Majàgne sf = Pecca, magagna
Imperfezione, difetto, guasto che non sempre appare esteriormente (per esempio un abito o un motore o un orologio).
Sorpresa, inganno, malanno, disturbo fisico o mentale.
Imperfezione, difetto, guasto che non sempre appare esteriormente (per esempio un abito o un motore o un orologio).
Sorpresa, inganno, malanno, disturbo fisico o mentale.
Maèstre s.inv.= Maestra, maestro
La pronuncia più antica era majèstre.
In genere si riferisce all’insegnante delle scuole elementari.
Alla maestra sarta, come a tutti gli altri maestri artigiani barbiere, muratore, fabbro, falegname, sellaio, ecc. spettava il titolo di mastre, s.inv. L’articolo determinava il genere maschile o femminile. ‘u mastre ,s.m. ‘a mastre ,s.f.
A Manfredonia fino a pochi decenni fa si designava con questo titolo di «Maèstre» anche una benemerita persona anziana, magari analfabeta, che, per pochi soldi, si assumeva l’onere di badare a bambini e bambine dai due ai cinque anni. Amatissima dai giovani discepoli.
La mamme per aver maggior tempo da dedicare alle faccende domestiche mandavano i loro marmocchi più piccoli – magari accompagnati dal fratellino più grande diretto alla Scuola elementare – dalla “maestra” che generalmente abitava in un piano terra, con un cestino per la colazione (una mela, un pezzo di pane e delle mandorle, ecc.).
Costei con infinita pazienza li accoglieva e li disponeva su tante sedioline a semicerchio intorno a lei. Aveva anche una canna per minacciare quelli più irrequieti in seconda fila.
Ovviamente dalla “maestra” si parlava solo in dialetto.
-“Maè, me pòzz’assetté affianghe a Mattöje?”
-“Sì, fìgghje, va”
Dopo la sistemazione dei marmocchi, cominciava la giornata con un bel segno di croce.
Poi si cantava – sempre tutti seduti – qualche canzoncina:
“Tóppe-tóppe, chi jì alla porte?
Mariètte e Giulètte
Sté ‘spettanne ‘na mezzorètte
in camicia, in camicètte.
Sott’a l’arve d’i purtjalle
stöve ‘nu chéne ca faciöve: bù bù
stóve ‘na jatte ca faciöve: gnà gnà.
Mò ce l’jà düce a mammà e papà!”
O quest’altra in un dialetto forse abruzzese…
«Marammè, marammè ce sò ngappate!
M’è caduto lu ciucciarielle..,
Giust’a mmè, giust’a mmè, sò puverielle
m’è caduto ‘olu ciucciarielle!…
Ciucciarié, respunne a Fra Tumàss’!
« Ih-oh!…. ih-oh!…»
Puverielle Tummasièllo sènza ciucce comme fa?!
O addirittura in italiano la notissima «Quando è tempo delle ciliege….»
Più tardi tutti a far merenda.
Talvolta nelle belle giornate, con grande responsabilità la “maestra” li portava a passeggio tutti in fila mano nella mano.
Insomma la mattinata passava tra canti e giochi. I bimbi ci andavano volentieri e le mamme, con un piccolo compenso, avevano almeno mezza giornata da dedicare alla spesa o alle pulizie di casa.
Madònne de Sepònde s.f.= Madonna di Siponto.
È da tempo immemorabile invocata e venerata come Protettrice della città di Manfredonia. Tutti i Manfredoniani (tranne ovviamente i seguaci di altre religioni) si sentono suoi figli, anche i cattolici più tiepidi.
il nome della Vergine, Madònne de Sepònde, oltre che come santa invocazione, viene spesso usata quale spontanea esclamazione per esprimere meraviglia, sorpresa, o ammirazione in alternativa al più breve Sante Mattöje = Santo Matteo. o per precedere il rafforzativo Gése Crìste müje = Gesù Cristo mio,
Nella parlata veloce si abbrevia in Madòn-sepònde.
‘U quédre ‘a Madòn-sepònde = Il quadro della Madonna di Siponto.
Mi piace riportare la descrizione storica – che rivela tanti particolari finora ignorati – fatta da Fra Tommaso Rignanese, ofm:
«L’icona della Madonna detta di Siponto, prende il nome dall’antica Siponto, dove fin dai tempi apostolici era presente una comunità cristiana che ha nutrito devozione alla Madre di Dio.
