Musselüne, Musselüne, a ogni chése sté ‘nu mulüne

Musselüne, Musselüne, a ogni chése sté ‘nu mulüne

Mussolini Mussolini in ogni casa c’è un mulino.

Questo Detto circolava nel 1936, allorquando la Società delle Nazioni, impose le “inique” sanzioni economiche all’Italia che aveva mire espansionistiche avendo accupato l’Etiopia nel 1935.

L’embargo costrinse il regime a propagandare l’autarchia, cioè l’autonomia economica: niente importazioni di caffé, cacao, macchinari inglesi, ferro, carbone, baccalà norvegese, ecc.

Come contromisura venne dato il via alla campagna “Oro alla Patria” ed esattamente un mese dopo, il 18 dicembre 1935, fu proclamata la “Giornata della fede”, giorno in cui gli italiani furono chiamati a donare le proprie fedi nuziali per sostenere i costi della guerra e far fronte alle difficoltà delle sanzioni. In cambio, graziosamente, il Fascio regalava agli sposi un anello di acciaio.

Fu anche ingaggiata la “battaglia del grano” con Mussolini in prima persona ad alimentare la trebbia, e altre simili azioni propagandistiche. Lascio immaginare il disagio degli Italiani che però erano sollecitati dal Regime quali intelligenti, geni, eroi, ecc.. Tanto è vero che il termine “autarchico” (per esempio per indicare il “caffé” fatto con orzo e semi di cicoria tostati: una ciofeca) è diventato assolutamente dispregiativo.

Allora, secondo me che non sono uno storico, presumo che il Detto non sia un grido di vittoria, come se in ogni casa ci fosse tanto grano da macinare! Forse forse mi sta venendo a mente il fatto che TUTTO il grano prodotto doveva andare all’ammasso, e che poi veniva venduto alle famiglie in base al numero dei componenti, per mezzo delle famigerate Tessere Annonarie.

Quindi il mulino domestico era reale, e serviva a macinare il grano acquistato al mercato nero, o spigolato per i campi.

Quelli più anziani di me potrebbero dire la loro. Io ricordo solo che mio padre, abilissimo artigiano, aveva creato un mulino a manovella per uso domestico: lo si usava in casa di notte (quindi clandestinamente) ma forse solo per non pagare la “macinatura” e/o la tassa sul macinato.

Ringrazio Alfredo Rucher per il suggerimento.

In punto mi è giunto tramite FB un grazioso commento di Tonia Trimigno. La lettrice riferisce la seconda parte del Detto, pronunciata da suo marito dopo aver letto quanto sopra. Evidentemente era diffuso presso i nostri nonni durante la guerra.

Riporto il detto per intero:

Musselüne, Musselüne,
a ogni chése sté ‘nu mulüne!
Arrespunnètte Hittlèrre:
uagnü’, faciüte mò
ca jì tjimbe de guerre!

Mussolini Mussolini in ogni casa c’è un mulino.
Rispose Hitler (allora nostro alleato):
Ragazzi, fate adesso
perché è tempo di guerra (del doman non v’è certezza).

Non ho capito bene a che cosa si riferisca quel  fate adesso…

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Murte ‘u crijatüre, nen ce chiaméme chjó cumbére

Murte ‘u crijatüre, nen ce chiaméme chjó cumbére

Morto il neonato non ci chiamiamo più “compare”.

Il padrino di battesimo rimprovera i genitori del neonato morto evidentemente di una malattia infantile, di scarso rispetto. Fintantoché viveva il figlioccio, erano considerati “compari”, sia il padrino, sia sua moglie.

Scomparsa la causa del legame, non si sentono più obbligati al rispetto.

Tutto è figurato, intendiamoci, per rimproverare qlcu di scarsa gratitudine.

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Mónne jöve, mónne jì, e mónne sarrà

Mónne jöve, mónne jì, e mónne sarrà

Mondo era, mondo è, e mondo sarà.

