialo) e che si tramuti in buona salute!
Si capisce che è un diminutivo di cüne = chilogrammo
Chemò s.m. = Comò, cassettone, canterano.
Mobile a cassetti, usato per conservare prevalentemete biancheria da letto e personale.
Deriva dal francese. Il termine è stato adottato anche dalle altre lingue europee
Francese commode (pronuncia comòdd)
Inglese commode, commodes
Portoghese cômoda
Spagnolo cómoda
Tedesco amt, kasten, kommode
Una volta si costruivano esclusivamente a mano e lucidati a spirito. I nostri artigiani – ora purtroppo introvabili – erano bravissimi, compreso il famoso Sfasciachemò, chiamato spregiativamente in questo modo per invidia o per sfottò.
Chelüne n.p. = Michelina, diminutivo di Michela.
Deriva dall’ebraico Mika’el, composto da mi, “chi?”, ke, “come” e da El, abbreviazione di Elohim, “Dio”, e significa quindi “chi è come Dio?” (Qui ut Deus?)
L’onomastico è tradizionalmente festeggiato il 29 settembre in ricordo della consacrazione del santuario dedicato all’arcangelo Michele sul monte Gargano.
I Montanari usano, per devozione all’Arcangelo, il femminile Cajéle. Con la pronuncia manfredoniana sarebbe Cajöle, ma fortunatamente non è più usata perché ha un suono orribile.
Si preferisce il diminutivo Michelina, ossia Chelüne. Le generazioni attuali lo pronunciano alla latina Micaéla. Certamente è più armonico.
Ricordo Chelüne ‘a vuccjöre = Michelina la macellaia, che aiutava suo marito Pasquale Arena, nella loro beccheria di Via Tribuna.
Chelòmbre s.m. = Fico fiorone, siconio
Frutto dell’albero di fico (Ficus carica), con corteccia grigia, fusto di legno chiaro, dalle foglie a forma di cuore e frutti a pera particolarmente gustosi.
La prima fioritura, in primavera inoltrata, produce i fichi fioroni. A secondo della famiglia, si possono presentare con la corteccia color verde chiaro o nero/violetto. Particolarmente apprezzati i primi, specie se provenienti da Macchia.
A settembre c’è la seconda gettata, che è la fruttificazione vera e propria.
Notare la differenza di pronuncia della “o”:
al singolare ‘nu chelòmbre; al plurale ‘düje chelómbre.
Quando qualcuno anticamente si recava nelle piantagioni di fichidindia per espletare i suoi bisogni corporali, eufemisticamente raccontava di essere andato a farsi ‘na mangéte de chelómbre = una mangiata di fioroni. Probabilmente perché una loro scorpacciata in effetti avrebbe procurato un rilassamento intestinale!
La “passeggiata”, visto che siamo in argomento, si definiva anche come ‘na spasséte [dal tedesco spazieren (leggi spasiren) = passeggiare]
Nota linguistica.
In tutta la Puglia e anche in Basilicata di usa un termine abbastanza simile, seppure adattato alla parlata delle varie località (Chelùmbre, chelummu, culumbi, chelìmme, ecc.).
Ho letto in rete:
«il fiorone è un prodotto tipico della nostra terra, ma i botanici storcerebbero il naso a sentire chiamare “frutto”, quella che in realtà è una “infiorescenza”, detta siconio o sicono».
Non voglio fare lo scienziato, ma mi sembra che il termine nostrano derivi dal greco κόρυμβος (leggi korumbos) = corimbo, ossia fiore, infiorescenza.