È stata dipinta tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, anche se una tradizione orale la fa risalire ad una delle tre copie di un’immagine venerata a Costantinopoli, ordinate da San Lorenzo Maiorano all’imperatore Zenone nel VI secolo.
Prima di essere trasferita definitivamente nella Cattedrale di Manfredonia il 1973, l’icona era collocata nella attuale basilica di Santa Maria di Siponto, la quale è stata la protocattedrale della diocesi Sipontina.
La venerata icona è stata notevolmente danneggiata da un incendio nel 1872. Quanto possiamo attualmente ammirare è frutto di pesanti ridipinture che ne hanno stravolto lo schema iconografico originale, che fa capo all’icona della Vergine di Andria. Le parti rimaste integre sono il viso della Vergine ed i quattro santi laterali.
La Madonna si presenta a noi come Hodegitria , cioè come colei che con la sua mano destra ci indica la via di Gesù Cristo ed indossa un maphorion azzurro con bordi dorati.»
Il Bambino Gesù sta sulle braccia della Madre, come su di un trono, veste una tunica bianca con un himation semi indossato rosato. La mano sinistra di Gesù poggia su quella della Vergine (non ha il rotolo della Parola di Dio come quella di Pulsano) mentre la destra benedice alla greca. Le gambe del Bambino sono unite (diversamente al gruppo di icone che fa capo ad Andria), i piedi sono scalzi a significare la Kenosis, cioè l’abbassamento di Dio che si fa uomo.
L’icona della Madonna di Siponto è solennemente festeggiata il 31 Agosto, ed attualmente molto venerata a Manfredonia.
Nella festa della Madonna di Siponto 2010, l’Arcivescovo Mons. Michele Castoro ha annunciato l’ imminente restauro dell’icona sipontina.
fra Tommaso Rignanese ofm»
Per la cronaca, questo quarto restauro (dopo l’incendio del 1872, fu restaurato la prima volta nel 1898; la seconda volta nel 1927 in Vaticano; la terza volta del 1964 per mano dell’artista manfredoniano Aronne Del Vecchio) fu eseguito in tempi brevi, e il Quadro rientrò a Manfredonia il 31 maggio 2011. Le operazioni, furono condotte dalla ditta ‘Alfa Restauri’ di Bari.
Maciöre s.f. = Muretto di pietre a secco

Muretto costruito con sassi sovrapposti, ben assestati e incastrati, eretto senza uso di malta.
Tipici del sud Italia e nelle isole. Li ho visti anche in Abruzzo. Quelli siciliani hanno tutti la cimasa, cioè una modanatura curva e sporgente, a forma di sguscio, sempre di pietra modellata. Questa rifinitura, impedendo agli agenti atmosferici di penetrare nel corpo del muretto, ne prolunga la durata.
Wikipedia dice che esistono anche in Irlanda e che erano in uso nell’antica Roma col nome di murus gallicus.
Normalmente segnano i confini tra i vari campi o oliveti o terreni appartenenti a proprietari diversi. Sono anche usati nei terreni scoscesi, come muri contenitivi dei terrazzamenti.
Esistono da secoli, e resistono nonostante gli innumerevoli terremoti susseguitesi negli anni.
Regno incontrastato di lucertole e chiocciole.
Il dialetto questa volta è più ricco dell’italiano che non ha un termine specifico per definirlo.
Nelle zone garganiche è chiamata macére.
L’assonanza con il termine italiano “macerie” non tragga in inganno. Se un muretto crolla significa che non fu costruito a regola d’arte.
Curiosità:
Con questo stesso sistema (cioè senza uso di leganti) in Puglia furono costruiti i Trulli, in Sardegna i Nuraghe. Esistono a secco anche delle piccole costruzioni rurali usate per ripararsi e per custodire attrezzi agricoli dette in Puglia pagghjére, e in Sicilia pagghiaru.
Macenatüre s.f. = Molitura, tariffa per la macinazione
1 – Insieme delle operazioni della macinazione, specialmente riferito alla molitura del frumento.
2 – La tariffa stabilita dal mulino per la macinatura.
Fa venire a mente la famigerata tassa sul macinato, imposta sulla macinazione del grano e dei cereali in genere, ideata, tra gli altri, da Quintino Sella nel 1868, al fine di contribuire al risanamento delle finanze pubbliche.
Essa causò moti di piazza sfociati anche nel sangue. Fu finalmente abolita nel 1880.
