Tag: sostantivo maschile

Ammucciacöne

Ammucciacöne s.m. = Nascondino, rimpiattino, nasconderella

Ringrazio il lettore “Il Proletario” che mi ha mandato pari pari questa definizione del gioco fanciullesco che divertiva tanto i maschietti quanto le femminucce in età scolare.

«È un gioco di bambini che consiste nel nascondersi rispetto a uno di loro, scelto a caso, che si copre il viso e gli occhi, di faccia al muro, contando fino a cinquanta, per voltarsi al cinquantuno gridando Trombone, ed infatti il gioco viene anche chiamato “Cinquantuno trombone”.

Il gioco si risolve quando colui che ha contato riesce a trovare o vedere il nascondino degli altri giocatori; il primo scoperto diventa il prossimo contatore.»

Aggiungo che esiste una variante al gioco per i più grandicelli.
Meglio se il gioco si svolge all’aperto, ove c’è maggior spazio di manovra.
Possono essere scovati anche più bambini, che man mano devono restare fermi alla “tana” mentre continua la caccia agli imboscati. Se il “cacciatore” si allontana troppo dalla tana, può sbucare un bimbo non visto che batte con la mano la parete gridando “liberi tutti!” e il gioco ricomincia. Se arriva il “cacciatore” a battere la parete prima del “liberatore” si rilasciano tutti ma quello che ha fatto il tentativo di liberazione andrà “sotto” a contare il fatidico 51 per ricominciare tutto daccapo.

Va bene anche scritto Mucciacöne.
Ovviamente deriva dal verbo (clicca→) ammuccé = nascondere


Jean Verhas (1834-1896) – À cache-cache
Foto di dominio pubblico.

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Vestemènte

Vestemènte s.m. = Vestimento

In dialetto viene usato questo termine non per indicare un indumento, un vestito, un abito maschile o femminile, bensì l’abbigliamento di Carnevale.
Sissignori, di Carnevale! Per assonanza, quasi quasi tradurrei vestemènte con “travestimento”, assolutamente lecito in quei giorni di baldoria.

Vestemènte da Pièrò = Abito da Pierrot.

Tenöve ‘nu vestemènte da Zorro = Indossava un abito da Zorro.

Necöle ce ho ‘ffettéte ‘nu vestemènte da Arleccüne = Nicola ha noleggiato un abito da Arlecchino.

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Campanjille

Campanjille s.m. = Campanello

Va bene anche scritto cambanjille, assecondando la pronuncia meridionale con addolcimento della “t” in “d” (sò cundènde).

La traduzione è semplice perché indica il campanello, sia quello metallico, di varie misure, munito di manico e battaglio ad uso liturgico, sia quello elettrico a pulsante, usato per bussare.

È nota la locuzione sapì a campanjille = a campanello, cioè sapere a memoria; imparare e ripetere a menadito una lezione o un brano di poesia o di musica.
Alle elementari ci veniva chiesto di imparare a memoria le “tabelline” (la tavola pitagorica).
L’insegnante faceva domande improvvise, tipo “9 x 7?” e pretendeva risposta immediata!
Un ottimo esercizio mentale.

Da non confondere con il campanile, che da noi si dice campanére o cambanére che designa anche la persona addetta a suonare le campane.

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Paprecchjöne

Paprecchjöne agg., s.m. = Sciocco, fessacchiotto

Generalmente è riferito a persona insulsa, facilmente raggirabile, un po’ ingenua, tarda nell’agire.

‘Stu paprecchjöne pe ‘nzacché ‘nu chjuve ce mètte mezza jurnéte! = Questo sciocco per piantare un chiodo impiega mezza giornata.

Probabilmente derivato da papero.
Per il femminile l’italiano similmente usa “oca” per dire sciocca.

Credo che per definire in dialetto le stesse “qualità” al femminile basti un semnplice “pàpre” = papera, oca.

Angöre mò ce arretüre ‘sta pàpre = Solo adesso rientra, questa sciocca.

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Fresüle

Fresüle s.m. = Intestino retto

Questo termine anatomico, ormai è desueto. Tuttavia l’ho inserito – dietro suggerimento del dott. Matteo Rinaldi – perché resti memoria.
L’issüte ‘u fresüle da före = gli è uscito l’intestino di fuori. In termini medici: avuto un prolasso del retto.

Questo può avvenire per un immane sforzo fisico.

Gli sportivi sollevatori di pesi, durante le loro prestazioni spesso si lasciano sfuggire una semplice scorreggia…. Ma questo è il meno!

Collegato a questo sostantivo, sempre il dottor Rinaldi mi ha graziosamente imbeccato il verbo sbreselàrece, ossia sforzarsi all’inverosimile, tanto da riportare come conseguenza un vistoso prolasso intestinale.

Nota linguistica:
Quasi sempre, fateci caso, il gruppo consonantico “nfr”, viene mutato in dialetto in mbr. Esempi:
Manfredonia = Mambredònje,
In fronte = mbronte,
Infracidito = mbracetéte.
Lo stesso dicasi con il nostro fresüle che nel teorico “sfrisolarsi” diventa sbreselàrece.

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Capìzze

Capízze s.m. = capo, bandolo, inizio, parte estrema.

Ringrazio sentitamente l’amico Matteo Borgia jr per l’intera stesura del sottostante articolo, esempi compresi.

***

«È l’estremità libera di una matassa, di un gomitolo, di un rocchetto o di un rotolo, in italiano il bandolo. Deriva da “capo”, o meglio ancora dal latino capĭtium «estremità», e non va confuso con (clicca–>) capícchje , il capezzolo del seno, con cui condivide l’etimo, né con (clicca–>) capèzze, cavezza, briglia.

