Decètte San Frangìsche: se nen jì nètte, uà jèsse frìške

Decètte San Frangìsche: se nen jì nètte, uà jèsse frìške

Disse San Francesco: se non è pulito deve essere (almeno) fresco.

Ora non so bene se il Poverello d’Assisi intendesse accontentarsi di un pesce fresco, anche se non era stato nettato (ci avrebbe pensato lui a squamarlo). Può darsi che si riferisse ad un letto.  Non so l’origine.

Presumo tuttavia che San Francesco sia stato citato solo per una questione di rima con “fresco”.

Il Detto comunque è prettamente estivo, e viene citato quando qualcuno richiede qualcosa di fresco da mangiare o da bere.

Grazie all’inesauribile Alfredo Rucher per il suggerimento.

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Decètte ‘u pàppele alla féfe, damme tjimbe ca te spertöse

Decètte ‘u pàppele alla féfe, damme tjimbe ca te spertöse

Disse il (clicca→) tonchio alla fava: dammi tempo che ti perforo.

Si cita questo detto per rassicurare qualcuno che l’impegno preso in precedenza verrà mantenuto: è solo questione di tempo.

Talora è rivolto a se stessi per non avvilirsi se un lavoro non riesce perfetto. Un ritocchino risolverà tutto, ma ciò richiede del tempo.

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Decètte ‘a putténa vècchje: ‘u sé quante n’agghje vìste!

Decètte ‘a putténa vècchje: ‘u sé quante n’agghje vìste!

Disse la vecchia mondana: sai quanti ne ho visti!

La frase, in po’ carogna e un po’ gigionesca, viene detta in risposta da un vecchio marpione a qualcuno che gli ha raccontato mirabilie.

In linguaggio goliardico, infischiandocene di grammatica e sintassi, noi ragazzotti dicevamo con seriosità: “Proprio a me, me lo devi dirmelo!”…..

Ossia, in linguaggio figurato e poetico questa volta: “Ma come, vieni a raccontare proprio a me, che ho visto volare le aquile, il volo radente della libellula?”

Commento di Lino Brunetti:
“Questa è vera! Una anziana signora raccontava ad un gruppo di amici una propria avventura che finiva con il seguente commento: “Jìsse vulöve freché a mmè! Jüie jöve ‘a chépa zocchele di Mambredonje!”
Solo incidentalmente ho dimenticato di precisare che, effettivamente, la “signora” godeva di una fama per cui, si raccontava, ne aveva visti di cosi e cose!”

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Decètte ´u presótte: a pöche a pöche me màngene tótte

Decètte ´u presótte: a pöche a pöche me màngene tótte

Disse il prosciutto: “a poco a poco mi mangiano tutto!”

Attorno a qualcuno di buone disponibilità, soprattutto economiche, girano gli approfittatori.

La vita è piena di “tranganére” e mangiajorze che ti lasciano “de cüle a chjapparüne“, e quando sei al verde ti voltano ignobilmente le spalle.

Grazie a Sedum per il suggerimento.

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De venardì ce ‘nzuréje Petracche

De venardì ce ‘nzuréje Petracche

Un tale Petracco si sposò di venerdì.

E allora che vuol dire?

Il Venerdì non era considerato un giorno fausto dai nostri nonni, perché fu lo stesso giorno della crocifissione e morte di Nostro Signore.

Questo proverbio si cita quando qlcu inizia un’opera, o intende compiere un’azione fuori luogo e fuori tempo.

Come per dire: proprio adesso vuoi fare questa cosa? Potevi farla prima o rimandala di qualche tempo! Hai la Domenica molto vicina e dovrai interromperti senza averla completata.

Recentemente ho sentito pronunciare questo proverbio con il verbo coniugato al passato prossimo invece che al passato remoto: de venardì c’jì nzuréte Petràcche.

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De jùrne aggióste ‘u supréne e de nòtte affìtte ‘u sutténe

De jùrne aggióste ‘u supréne e de nòtte affìtte ‘u sutténe

Di giorno restaura la casa posta al piano superiore e di notte loca quella di sotto.

Può sembrare che la ragazza sia molto attenta a sbrigare le faccende di casa sua, evidentemente posta su due livelli.

È una perifrasi-eufemistica che si usava per additare una puttana,  allo scopo di non scandalizzare troppo le orecchie sensibili delle comari.

Chi jì quèdde? Jüne ca fé ‘ bèlla giovene, ca de jùrne aggióste ‘u supréne e de nòtte affìtte ‘u sutténe.

