Tag: sostantivo maschile

Turnöse

Turnöse s.m. = Tornese,

Tornese era la moneta in corso nel Regno di Napoli fino al 1860.

Al plurale fa turnüse = Tornesi, soldi

Il termine viene usato tuttora: Nen tènghe manghe ‘nu turnöse = Non ho nemmeno un soldo (o una lira, o il becco di un quattrino, tutte monete fuori corso).

Oppure: Pe fé ‘sta chése ce vònne ‘nu sacche de turnüse: addu’jì ca li véche a pegghjé?= Per costruire questa casa ci vogliono un sacco di soldi: dov’è che li vado a prendere?

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Turnaljitte

Turnalìtte sm = Giraletto.

È una parola derivante dal francese Tourne-lit (pronuncia turnelì) . Fascia di tessuto ricamato e/o intagliato. Veniva applicata alla partebassa del letto, allo scopo di nascondere gli antiestetici piedini delle reti che sostengono i materassi.

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Turcecùdde

Turcecùdde s.m. = Torcicollo

La pronuncia moderna vuole che si dica turcecùlle.

Come il lettore Matteo ha scritto nel commento qui sotto, con termine dialettale certamente più antico e autentico, il sostantivo era teracùdde (o teracùlle), cioè “tiracollo”.

Atteggiamento viziato del capo determinato da cause molteplici, spec. da contrazioni o lesioni anatomiche dei muscoli o delle vertebre cervicali.

I nostri nonni dicevano che era causato da un tendine o un nervo accavallato (‘u njirve ‘ncalvacchéte)

Grazie al lettore che si è firmato Jackal si è potuto ricuperare dal dimenticatoio questa bella filastrocca manfredoniana, anticamente usata dalle nostre nonne  (quando non esistevano le ASL) per levare il torcicollo.

TERAPIA DEL TORCICOLLO

Trè zzetèlle nüje süme,
da Venèzzje nüje venüme,
mamm’e ppéte nen tenüme,
mareté ce vulüme.
E stu nirve ngalvacchéte
scalvacché lu vulüme
jind’u mére lu mettüme.

Tre zitelle noi siamo
da Venezia noi veniamo
madre e padre non abbiamo
maritare ci vogliamo.
E questo nervo distorto e accavallato
vogliamo distendere e raddrizzare
(e) dentro il mare lo gettiamo.

Tre ragazze nubili, recitando la formula, tenevano ciascuna un fuso per filare con la punta superiore (a uncino) che toccava la parte malata del collo del paziente.
Le tre punte dovevano combaciare, quasi a riunire e trasmettere la forza magica della terapia per “agganciare” il male.
Terminata la formula, scuotevano il fuso verso l’esterno, e pronunciavano la frase finale (dentro il mare lo gettiamo) come se volessero scaraventare via il dolore cavato dal collo del paziente, ma ancora attaccato sulle punte dei tre fusi.

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Türabbusciò

Türabusciò s.m. = Cavatappi

Termine derivato dal francese “tire bouchon” (che si legge tir-busciò) ed ha lo stesso significato.

Si dice, con leggera modifica di pronuncia, anche tirabbusciò
È ammessa la grafica tïrabbusciò.

Quelli antichi non avevano alcuna leva.

Si azionavano completamente a forza di braccio

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Tïra-pjite

Tïra-pjite s.m. = Tirapiedi

In origine era designato con questo nome l’aiutante del boia, nelle esecuzioni di condanne a morte mediante impiccagione, che aveva il compito di tirare per i piedi gli impiccati per affrettarne la morte.
Da questa orribile azione è passata in dialetto la locuzione stènne i pjite o accucchjé ‘i calecàgne per indicare con un eufemismo il verbo morire.

Ora per ‘tirapiedi’ si intende indicare chi è addetto a mansioni di infimo ordine o anche colui che si pone agli ordini di una persona, assecondandone per servilismo e senza dignità tutti i desideri.

Insomma il classico lecchino, il tipico scagnozzo, una mezza tacca di persona, colui che segue fanatico e cieco i voleri di un leader (specie se quest’ultimo vale quattro soldi), sperando di trarne futuri vantaggi.

In italiano esistono tanti sinonimi: scagnozzo, servo, tirapiedi, gorilla, guardia del corpo, guardaspalle, schiavetto, portaborse, galoppino, sgherro, mastino.

Non è il caso ora di fare esempi attuali di politici, giornalisti, insegnanti, medici,ecc.

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Türa-jagnéle

Türa-jagnéle s.m. = Cavadenti.

Va bene anche scritto tïra-jagnéle, avendo la stessa pronuncia (omofono).
Fino alla metà del secolo scorso, esisteva un personaggio che esercitava abusivamente la professione medica, un  praticone che “curava” i denti malati.   Il più delle volte estirpava i denti cariati senza alcun aiuto di anestesia.

Costui, su richiesta, si recava al domicilio dei malcapitati pazienti, perché non poteva avere un ambulatorio dentistico vero e proprio come lo intendiamo noi. Diciamo che era un “ambulante”, come tutti i commerciante dell’epoca.

Certamente esistevano anche  i medici dentisti, ma evidentemente per questioni economiche questa figura riusciva a trarre da vivere dalla sua “professione”, quantunque temuta.

Il termine è composto da Türa = da tirare (non turare), cavare, estrarre e jagnéle = dente molare.

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Tuppjille

Tuppjille s.m. = Crocchia

Acconciatura femminile, consistente in una o due trecce avvolte e fermate sul capo o dietro la nuca mediante forcine metalliche e/o di materiale plastico.

Pettinatura tuttora usata dalle donne molto anziane.

Si può dire anche tóppe s.m. con la ‘ó’ molto stretta.

Credo che questo termine abbia un attinenza col francese toupet (pron. tupé), che significa parrucca, ma anche pettinatura stretta alle tempie e con i capelli raccolti alla sommità della testa, in uso nell’800.

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Tüme

Tüme s.m. = Timo

Arbusto sella fam. delle Lamiaceae (Thymus vulgaris) diffuso nell’area mediterranea; ha largo uso in cucina come aroma da condimento e nell’industria cosmetica per la preparazione di saponi e profumi.

Veramente da noi non è stato mai usato in cucina.

Una volta si raccoglievano i suoi cespugli e si utilizzavano come valido sostegno nella costruzione del presepio, per reggere i fogli di carta grossa spiegazzati.

Sopra questi ramoscelli si modellavano montagne e grotte.

Il presepio emanava un gradevole profumo per tutta la durata della sua esposizione.

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Tumbagne

Tumbagne s.m. = Tappo

Specificamente, si chiama ‘u tumbàgne il tappo di legno usato per le botti che contengono vino.

Dé ‘na botte au cjirchje e ‘na botte a ‘u tumbàgne = Dare un colpo al cerchio e un colpo al tappo.

Bisogna saper colpire o contentare entrambi i contendenti. Non essere di parte.

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Tüfe

Tüfe s.m. = Tufo

Intendiamo a Manfredonia con questo nome, più che la roccia tufacea in genere, i conci di questo materiale, estratti dalle tufare (vedi) ed ampiamente usato in edilizia.

Generalmente i conci di tufo hanno dimensioni di cm 20x20x40.

Quelli usati a Manfredonia, molto chiari, provenivano dalle importanti cave site in località S.Lucia, sulla strada per Foggia, sfruttate fino agli anni ’60.

Il tufo di Canosa, un prodotto particolarmente compatto, era molto apprezzato dai muratori.

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