Maccagne s.f. = Bonaccia
Totale assenza di vento. In italiano si dice bonaccia morta, così in dialetto è maccàgna morte e in tempi più recenti anche bunazza mòrte.
Gergo marinaresco. La bonaccia, nei tempi in cui la marineria si muoveva solo con trazione remo-velica, era temuta come la tempesta.
La prima perché non consentiva l’uscita per la battuta di pesca, né tantomeno il rientro a terra.
La seconda perché metteva a repentaglio la vita stessa dell’equipaggio.
Derivazione probabile dalla fusione di manganze (mancanza, assenza) e da majagne (magagna, carenza). Non ci giurerei su questa mia intuizione, come sempre. Ci sono fiori di linguisti che ne sanno molto più di me.
A voi la parola!
Un vecchio pescatore nonagenario ha sollevato un distinguo: maccagna morte indica la totale assenza di vento, ragion per cui il mare è liscio come l’olio. Invece con la bunazza morte il vento è appena appena percettibile ma non ha energia per gonfiale le vele, e il mare è lievemente increspato.
Lunghètte s.f. = Ago da reti
Ago da reti, è chiamato lunghètte perché è lungo e adatto a raccogliere le maglie rotte nell’operazione di rammagliatura (‘ngunacchjé o accumacchjé i rüte = rammendare le reti).
Viene chiamata anche lenguètte, per la sua lamella centrale per il suo aspetto piatto e sottile.
Si tratta di un attrezzo usato per rattoppare e rammagliare le reti da pesca. Generalmente è fatto a mano con legno di olivo, che è elastico e resistente. Credo che ora siano di plastica.
La parte superiore termina a punta e quella posteriore a coda di rondine.
Il filo viene passato tra il sostegno, la linguetta [ricavata incidendo il corpo della lunghètte tanto da formare un lungo “dente”] e la parte inferiore mediante numerosi avvolgimenti e viene rilasciato man mano che si procede alla rammagliatura della rete in riparazione.
Esiste anche quella metallica, formata da un’asticciola di ferro di circa 15 cm, con le due estremità terminanti a forchettina a due rebbi. Il filo è avvolto dall’una all’altra estremità, a matassa.
Lulìzzje s.f.= Liquirizia
La liquirizia (Glycyrrhiza glabra) è un arbusto alto fino a due metri appartenente alla famiglia delle Leguminose.
Con lo stesso nome viene indicato l’estratto vegetale ottenuto dalla bollitura della sua radice ed usato nell’industria dolciaria per confezionare caramelle.
Quello di nostro interesse era un bastoncello ricavato tagliando un po’ della sua radice.
Si cercava la pianta nelle campagne di Siponto, e se ne estraeva un pezzo di radice tagliandolo con un coltellino. Questo stecco, pulito alla meglio e si masticava a lungo, sfilacciando le fibre (sputate a parte) e succhiando il suo sapore dolciastro e profumato.
Gli sputi erano vivacemente colorati di giallo…puah!
Lucernèlle s.f. = Lucerna
Piccola lampada, portatile, di terracotta, con stoppino alimentato da olio di oliva, che dava una fiamma luminosa e poco fumo. Quelle che usavano il grasso animale erano più fioche, fumose e puzzolenti.
Lo stoppino era chiamato ‘u licìgne s.m. = il lucignolo.
Era usato nelle campagne fino all’avvento dell’elettrificazione rurale. La lucernina si poteva poggiare in una nicchia o su un mobile.
Sul finire del secolo XIX tutte le forme di illuminazione a combustibile lasciarono spazio alle lampade elettriche.

La Lucerna (Uranoscopus scaber) è detta in italiano anche Pesce Prete
Pesce che vive nel Mediterraneo. Ha il corpo allungato nella parte posteriore, la parte anteriore si presenta larga con testa grossa, a cubo, ricoperta di placche dure.
Occhi molto piccoli, bocca ampia con entrambe le mascelle munite di denti presenti anche sul palato.
Colorazione grigio-bruna con macchie bianche sul dorso e sui fianchi, biancastra sul ventre. Vive su fondali sabbiosi.
Anche questo pesce, come la tracina, ha un pungiglione velenoso per l’uomo, ha effetti meno intensi.
Apprezzato se cotto in umido.
Da noi la locuzione pèsce de pröte non si riferisce al prete ma al fondo marino pietroso, quindi significa pesce di scoglio.