Esiste anche una variante nei tempi verbali, senza alterare minimamente il significato di questo Detto antico: Mónne jì stéte, mónne jì, e mónne uà jèsse. = Mondo è stato, mondo è, e mondo ha da essere.

Il senso è chiarissimo: possono cambiare i mezzi, le condizioni di vita, le tecniche ecc., ma nell’animo dell’uomo albergherà sempre la stessa indole malvagia: tendenza alla sopraffazione, propensione allo sfruttamento, alle ruberie, all’egoismo, alla prepotenza, ecc. ecc..
Il latino Tito Maccio Plauto un paio di secoli prima di Cristo riassunse tutto questo in solo tre parole: “Homo, hominis lupus” (*)

Si cita questo Detto quando si vuole evidenziare come, negli eventi attuali, si verifichino i ricorsi storici, ovviamente in modo preponderante quelli con valenza negativa.

Fréte müje, ‘u mónne nen cange! Mónne jöve, mónne jì, e mónne sarrà! = Fratello mio, il mondo non cambia! Così era, così è, e così sarà!

Non è fatalismo, ma la mera constatazione degli eventi.

…..
(*)(tratto da Wikipedia)….L’italiano Antonio Gramsci, in una nota dei suoi Quaderni del carcere, ricorda che l’origine dell’espressione dovrebbe trovarsi «in una più vasta formula dovuta agli ecclesiastici medioevali, in latino grosso: Homo homini lupus, foemina foeminae lupior, sacerdos sacerdoti lupissimus» cioè “L’uomo è un lupo con l’uomo, la donna è ancora più lupo con la donna, il prete è il più lupo di tutti con il prete”….

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Mòneche, prjivete e chéne, adda sté sèmbe pe ‘na mazza ‘mméne

Mòneche, prjivete e chéne, adda sté sèmbe pe ‘na mazza ‘mméne

Traduzione letterale: Monache, preti e cani, devi stare sempre con un randello in mano.

Questo simpatico Detto ci suggerisce di essere guardinghi circospetti e cauti quando abbiamo a che fare con questi soggetti, perché potremmo ricevere delle amare sorprese…

Altri adducono scherzi da prete.., o cani che mordono gli straccioni… o monache chépe de pèzze (teste di stracci).

Ma come in tutte le cose non bisogna generalizzare. Ci sono monache amorevoli e altruiste come Suor Teresa, o preti benefattori come don Orione e don Gnocchi, o cani anti-droga o cani-guida per i ciechi, cani del soccorso alpino, o cani molecolari che individuano i tumori umani.

Ho stilato questo articolo perché ha un significato comico e simpatico, non perché sia accettabile in toto il suo monito.

Comunque la prudenza è una cosa che va bene, non solo nella correlazione con monache, preti e cani, ma in ogni circostanza della vita sociale.

Infatti la Prudenza è una delle quattro virtù umane (o cardinali) per operare bene: Prudenza Giustizia Fortezza Temperanza. Se volete saperne di più consultate Wikipedia, perché questo sito tratta principalmente ‘u dialètte mambredunjéne!

Qualcuno invece delle monache inserisce le femmine.  Ma solo per strappare una risata

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Mò ce appènne Mecalànge alla cambéne

Mò ce appènne Mecalànge alla cambéne

Adesso di attacca Michelangelo alla campana (e non la smette…)

Questo modo di dire evidenzia un atteggiamento insistente, talvolta noioso, che tarda a cessare.

Evidentemente il sacrestano Michelangelo, quando iniziava a scampanare per la Funzione religiosa, suonava a distesa, a lungo, insistentemente.

‘U sinde, ‘u sinde, nen la fenèsce méje, assemègghje a Mecalànge alla cambéne: hamme capüte ‘u fàtte = Lo senti? Non la finisce mai, sembra Michelangelo alla campana: abbiamo compreso il fatto (non è necessario ribadirlo).

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Mjine ‘nu lócchele e scappetìnne

Mjine ‘nu lócchele e scappetìnne

Lancia un urlo e scàppatene.

