Tag: sostantivo maschile

Panére

Panére s.m. = Paniere, cesto

Cesto, normalmente di vimini, provvisto di un ampio manico arcuato usato per appenderlo al braccio.

Credo che sia un derivato di “pane”, nel senso di contenitore in cui si riponeva il pane.

Quando è di dimensioni ridotte viene detto panarjille = Panierino. Mi ricordo sempre una parente che quando veniva da Macchia me ne portava uno pieno di squisitissimi fichi freschi.

Per la sua forma rotonda, ironicamente il panére viene paragonato ad un lato B di una donzella formosa. Sinonimo di culacchjöne.

Uàrde, uà, che bèlle panére = Osserva attentamente quant’è straordinariamente abbondante il deretano di quella signora! Vale la pena di farne una valutazione volumetrica…

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Pandummüne

Pandummüne s.m. = Bastonatura.

Forse perché le mazzate si svolgono in uno scenario movimentato, può starci l’accostamento al significato di “Pantomima” (rappresentazione scenica muta, affidata esclusivamente all’azione gestuale).

I “gesti” sono ‘i taccaréte = le legnate! Ah ah ah.

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Pandanjire

Pandanjire s.m. = Pantaniere

Al femminile si dice: pandanöre

Proprietario terriera o persona abitante in una area dell’agro sipontino in cui erano presenti i pantani, terreni paludosi nella zona sud, in massima parte bonificati a partire dagli anni Trenta del secolo scorso, dove oggi sono gli Sciali.

Nelle acque stagnanti prospicienti il golfo pescavano, tra l’altro, anguille e anche rane (ranògne), con le quali si preparava un gustoso ragù o una eccellente frittura, di cui si è quasi perduta memoria.

Le paludi, quantunque malsane, fornivano molte risorse ai “pantanieri”, che ricavavano giunchi per fare cesti, cime di canne per farne scope, altri tipi di vegetali per farne paglia specifica per le “seggére” (donne che confezionavano i fondi delle sedie).
Qualcun campava la famiglia raccogliendo le sanguette, ossia le mignatte (Hirudinea medicinalis), le sanguisughe utilizzate come rimedio empirico nei casi ove fosse richiesto un “salasso”.
Leggi quello che scrive Wikipedia

Ringrazio Matteo Borgia per avermi graziosamente suggerito il termine.

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Palómme

Palómme o palómbe s.m. = Colombo, piccione; girandola.

1 – Palómme s.m. -Uccello di media grandezza (Columba livia), robusto volatore, dotato di becco leggermente ricurvo in punta e rigonfio all’apice, zampe corte; è detto anche piccione. Parente stretto del colombaccio (Columba palumbus).

Il termine palómme (si pronuncia con la ó stretta, quasi una u) deriva dallo spagnolo la paloma = la colomba (al femminile).
Il loro rifugio è detto ‘u palummére = colombaia, piccionaia. Attenti a non confondere palummére con palumbére = palombaro.

Esiste anche il diminutivo palummjille per indicare quelli piccoli che cominciano appena a volare.

Era quasi obbligatorio somministrare alle puerpere un brodino di carne di palummjille allo scopo di rinfrancarle dopo la fatica del parto e di far aumentare loro la montata lattea.

Era usato in casa dei facoltosi per preparare un brodino leggero. Le puerpere di estrazione più povera ricevevano il brodo ottenuto dalla cottura dei ceci. Forse conteneva meno proteine ma certamente più sali minerali, utilissimi al neonato perché passavano nel latte materno.

Il sostantivo palummjille = colombino, indica metaforicamente anche qlcu alle prime armi che vuole cimentarsi in un’attività impegnativa, in antagonismo con i marpioni: quindi un probabile soccombente, agnello tra i lupi.
Attenzione! Al femminile palummèlle non ha nulla a che vedere con il pennuto fin qua descritto.  Infatti indica una farfalla notturna (la falena).

A volte quando si è indeboliti o affamati si usa l’espressione: Tènghe i palummèlle ‘nnanz’a l’ucchje = Ho un annebbiamento della vista.

2 – Palòmme s.f. = Girandola di carta.
Questa, al femminile, si pronuncia con la ò larga (‘a palòmme = la girandola)

È un giochino di carta, semplice da costruire, che diverte molto i bambini. L’abbiamo fatta tutti, anche quando non avevamo le puntine da disegno per fissarla all’asticciola.