A volte è molto complicato riuscire a trovarlo, così scovare il bandolo o sbrogliare la matassa significa risolvere un problema, superare una difficoltà.

Analogamente, in dialetto capízze assume il significato di soluzione (di un problema), rimedio.
Nge sté capízze pe ‘stu mbrugghje =non c’è rimedio per questo imbroglio.
N’arrevéme a truué capízze =non arriviamo/non riusciamo a trovare il bandolo, a raccapezzarci.
Da notare che anche il verbo italiano “raccapezzarsi” ha lo stesso etimo.

A volte il rimedio può essere buono o cattivo.

Ricordo il mio maestro elettricista, Tonino Paravùzze Rinaldi che – quando le matasse di filo si imbrogliavano e diventava difficile trovare il capo giusto – diceva: pe truué u capízze bbùne ‘ma chjamé ‘u nucchìre! = per trovare il bandolo buono dobbiamo chiamare il nocchiere) .

Oggi il termine è in disuso, tranne forse tra i sarti o nella marineria.»
(Matteo Borgia)

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Pannazzére

Pannazzére s.m. = Venditore di stoffe

Il venditore di “panni”, cioè tessuti, stoffe e fodere per abiti, ecc.

Una volta il commercio era prevalentemente svolto da venditori ambulanti, con un carrettino tirato da un ciuchino o spinto da un ragazzino.

Ricordo diverse categorie di ambulanti: fruttivendoli, lattai, carbonai, piattai, arrotini, stagnini, fornai, merciai (bottoni, candele, lucido per scarpe, spilli, elastico per mutande, aghi e ditali, ecc.) e lavoranti a domicilio, chiamati al bisogno (lavandaie, materassai, pettinatrici, pseudo-infermieri per le iniezioni).

C’era addirittura un “dentista” ambulante, un praticone cavadenti, detto türa-jagnéle = tira-molari.

Nel nostro caso il pannazzére era il fornitore specifico per sartorie da donna e da uomo.
Anche richiesto da casalinghe per confezionare in casa lenzuola, federe, mutande e sottovesti.
Addirittura le nostre mamme erano così brave da confezionare camicie da uomo e tovaglie ricamate.

Con la scomparsa della figura dell’ambulante, il termine pannazzére è ormai fuori uso, come il più antico sinonimo (clicca→) scitére (dall’arabo shitan)= panno, tessuto, stoffa.

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Renacce

Renacce s.m. = Rinaccio


Si tratta di un lavoro donnesco consistente in un rammendo invisibile su un tessuto strappato o logorato.

Praticamente si ricostruiva mediante intrecci vari con ago e filo dello stesso colore la parte danneggiata di una camicia, un lenzuolo o di un tessuto qualsiasi.

Il rinaccio richiede molta abilità nell’esecuzione. Per ottenere un risultato apprezzabile occorre molta pazienza e lunga esperienza.

Mia madre, per lavori particolarmente impegnativi, si rivolgeva alla suore della Stella, le quali erano espertissime nell’eseguire – dietro un modesto compenso – i ricami su lenzuola, federe e tourne-lit, il rinaccio e anche il “punto a giorno”.

Il consumismo ha passato nel dimenticatoio questo antica attività domestica. Ora se un indumento mostra tracce di logorio semplicemente viene buttato nell’indifferenziato.

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Criatüre

Criatüre s.m = Neonato, bambino

Con l’aggiunta dell’articolo, il sostantivo può essere femminile o plurale.
‘U criatüre = il bambino
‘A criatüre = la bambina
‘I criatüre = I bambini o le bambine.

Spesso se la nidiata era numerosa, si usava al plurale (credo che ormai il termine sia andato in disuso), il diminutivo (clicca→) i criócce, a mio parere derivante da criatüre + la desinenza -ócce, come il diminutivo dei nomi di persona Mengócce (Domenicuccio) ‘Nteniócce (Antoniuccio), ecc.

Un paio di esempi.

-di commiserazione:
Povera Mariètte, pe tutte quìddi criócce... = Povera Marietta, con tutti quei bambini…

-di ammirazione:
Sacce accüme fé pe tutte quìddi criócce.. = Non so come fa, con tutti quei bambini… (io al suo posto sarei stramazzata)

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Parauande

Parauànde s.m. =Paraguanto, mancia

Denaro che si dà senza obbligo, oltre il pagamento di quanto dovuto, a chi ha reso un servizio.

Molto atteso dai ragazzi di bottega quando andavano a consegnare a domicilio l’oggetto confezionato o riparato in un qualsiasi laboratorio artigiano.

Ad esempio una giacca, un ricamo, un tavolino, una serie di vomeri o di picconi cui è stata rifatta la punta, una cornice, ecc.).

Sorprendentemente ho scoperto in rete che il termine era usato in lingua italiana già dal 1676!
Infatti quell’anno venne pubblicato un poema eroicomico scritto da Lorenzo Lippi, «Il Malmantile racquistato». In esso sono riportati i versi:
“Per buscar mance e paraguanti
Andaron molti a darne al re gli avvisi »(da Wikipedia)

Sul Vocabolario dei Sinonimi del 1886 è riportato:
«Paraguanto, Mancia, Beveraggio, Bonamano
-Paraguanto è ricompensa signorile data per nobili servigi a persone civili, quasi dica Per comperarsi i guanti, dallo spagnuolo para guantos (per i guanti).
-La Mancia si dà a persone di bassa condizione, per piccoli servigi.
-Il Beveraggio si dà a’ facchini e a’ vetturini, perché possano bevere: quella dei vetturini si dice anche Bonamano, e suol darsi per viaggi corti e per semplici accompagnature.»

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