Aggiustare la parte superiore significa imbellettarsi e anche figuratamente tentare di salvare la faccia, le apparenze.  Affittare la parte inferiore significa, alla lettera: concedere qualcosa in uso a qualcuno dietro pagamento.

Gli autorevoli studiosi Pasquale Caratù e Matteo Rinaldi nel loro grazioso volumetto “I proverbi manfredoniani” (Università degli Studi di Bari-Centro di Documentazione Storica di Manfredonia-Edizioni del Golfo-Manfredonia-1995) usando una formula breve, scrivono testualmente:

“Quann’a fèmene allìsce ‘u supréne, affìtt’u sutténe”  
«Quando la donna si agghinda, esprime dei….desideri»

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Da tand’anne jì mùrte Pjitre e angöre mò ce sènde ‘u fjite!

Da tand’anne jì mùrte Pjitre e angöre mò ce sènde ‘u fjite!

Da tanti anni è morto Pietro e solo ora si sente la puzza.

Si cita questo detto quando viene “riesumato” figuratamente un argomento vecchio “morto e sepolto” e se ne riparla magari anche in modo acceso.

Oppure, quando una parsona anziana come me parla e riparla sempre dello stesso argomento…

Uh, sò tand’anne ca ji mùrte Pjitre! = Uhf, sono (passati) tanti anni….e tiri fuori ancora questo argomento!

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Da quanne jì murte ‘u criatüre nen ce chjaméme chjó cumbére

Da quanne jì murte ‘u criatüre nen ce chjaméme chjó cumbére

Da quando è morto il bambino non ci chiamiamo più “compari”

Una volta il padrino di battesimo, il compare, era ritenuto veramente una persona di famiglia. C’era rispetto per tutta la vita tra la sua famiglia e quella del figlioccio. Il legame perdurava anche nel caso di premorienza di uno qualsiasi dei componenti di entrambe le famiglie trattenute da questo legame.

In questo caso, il soggetto si presumeva come un “dimissionario” dalla carica di padrino a causa della scomparsa, solo metaforica, del figlioccio.

È un rimprovero bonario rivolto a qualche amico che per lungo tempo non si è fatto vivo, Come dire: “Beato chi si vede!”

Si rivolge questo Detto anche in modo sarcastico verso qlcn ha fatto finta di non averci riconosciuto in precedenza, quando si trovava in compagnia di persone ritenute più influenti o più importanti di noi.

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Da ‘u càzze au Paternostre

Da ‘u càzze au Paternostre

L’amico Enzo Renato si è superato ricordandomi questo Detto manfredoniano.

In effetti dovrebbe significare “saltare di palo in frasca”, un modo di dire in lingua che riguarda alcuni soggetti un po’ sconclusionati.

Essi nell’esporre le loro argomentazioni, non procedono, diciamo così, in maniera logica ed organica. Iniziano un argomento, passano ad un altro, fanno dei lunghissimi ramificati incisi, e si dimenticano da dove sono partiti, insomma sono degli arruffoni.

L’esempio nostrano è molto più calzante, come per dire si passa dall’amor profano all’amor sacro.

E sono stato elegante nella descrizione di questa ‘deviazione’ comica e paradossale….In effetti i due elementi sono entrambi di una certa rilevanza.

Scusate il linguaggio…colorito: è colpa di Enzo Renato!

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Da ‘nnanze t’ allìsce ‘i püle e da dröte t’u mètte ‘ngüle.

Da ‘nnanze t’ allìsce ‘i püle e da dröte t’u mètte ‘ngüle.

Un Detto manfredoniano, tipico e – diciamo – un po’ colorito che descrive il comportamento ambiguo di qualche persona subdola, falsa, ipocrita, equivoca, infida (credo di aver esaurito tutti i sinonimi…).

Certamente è un parlare figurato. Attenzione “lisciare il pelo” anche in italiano significa lodare, adulare qualcuno per avere in cambio dei favori.

In questo caso però la seconda parte del Detto non è proprio simpatica.

Insomma “prenderlo in quel posto”, tranne poche eccezione, non è gradito da nessuno.

Dopo queste spiegazioni credo che non sia più necessario fare la traduzione letterale del Detto.

Aggiungo solo che “lisciare il pelo” si riferisce a cavalli o cani o gatti, nel senso di averne cura, accarezzare il loro pelame nel verso giusto.

Attenzione, con valore ironico, fé ‘n’allescéte de püle significa riempire di percosse qualcuno, picchiarlo pesantemente

Ringrazio Michele Murgo per il suggerimento appreso da sua madre in vena di sincerità. Complimenti!

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