Nell’espressione jìrecìnne ‘mpalòmme si manifesta uno stato di grazia o di soddisfazione, gongolarsi, rallegrarsi, come dire andar col vento in poppa.

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Pàlje

Pàlje s.m. = Pallio

Pallio 1 – Striscia bianca di lana di agnello, con sei crocette (tre per parte, allineate su ciascuna delle due metà) e con le frange nere e veniva conferita dal Papa al Vescovo all’atto della nomina espiscopale.

Il Presule la indossava per rappresentare la sua dignità di Vescovo e la sua sottomissione al Papa, e simboleggiare quindi quella del popolo di Dio alla Sua Chiesa.

Pallio 2 – Stoffa drappeggiata come un sipario semi-aperto, per accogliere ornare e decorare – su una mensola, su un ripiano, o su un palchetto – una statua o un’immagine sacra.
In questo senso ricordo una canzoncina che cantavamo all’Asilo:

«La Madonne de lu Resàrje
oh, quant’jì bèlle sott’a lu palje!

      E la jéme a vesetéje,
      oh che bèlla grazzje ca ce uà féje!

E la grazzje l’amm’avüte
e San Gesèppe ce l`ho recevüte (?)

    San Gesèppe e San Frangìsche
    so’ cainéte (?) de Gése Crìste!»

Le mie orecchie  non capivano bene certe parole, e le ho inserite trascritte, palesemente errate, così come sono rimaste in memoria.

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Paliatöne

Paliatöne s.m. = Scarica di percosse

Il sostantivo  «paliatone», usato in tutto il Sud Italia, indica l’atto di picchiare  lungo una persona e in maniera piuttosto violenta.

Deriva dal verbo palià, di origine Gallo-italico  che indica l’azione di separare il grano dalla paglia usando la pala. Il movimento abbassa-alza-abbassa-alza della pala tra le mani è eloquente.
Un’altra origine plausibile è conducibile allo spagnolo apalear che significa proprio randellare, battere, percuotere, passato attraverso il napoletano palià, di cui paliatone è l’accrescitivo..

Se le percosse sono numerose e memorabili, l’azione dicesi Paljatöne a nómere jüne = Botte a numero uno, cioè in cima ad una ipotetica classifica delle sberle.

Sinonimi:

  • Paliéte s.f. = Legnata
  • Pandummüne s.m.= Pestaggio movimentato
  • Mazzjatöne s.m.= Pestaggio con l’ausilio di un bastone, bastonatura
  • Škaffjéte = Schiaffeggiamento
  • Taccariéte = Legnate col bastone da spighe (‘u taccarijlle)
  • Zeghegnéte = Serie di pugni sugli zigomi o sulle arcate sopracciliari.

Circonlocuzioni:

  • Frechéte de mazzéte = Scarica di legnate (mazze  = manico di scopa)
  • Menéte de cazzuttüne = Gragnuola di pugni
  • Mustaccéte de sanghe = Pestaggio facciale. Il sangue colato dalle narici disegna un paio di baffi (mustazze)
  • Scàreche de taccaréte = Gragnuola di bastonate  inferte col taccarjìlle.
  • Abbuttéte de fàcce = Gonfiata di faccia (per i pugni)
  • Stengenéte de cùste = Incrinatura di costole
  • Menéte de škaffe = Serie di schiaffi
  • Menéte de recchjéle = Schiaffoni a mano aperta diretti a colpire guancia e orecchia.

Altri tipi di percosse inflitte, per lo più in ambito domestico a scopo “pedagogico” erano (dico erano perché ora sono cadute in disuso):

  • A botte de chjanjille = a colpi di ciabatta
    Valido mezzo da lancio che serviva per colpire, in genere alla schiena, le simpatiche canaglie in fuga. Il preciso lancio dei chjanjille (ciabatte in genere pesanti) veniva preceduto da urla tipo: ca te vonn’acciüde, ca te vonna sparé. ‘stu bböje, ‘stu malazziunande, ecc.
  • A botte de ratavjille= a colpi di ramazza.
    Il deterrente migliore che usavano le mamme per domare le piccole pesti della famiglia.
    Il rataviello era una specie di spazzolone per lavare a terra. Non era come l’attuale morbido “mocio vileda”, ma aveva attaccato al lungo manico un pesante tocco di legno rettangolare. Usato con abilità, produceva grossi bernoccoli sulla capoccia dei monelli.
  • A botte de zùcchele = a colpi di zoccolo [di legno]
    Questo era un sistema “volante”, ed era davvero sconsigliabile da usare, in quanto, se colpiva il bersaglio, comportava  una successiva corsa in ospedale per mettere i punti di sutura a una testa spaccata.

