Tag: sostantivo femminile

Vrachètte

Vrachètte s.f. = patta

Pezzo di stoffa cucita che nasconde una cerniera, specificamente quella dei pantaloni.

In dialetto dicesi vrachétte perché dà immediato accesso alle brache = vréche.

Fino a pochi decenni fa detta chiusura era costituita da bottoni e asole che venivano nascosti dalla patta vera e propria.  In che rendeva laborioso l’accesso in caso di urgenza…
Fortunatamente la cerniera zip risolve rapidamente ogni evenienza.

Con l’accrescitivo (maschile) vrachettöne s’intende designare qualcuno che indossa i pantaloni dal cavallo molto basso.

Quèdde angàppe l’öme ( o l’ùmene) pe vrachètte = Costei è una poco di buono

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Vöpe

 Vöpe  s.f. = Boga

Piccolo pesce di mare commestibile della famiglia degli Sparidi (Boops boops) con tre fasce longitudinali dorate sul dorso argenteo, comune nel Mediterraneo.

Conosciuto comunemente come Opa in Sicilia, come Boba in Romagna e Vopa in Puglia, Campania e Calabria.

Viene considerato un pesce di scarso pregio, ma vi assicuro che è delizioso sia fritto sia nella zuppa.  Unico requisito richiesto per passare tutti gli esami: la estrema freschezza.

Le boghe più piccole sono chiamate vuparèlle.

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Vònghele

Vònghele s.m. s.f. = Baccello; Vongola

1) Vònghele (almaschile) =  Baccello di fava (Vicia faba).

In primavera le fave contenute in questo baccello si mangiano fresche assieme al pane e al formaggio pecorino. Una delizia mediterranea.
Il baccello, una volta seccato, si scarta facilmente lasciando liberi i semi di fava, che si conservano a lungo come gli altri legumi.
Il singolare ‘nu vònghele suona con la ‘ò’ larga, mentre al plurale va pronunciata con la ‘ó’ stretta: ‘i vónghele, o anche ‘i féfe de vónghele le fave in baccello.
Il prof. Michele Ciliberti – cui va il mio ringraziamento – mi fornisce l’etimologia di vònghele:
“deriva dal latino concula che significa “piccola conchiglia”;   per indicare il baccello di fava il tardo latino utilizzava il termine conculum al maschile o al neutro, forse come contrazione di conclusum, cioè baccello “chiuso”.

2) Vònghele (al femminile). = vongola

Si tratta della famosa vongola verace (Tapes decussatus), apprezzatissima per il sapore e per il profumo intenso che dà all’intingolo usato per condire i famosi spaghetti alle vongole.
In questo caso vònghele viene pronunciato, al singolare e al plurale, alla stessa maniera, con la ò larga.
Quelle che compriamo sulle bancarelle, di allevamento, provengono quasi esclusivamente Chioggia e dalla laguna veneta: le nostrane sono scomparse forse perché nessuno le va più a raccogliere per la scarsa redditività.

Ho sentito dire da una persona anziana che anticamente le vongole erano chiamate ” ‘i còzzele bònghele” = le cozze vongole (per la solita mutazione della ‘b’ in ‘v’ e viceversa di derivazione spagnola, come il classico esempio di vàrve per barba).

Le  vongole comuni (Chamelea gallina), sprovviste di sifoni specifici delle vongole veraci, sono dette in manfredoniano ‘i lupüne = i lupini. Ugualmente buone per preparare intingoli profumatissimi.
In Romagna le chiamano poveràss = poveracce, forse perché, per dimensioni,  sfigurano davanti alle loro consimili, quelle veraci, più dotate e più tenere.

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Vöche

Vöche s.f. = Gonfiore

Ponfo: Lesione dermatologica rappresentata da un rigonfiamento cutaneo tondeggiante e liscio, di colore rosso o bianco, con alone eritematoso e pruriginoso, tipica di varie forme di orticaria.

Gli antichi attribuivano questi rigonfiamenti ad intasamenti ghiandolari causati da emozione, spavento, gioia, ecc.

Accrescitivo: vecüne grossi ponfi.

Tenghe ‘i càrne vecüne vecüne p’u škande = Ho l’organismo pieno di ponfi a causa dello spavento preso.

Viene chiamata vöche anche il melasma (o cloasma) = gruppo di macchie irregolari giallo-brune che compare sulla pelle del viso delle donne in gravidanza o in seguito a disturbi ovarici.

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Vigne

Vìgne s.f.s.m. = Vigna, vimine

1) ‘U vigne, s,m, = Vimine, ramo flessibile di alcune specie di salice, privato della corteccia e adoperato per lavori d’intreccio, spec. artigianali per fare canestri. Dim. vignetjille. Può anche chiamarsi vinghje.(←clicca).

2) ‘A vìgne s.f. = Vigna, terreno coltivato a vite; insieme delle viti che vi sono coltivate.