Quando una sitazione, una circostanza è imbarazzante o perdente, all’amico si suggerisce di lasciar perdere e senza indugi.

Le nostre mamme lo dicevano quando mettevano il naso in una camera diciamo “un poco” in disordine.

Non sapendo da dove cominciare per rassettare, la poverina sgomenta si accasciava su una sedia e mormorava: škàffe ‘nu lócchele e scappetìnne, Le volete dare torto?

Ho usato il verbo škàffe che è intercambiabile con mjine. Sono corrette entrambe le versioni.

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Mjine ‘a paste!

Mjine ‘a paste!

Questo Detto scherzoso (o forse non troppo) si lancia impazientemente verso qualcuno che fa tardi a completare un lavoro, o a scendere di casa per un incombenza.

Se le cose vanno per le lunghe sorge spontaneo il grido: Seeeh, mjine ‘a paste, mjine! = Sì, cala la pasta, cala!

Ossia: l’acqua sta a bollire da un bel po’, e tu non ti decidi a sbrigarti a calare la pasta, mentre io ho premura di mangiare. Il tutto metaforicamente.

Infatti quando uno ha fame, il tempo occorrente perché l’acqua vada in ebollizione per cuocere la pasta sembra lunghissimo, e il momento di calare la pasta dovrebbe essere un po’ liberatorio: presto, così comincio a mangiare! Invece le cose vanno ancora per le lunghe.

Lo stesso urlo saliva dalla sala del Cinema Fulgor, quando il lungo bacio finale fra il protagonista del film in proiezione e la sua donna era ritenuto interminabile dal pubblico della platea…

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Mìtte na cöse mméne a ‘na möpe, quèdde l’allonghe quande ‘na zöche

Mìtte na cöse mméne a ‘na möpe, quèdde l’allonghe quande ‘na zöche

Alla lettera: metti una faccenda in mano ad una sciocca, quella l’allunga quanto una corda.

Se affidi un compito ad una persona cocciuta o inesperta, inadatta, (o, peggio,  di scarsa intelligenza), quella lo porterà per le lunghe senza concludere nulla.

Come tutti i proverbi, anche questo invita alla cautela, alla prudenza.

Morale:  commetti un’ errore madornale se assegni qualcosa di delicato, importante o pericoloso a persone inesperte.
Perciò affidati sempre a qualcuno competente.

Grazie a Pino Carpano per il suggerimento-

Mi è venuto a mente un proverbio napoletano, attinente all’argomento della competenza:

Miette ‘a mèrde mmane ‘e criature = Metti le feci in mano ai bambini.

Immagina un po’ cosa combinerebbero dei bimbetti di tre anni a pasticciare con la cacca!

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Mìtte acque e mìtte farüne…

Mìtte acque e mìtte farüne…

Detto completo:

Mìtte acque e mìtte farüne, crìsce, crìsce Sante Martüne
 = Metti acqua e aggiungi farina: cresci, cresci, San Martino.

Un augurio che la massaia faceva a se stessa quando impastava in casa il pane per il fabbisogno settimanale.

Vedi Sante Martüne, e benedüche

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Mìtte ‘u bóste ca la vüte ce aggióste

Mìtte ‘u bóste ca la vüte ce aggióste

Alla lettera: Metti il busto che la vita si aggiusta.

Il bustino migliora l’estetica della vita cioè dei fianchi.

In lingua corrente direi: indossa il “body” così il giro vita si modella meglio. Eh già! Il busto con le stecche. con i cordoncini, con duemila occhielli (una tortura per le povere donne), non si usa più.
Le donzelle di oggi adoperano il pratico body elasticizzato, con solamente due o tre gancetti per unire il davanti con il di dietro.

Un invito a mascherare la scarsa avvenenza (un brutto neologismo parla di inestetismi).

Per ogni donna è un vanto mostrare leggiadria, armonia, grazia e bellezza….. Insomma se c’è un po’ di ciccia, se proprio non si riesce ad eliminarla, bisogna comprimerla!…

Ringrazio Alfredo Rucher per il grazioso suggerimento.

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