Tag: sostantivo femminile

Manöre

Manöre s.f. = Maniera

Modo particolare di fare, di agire, di comportarsi.

Al plurale fa manjireQuèdde töne ‘i manjire = Costei ha garbo, ha bei modi di prrsentarsi di proporsi.

Jü parle, e to fé de ‘n’ata manöre = Io dico una cosa e tu ne fai un’altra.

C’ì menéte ‘mbacce de quedda sorte de manöre = Mi ha aggredito verbalmente in una maniera strepitosa e inattesa.

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Manjéte

Manjéte s.f. = Gruppo, Manipolo

Col nome di manipolo nell’antica Roma, si indicava una schiera di soldati composta di una o due centurie.

Per estensione significò successivamente un contingente poco numeroso di uomini armati.

Specificamente, in epoca fascista, valeva: esiguo gruppo di persone che si battono per scopi ed interessi comuni. Gli interessi comuni erano quelli del partito fascista.

In nome del Fascio menavano le mani, i manganelli, le pugnalate a Matteotti, e tante altre simpatiche cosette riservate a coloro che non la pensavano come il Duce.

Erano noti anche con il nome di “squadristi”, e per non essere individuati, andavano ad eseguire il loro lavoretto in un paese diverso dal proprio: lavoravano sempre in trasferta.

Per i Manfredoniani il termine perciò assunse una valenza molto negativa: ‘na manjéte de fetjinde = Un manipolo di prepotenti.

Il termine manjéte può derivare, per assonanza e per lessico, dalla lingua spagnola che usa manada per indicare una mandria, un branco di quadrupedi della stessa specie, ma è riferito per estensione anche alle persone in gruppo:
.”Manada = Grupo numeroso de personas.
Por ejemplo:”una manada de turistas; los motoristas llegaban en manada 
= Gruppo numeroso di persone. Per esempio: un gruppo di turisti; i motociclisti giungevano in gruppo.

Grazie al contributo del lettore Sator.

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ĺsele

ĺsele s.f. = Isola

Porzione di terraferma circondata completamente dalle acque del mare o del lago.

So’ stéte all’ĺsele deTrèmete: quante so’ bèlle! = Sono stato alle Isole Tremiti: come sono belle!

Alla Pógghje sté ‘na massarüje ca ce chiéme “l’ĺsele” = Nella Puglia piana c’è una fattoria che si chiama “L’Isola degli Ulivi

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Màmete

Màmete s.f. = Tua madre

Come in tutto il sud Italia il possessivo dei nomi riguardanti i familiari si lega al sostantivo (màmete, sòrete, fràtete, nònneme, nònnete, cainàteme, ecc.)

I Napoletani dicono màmmeme (=mia madre); da noi basta màmme = MIA madre.
I Calabresi màmmese = sua madre. È troppo.

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Mamàngele

Mamàngele s.f. = Lucertola

Lucertola Comune (Podarcis siculus) piccolo rettile terrestre dalla testa appiattita, lunga coda, zampe corte e lingua bifida; ama i luoghi aridi e soleggiati e si nutre di insetti e di vermi.

Quelle che non hanno raggiunto l’età adulta, e quindi di dimensioni ridotte, sono chiamate mangiulècchje, o con linguaggio fanciullesco mamangiulècchje.

Sono innocue per le persone.

Si vociferava che i frequenti incendi dei campi di grano non ancora raccolto erano cusati per vendetta da non ben identificati “terrazzani”, i quali si servivano di lucertole sulla cui coda legavano uno zolfanello. Una volta liberate esse si andavano a rifugiare nei campi. Il sole faceva il resto.
La vendetta era rivolta contro quei padroni che non permettevano loro di spigolare, perché temevano che i terrazzani spigolavano nel campo non ancora mietuto.    Io credo che non sia vero.

Sono portato a pensare che l’ammontare del risarcimento ottenuto dalle compagnie di assicurazioni compensasse l’annata che prometteva scarso raccolto.
Quindi l’incendio era doloso, una vera e propria truffa dei coltivatori a danno dell’Assicurazione.
Non c’entravano nulla né i terrazzani, nè tantomeno le povere lucertole.

Il caro Prof. Michele Ciliberti – che ringrazio di cuore – mi ha fornito una bella spiegazione sull’etimo di “mamàngele“:

«La maggior parte degli studiosi ha individuato l’origine e l’etimologia della parola dialettale “mamàngele” (lucertola) nelle sue stesse parti costitutive e cioè: “mamma” e “angelo”. Io, francamente, non sono di questo avviso, poiché non vedo alcuna attinenza tra il legame delle due componenti e il significato denotato dal termine stesso “mamàngele”, pur riconoscendo che ogni mamma è angelo nella propria casa, ma questa è un’altra storia.

Sicuramente la prima parte della parola non è “mamma” ma “maimon” che nelle lingue arabe e semitiche ha significato di “essere diabolico” ossia “diavolo”, quindi il significato di “mamàngele” sarebbe “diavolo-angelo”. In che senso, però? Nell’eterna lotta tra il bene e il male, il primo è rappresentato da un angelo (Michele), il secondo dal diavolo o da un drago o da un “sauro” generico. “Sàuros” in greco significa “lucertola” (dinosauro da “déinos sàuros” significa “lucertola terribile”).
Data la dimensione e l’innocuità, questo grazioso e onnipresente animaletto non potrebbe mai rappresentare il male, per cui al significato della prima parte del nome (“essere diabolico”, poiché nelle sue piccole dimensioni somiglia a un drago) si è voluto aggiungere quello di bene, cioè di “angelo”, in modo da mitigare o equilibrare il significato negativo.