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Vìcce

Vìcce s.f. = Tacchino

Il tacchino (Meleagris Gallopavo) è un gallinaceo domestico, originario dal nord America.
È caratterizzato da testa e collo nudi, con bargigli rossi che pendono, penne nerastre. I maschi possono allargare la coda a ruota. Infatti Linneo lo chiamò “Gallopavo“, ossia gallo-pavone

Per invitare il piumato animale a mostrare la sua ruota, i bambini gli gridavano, a debita distanza: Vìccja-vi’, fa’ la segnöre, glu glu glu glu! = Tacchino, tacchi’, fa’ la signora, glu glu glu glu!

Ovviamente la ruota la faceva quando piaceva a lui…

I piccoli del tacchino sono chiamati vicciarjille.

Quando qualcuno mangia una minestra, e ama raccogliere fino all’ultima goccia di brodo o di sugo, suscita una domanda spontanea: che, ha da allatté i vicciarjille? = che, devi allattare i tacchinelli?
È un autentico sfottò, specie perché i tacchini non sono mammiferi, e che quindi non allattano i loro piccoli.

Il chiarissimo Prof. Michele Ciliberti – che ringrazio pubblicamente – mi ha gentilmente fornito l’etimologia di questo sostantivo:

«Il nome “vicce” in dialetto è promiscuo, cioè indica sia il maschio sia la femmina.
Prima di dare l’etimologia del nome, occorre fare una considerazione di carattere storico: tale animale è stato importato in Europa dopo la scoperta delle Americhe. 
Nel XVI secolo il latino era la lingua della Scienza e della Chiesa, per cui a livello volgare spesso veniva utilizzato in modo del tutto approssimativo.
Infatti, per indicare questo nuovo animale , ispirati dal suo piumaggio, si è utilizzato il sostantivo latino “bombjcem“. Il nostro dialetto ha utilizzato solo la seconda parte del nome “bjcem” (la “b” si è trasformata in “v” come in tante altre parole tipo barca – varca, bocca-vocca ecc.). Il nome “bombjcem” in latino significa “veste di seta”, infatti così appariva il piumaggio dell’animale.»

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Vianöve

Vianöve s.f. = Carreggiata stradale bitumata.

Alla lettera significa “via nuova”.

Hanne fàtte ‘u scòndre söpe a vianöve de Sepònde = C’è stato un incidente stradale (hanno fatto uno scontro) sulla strada di Siponto.

Agli inizi degli anni ’50 l’unica strada asfaltata era la S.S.89 Garganica che attraversava tutta Manfredonia. Poi vi erano quelle (poche) lastricate con pietra vulcanica: Corso Manfredi, Corso Roma, Via Maddalena e le loro traverse. Tutte le altre vie cittadine erano di terra battuta, irregolari, da cui affioravano sovente rocce calcaree bianche. Lascio immaginare a voi come diventavano queste con la pioggia…

Quindi la ‘via nuova’ cittadina era anche chiamata l’asfàlde = l’asfalto, dal nome della prima sostanza (roccia impregnata naturalmente di bitume) usata per rivestire il manto stradale (detto MacAdam cementato). Successivamente si è usato il catrame (instabile all’aumento termico) e ora il bitume, ricavati dalla distillazione del petrolio greggio.

Penso che il termine vianöve derivi dal fatto che per stendere la carreggiata, la strada dev’essere sbriciolata e rifatta di nuovo.

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Vèvete

Vèvete s.f. = Bevuta

L’azione di bere per dissetarsi.

Tènghe ‘n’ arsüre, fàmme fé ‘na vèveta d’acque = Ho un’arsura! Fammi fare una bevuta d’acqua!

Ora si preferisce dire bevüte.

Ce süme fatte ‘na bevüte de vüne dòlece= Ci siamo fatti una bevuta di vino dolce.

Ma io sono un po’ tradizionalista e quoto per vèvete.

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Vetrüne

Vetrüne s.f. = Porta a vetri

Da non confondere con la vetrina dei negozi, chiamata oggi allo stesso modo.

Principalmente indica l’infisso, di legno o di alluminio, che chiude l’uscio delle abitazioni a piano terra (‘u sutténe).

Il ‘sottano’ oltre alla porta a vetri aveva anche la porta di legno a due battenti che di notte rappresentava la seconda e più robusta barriera, chiusa dall’interno con il varröne

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Vetréne

Vetréne s.f. = Morbillo

Malattia infettiva e contagiosa. Si manifesta, spec. nei bambini, con febbre elevata e chiazze rosse su tutto il viso e il corpo.

Purtroppo quale strascico del morbillo facilmente i neonati contraevano una esiziale bronchite. In assenza di antibiotici, non ancora inventati, le conseguenze erano disastrose e la mortalità infantile molto elevata.

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