Questi sono termini molto più immediati ed efficaci dei corrispondenti in lingua! (busse, percosse, botte). Ne esci sempre molto malconcio, ma… vuoi mettere?

Mi piace qui riportare una composizione del mio amico Leonardo Trotta intitolata:

 “NEN DANNE RÈTTE A SUNNE”

Finalmènde ‘i cöse ce so’ aggiustéte!
Finalmènde ‘a gonne
c’jì ngiunecchjéte annanze ‘i vréche!
Finalmènde c’jì capïte
ch’jì ca cumanne ‘nda ‘sta chése!

L’agghje fatte ‘na frechéte de mazzéte!…
Mò, abbaste ca fazze ‘nu cènne,
E sóbbete ce ‘nginocchje e avasce ‘a chépe.
Abbaste ca jàveze ‘nu dïte
e fé tutte quèdde ca jü dïche….

Po’ so škandéte,
e me so respegghjéte!
È fatte pe ‘uardàrme  au spècchje
e tenöve i guance rosse
e n’ucchje ammappéte.

Nóneme bbunàneme deciöve:
“Nepö’,  statte attjinte ai sunne!
Spìsse so tutte ‘u cuntrarje
de cume ti l’ha sunnete!”

Oooh,  ‘u vidì ca stu sunne
l’agghje méle ‘nterpretéte
e ‘u paliatöne nen l’agghje fatte jü
ma me lu so abbuškete?.

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Palettò

Palettò sm = Cappotto, pastrano:

Ora si dice cappòtte, ma fino a pochi lustri fa si usava il termine francese paletot = Cappotto, e si pronuncia senza la t finale.

Talvolta si usava dire in dialetto anche trènce , dal termine inglese trench = cappotto.indumento invernale di stoffa pesante, specificamente usato in divise militari.

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Palamére

Palamére s.m. = Bracciolo

Da non confondere con il bracciolo della poltrona….

Si tratta di uno degli innumerevoli fili con amo che pendono dalla cima orizzontale del palàmito (detto in dialetto palanghére) impiegato come sistema di pesca.

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Pajöse

Pajöse s.m. = Paese

Inteso solo come centro abitato e non come nazione.

Anche se si trattava di una città, era sempre chiamata ‘u pajöse. Il termine “città” pronunciato tale e quale in dialetto è una forzatura introdotta con la scuola dell’obbligo.

Gli abitanti, o meglio i concittadini, vengono detti “pajséne a…”
Giuanne jì pajséne a te = Giovanni è un tuo compaesano.

In Amèreche stanne tanda pajséne = In America vivono tanti nostri concittadini.

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Pagghjùle

Pagghjùle s.m. = Soldi

Ritengo che si tratti di un termine gergale dell’ambiente marinaresco.

I Francesi elegantemente dicono argent de poche = denaro da tasca, ossia a portata di mano, immediatamente utilizzabile.

Generalmente il nostro viene usato al plurale, i pagghjùle = i soldi al posto dell’ottocentesco ternüse = tornesi.

Ce vònne i pagghjùle! = Occorrono i soldi!
Con linguaggio moderno: necessitano risorse finanziare!

Stéche senza pagghjùle = Non ho soldi, sono squattrinato.

Lo siamo un po’ tutti in questo periodo. Speriamo solo momentaneamente!

Tutti i dialetti usano un termine specifico: dané, palanche, franchi, terrise, dindi, bajòci, renàre, pìcciuli, ecc. In manfredoniano ricordo anche: turnüse, sòlde, pèzze (dai pesos rimessi dagli emigrati in Argentina) o anche ‘u pjizze=il pezzo, per un importo pattuito in precedenza con il venditore.

In italiano rammento alcuni: quattrini, pezzi, conquibus, pecunia, grana, baiocchi.

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