Noi, da bambini, andavamo a caccia di “mamàngele” con lo stelo dell’avena selvatica, alla cui estremità veniva fatto un cappio e bisognava cercare di far passare dentro l’animaletto e subito tirare in modo che rimanesse prigioniero. Qualcuno si divertiva pure a mettere in bocca alla “mamàngele”, così catturata, del tabacco. L’animaletto ubriaco faceva strani movimenti o balli, facendo divertire gli ignari seviziatori.»
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Malòmbre

Malòmbre s.m. e s.f. = Seccatore, malvagio, fantasma

1) Malòmbre s.m. Persona petulante, insistente, che usa toni e modi importuni e fastidiosi.

E ‘stu malòmbre sèmbe quà attórne stéje = E questo petulante sempre qua attorno si aggira? Insomma un brutto soggetto che è meglio non incontrare.

Presumo che il termine derivi dallo spagnolo malo = brutto, o cattivo, o malato, e hombre = uomo.

Molti termini spagnuoli sono rimaste nel nostro dialetto dopo secoli di dominazione nel Regno delle due Sicilie.

2) Malombre s.f. = Spettro, fantasma. È detto al femminile: ‘a malòmbre.

Sott’u castjille ce vöte ‘a malòmbre! = Sotto il castello appare il fantasma.

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Malatüja-brótte

Malatüja-brótte s.f. = Tubercolosi

Malattia infettiva che si localizza nei polmoni e in altri organi, provocandovi necrosi, caverne.

Purtroppo in tempi andati non dava scampo, e non si osava nemmeno pronunciarne il nome.

Si usava questo eufemismo malatüja-brótte= malattia brutta. Tutti sapevano il significato e ne restavano atterriti quando veniva diagnosticata.

La tubercolisi (TBC) purtroppo era universalmente diffusa per le precarie condizioni igieniche e per la scarsa alimentazione.

Le migliorate condizioni di vita l’anno pressocché debellata in tutto il mondo civile.

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Malandre

Malandre s.f. = Organo interiore dei molluschi.

Le interiora dei molluschi marini (seppie, calamari, polpi, moscardini e totani) comprendono l’insieme degli organi digestivi e respiratori.

Le malandre della SEPPIA contengono anche la sacca con il nero, usato a sua difesa per intorbidire l’acqua, allo scopo di sfuggire ai suoi predatori. Questo liquido nero Manfredonia viene genericamente chiamati ‘u föle = il fiele. Molto aromatico, è apprezzato nella preparazione di speciali risotti o spaghetti “al nero di seppia”.
La parte restante delle interiora dopo l’asportazione del rostro e della veschichetta contenente il nero, comprendeva le cosidette “mennuzze” (ovaie), le “uova” nelle femmine, usate come ripieno o fritte.

Anche il cosiddetto “fegato” era usato dalle nostre mamme in cucina e ce lo propinavano infarinato e fritto. Onestamente questo non ha incontrato i miei gusti…

Le malandre del POLPO sono chiamate allo stesso modo in tutta la Puglia. Ho letto da qualche parte che “i famosi fegati di polpo che i Baresi mangiano fritti, le malandre , prendono il nome dall’etimologia della parola melandryon e cioè dalla tunica nera che veniva fatta indossare ai malandrini prima di salire alla gogna”. Infatti le malandredurante la cottura assumono una colorazione molto scura.

Da noi la malandre di polpo non trova posto nella locale tradizione gastronomica, ma è solo considerata una pregiatissima esca, molto indicata per catturare all’amo le spigole o le orate.

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Malacque

Malacque s.f. = Medusa

“Questa medusa (Rhizostoma pulmo ) presenta un cappello di forma semisferica opalescente ma tendente al trasparente, con i bordi sfrangiati blu-viola. Sotto al cappello il corpo è chiamato manubrio ed è composto da 8 prolungamenti di tessuto bianco-trasparente arricciato e grumoso, dai quali partono 8 tentacoli allungati, sfrangiati e semitrasparenti. Gli esemplari giovani tendono ad avere una colorazione più trasparente, gli adulti molto più opalescente. Il nome comune di polmone di mare è dovuto al tipico movimento palpitante compiuto dalla medusa per muoversi. Le dimensioni sono degne di nota: potendo raggiungere i 50–60 cm di diametro e i 10 kg di peso, rappresenta la più grande medusa del Mediterraneo! (Wikipedia).


Il nome malacque è di chiara interpretazione: Mala = cattiva, non utile e acque = trasparente. Gli esemplari giovanissimi, quelli con il cappello di pochi centimetri, sono conosciuti dagli uomini di mare come Chechenèlle, e sono ugualmente urticanti.</ahref=”http:>

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Majòleche

Majòleche s.f. = frumento “Maiorca”.

Il “Maiorca”.Majòleche è un tipo di grano tenero largamente coltivato nella Daunia in affiancamento al grano duro “Senatore Cappelli”, detto Cappjidde, e rappresentano tuttora la maggiore produzione cerealicola delle Puglie.

Nulla a che vedere con la maiolica e la ceramica quindi.

 

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