Tag: sostantivo femminile

Ciambotte

Ciambotte s.f. = Zuppa di pesce (del Golfo).

I Potentini, che sono montagnari, chiamano pomposamente ciambotta una volgare zuppa di verdure….

Per un integralista come me sentire questo soave nome dato a dei semplici vegetali è una vera eresia.

La ciambotte nostrana si prepara con una nutrita specie di pesci: tràcene, sparrüne, cechéle, tèste, lucèrne, scròfele, sambjitre, caccjüne, siccetèlle, scàmpe, rùnghe, ecc. (eh, eh, mi sembra la formazione di una squadra vincente ai campionati gastronomici mondiali!).

È veramente squisita sia versata sugli spaghetti al dente, sia usata come intingolo per ammollarvi il pane duro, vecchio di qualche giorno, oppure in versione più aggiornata, dei crostini di pane abbrustolito.

Un piccolo segreto rende la ciambotte di Manfredonia un po’ speciale rispetto al cacciucco livornese, o alla bouillabasse di Marsiglia, o alla zuppa di pesce di Termoli o di Taranto o di San Benedetto del Tronto (tutte molto buone, per carità…).

Quella fetta di peperone, possibilmente verde, che le nostre mamme pongono nel sughetto è la mossa vincente!

Altro che Vissani, lo chef che si fa vanta di conoscere tutti i segreti della cucina….Vissa’, vàtte cùleche!

Quelli che dicono ‘a zóppe ‘u pèsce = la zuppa di pesce, sono Manfredoniani parlanti un dialetto geneticamente modificato. Si deve dire ‘a ciambòtte!

Scherzosamente nel dire facjüme ciambòtte si usa un parlare figurato. Non si prepara la zuppa di pesce, ma si combina qualcosa di intimo, di delizioso, ma in coppia…

L’amico Ettore Don mi ha fornito l’etimologia di ciambotte.
«Si racconta che i marinai francesi usassero questo termine durante i periodi di scarsità…il significato tradotto dal linguaggio arcaico francese vuol dire : prendiamo ( mangiamo ) tutto quello che abbiamo a bordo»

Stranamente i Baresi coniugano al maschile, il “ciambotto” e al femminile le “scagliozze”…

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Cechéle

Cechéle s.f. = Canocchia

Crostaceo marino (Squilla Mantis) di piccole dimensioni, apprezzato per le sue carni; è detto anche cicala di mare.

Dà profumo e sapore alla nostra prelibata ciambòtte.

Durante il periodo della riproduzione, per effetto della cottura, la parte centrale della cicala si coagula, e forma il cosiddetto “cannùle” = cannelletto, di colore arancione e di consistenza più dura della restante polpa bianca, cannello che è ugualmente commestibile.

Per curiosità riporto le denominazioni regionali (dal web):
DENOMINAZIONI REGIONALI

* Abruzzo: Canocchia.
* Campania: Pannocchia, Spernocchia, Sparnocchia, Šcrefìce
* Friuli-Venezia Giulia: Canocia, Canoccia, Canocchia, Pannocchia.
* Liguria: Balestrin, Sigà de maa, Sighea.
* Marche: Cannoccia, Cannocchia, Panocchia, Nocchia.
* Puglia: Cannocchiella, Cecala, Caraviedde, Canocia.
* Sardegna: Càmbara de fangu, Solegianu de mari.
* Sicilia: Astrea, Cegala de mari, Schirifizu.
* Toscana: Canocchia, Pannocchia, Cicala di mare.
* Veneto: Canocia, Canoccia, Canòcchia, Panocchia.

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Cannöle

Cannöle s.f. = Candela

Asta cilindrica di cera, di varia grossezza e lunghezza, con un’anima di fili di cotone o di lino intrecciati, detta “lucignolo” o “stoppino”, che s’accende per illuminare.

Con l’avvento della corrente elettrica la candela è usata solo per usi liturgici.

Scherzosamente ‘a cannöle indica, il muco pendente dal naso dei bimbi mocciosi.

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Canìgghje

Canìgghje s.f. = Crusca.

Buccia di frumento separata dalla farina mediante il buratto (detto anche staccio).

Era usata dai contadini per fare il “pane canino” (da cui il nome).

Questi pane ammorbidito con brodaglie, era il cibo dei cani domestici, allevati in campagna per la guardia e per la caccia.

Ora la crusca sta tornando inaspettatamente in auge dopo che era stata per tanti anni vilipesa.

Usata in panetti “krusken” per favorire le funzioni intestinali e per confezionare il pane integrale, molto richiesto dalle signore che intraprendono la dieta dimagrante.

Deriva dal sostantivo maschile latino canicæ, che significa proprio crusca.

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Cangèlle

Cangèlle s.f. = Biscotto salato

Si tratta di una variante dei scavetatjille. 

Gli scaldatelli sono dei cerchietti, dal cannello di cm 1,5 di diametro.

Invece i gambi delle cangèlle non superano il centimetro di diametro, sono incrociati come una grata, un cancelletto ( # ) e si saldano al cerchio del biscotto, formato anch’esso dal cannello più sottile, della stessa misura.

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Canelöre

Canelöre s.f. = Candelora

Ricorrenza Cattolica della Presentazione di Gesù al Tempio e della Purificazione di Maria, che cade il 2 febbraio, in cui si svolge la tradizionale benedizione delle candele. Se li contate sono proprio 40 giorni dopo Natale.

Presso gli Ebrei la donna finché non avesse ripreso regolarmente il ciclo dopo il parto, era considerata “impura”. Quindi, alla ricomparsa delle mestruazioni, andava al Tempio “purificata” a presentare il neonato.

Seguendo i rituale, lasciava in dono una tortora (ora sostituita con una candela) da offrire a Dio. Se il primogenito era maschio, il bambino, secondo la Legge di Mosè, veniva consacrato al Signore.

Anche da noi fino agli anni ’50 la puerpera restava in casa fino al 40° giorno dal parto. Difatti non presenziava mai al Battesimo del neonato, che avveniva dopo pochi giorni, e perciò era rappresentata dalla “vamméne” = levatrice, la quale, per questo motivo, era universalmente chiamata cumméreCommére Marüje, cummére Verèlle, ecc.

Ho sentito pronunciare anche cannelöre, con due ‘n’, da cannöle= candela, e anche ‘ngannelöre, forse perché il giorno successivo si festeggia San Biagio, protettore della gola.

Infatti, con le candele benedette il giorno della Candelora, il sacerdote fa un segno sulla gola per invocare la protezione del Santo, a salvaguarda dell’apparato laringo/faringeo.

Per spiegare che quel giorno si riceve con la candela quel segno in gola, si dice ‘ngànne= in gola, e da qui ‘ngannelöre.

Forse non è così, ma a me pare una spiegazione logica, e sinceramente mi garba.

Recentemente l’amico Matteo Borgia 2° ha composto una graziosa poesia per questa ricorrenza (con tanto di sottotitoli).
Cliccate qui 

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Recöne (alla)

Recöne (alla)  sf = Angolo, riparo.

Deriva dallo spagnolo recòn = angolo, e si pronuncia tale e quale.

Vòtte ‘u vinde jògge! Mettìmece alla recöne!” = Tira vento oggi! Poniamoci al riparo (dietro l’angolo)

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Cambumìlle

Cambumìlle s.f. = Camomilla

La Camomilla (Matricaria camomilla, sinon. Camomilla recutita) è una pianta erbacea annuale originaria dell’Asia sudorientale; si è diffusa in tutto il mondo; in Italia è comune nei luoghi incolti, specialmente presso gli abitati, dal piano a circa gli 800 metri. Si usa il fiore essicato in infuso.

Proprietà terapeutiche: stomachiche, toniche, antispasmodiche, diaforetiche, analgesiche, emmenagoghe, digestive. Per uso esterno come lenitivo e detergente di pelle e mucose arrossate e decongestionante per bagni oculari.

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Fuscèlle

Fuscèlle s.f. = Fuscella

Contenitore di giunco intrecciato a forma cilindrica o tronco conica usato dai pastori per alcuni prodotti caseari freschi, formaggio e ricotta.  Esso permetteva alla ricotta di sgocciolare il siero in eccesso.

Da qualche decennio si usano solo quelli di plastica, forse da un punto di vista igienico, più pratici, a salvaguardia della salute dei consumatori, anche perché sono “vuoti a perd

Il nome originale deriva dal  latino fiscella .

Un sinonimo è camböse (←clicca).

 

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Camböse

Camböse s.f. = Cesto per ricotta

Da non confondere con cambüsce.Cesto di giunco intrecciato, a forma cilindrica o tronco-conica, usato per riporvi la ricotta o il formaggio fresco in modo che perdessero il liquido in eccesso. (Clicca sull’immagine per ingrandirla).

Dopo che la ricotta si era rassodata per la perdita del siero in eccesso, si poteva facilmente trasferire su un piatto semplicemente capovolgendolo la camböse.

La camböse ha una capacità di oltre un chilo di ricotta o formaggio. Ovviamente ‘a cambose recòtte = il fuscello di ricotta indica più il contenuto che il contemnitore.

I cestello più piccoli (da 250 gr a mezzo chilo), sono chiamati con termine simil italiano fuscèlle.(clicca)

Ora per fare i cestelli per la ricotta non adopera più il giunco ma la plastica, forse più igienici perché sono vuoti a perdere, non riutilizzati.

Il lettore Giovanni Ognissanti, cui va il mio ringraziamento, mi ha fatto notare che il termine camböseera usato anche per indicare la cassata. Presumo per la sua forma tondeggiante.

Accattàmece ‘na camböse de geléte = Compriamoci una cassata (di gelato).

Ovviamente c’era bisogno de complemento di specificazione (de geléte) per distinguerle l’una dall’altra (de recòtte).

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