M’ò ditte ‘u züte müje: tó mange e büve,

M’ò ditte ‘u züte müje: tó mange e büve, nen te curànne d’i gènde de qua veciüne

Il mio fidanzato mi ha detto: tu mangia e bevi:
non ti curare della gente di qua vicino.

Il sublime Dante è stato più sintetico:
“non ti curar di lor ma guarda e passa”

È un invito a non temere i giudizi degi altri, ma di badare a fare bene quello che è il prorio dovere.

Il proverbio è costruito su un distico endecasillabo con i due versi assonanti (büve, veciüne), ma non in rima.

Nota fonetica: quel nen te curànne… spesso si contrae, nella parlata, in ‘nde curanne…

Nota linguistica: in dialetto per indicare la gente si usa ‘i crestjéne. Questo detto ha usato‘i gènde, le persone, la gente, o per questione di metrica o perché di origine foggiana. Difatti a Foggia è usuale dire ‘i gènde e non ‘i crestjüne.

Grazie ad Alfredo Rucher per il suo suggerimento.

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Làsse a fùche ardènde, e pìgghje ‘a parturènde

Làsse a fùche ardènde, e pìgghje ‘a parturènde

Lascia il fuoco ardente e prendi la partoriente. Dopo aver domato un incendio, immediatamente mi adopero per soccorrere una partoriente.

Ossia: non si fa in tempo ad appianare una difficoltà che subito se ne presenta un’altra.

Si cita questo proverbio quando qlcu narra (esagerando, naturalmente) di essere stato costretto a impegnarsi senza soste nel risolvere situazioni di difficoltà che si erano presentate a raffica.

Ma insomma…E checcà!

Da notare la spagnolesca costruzione della frase con il dativo invece che con l’accusativo. Lascia a/prendi a… invece di lascia il…/prendi la

Altro esempio di questo uso spagnolo del verbo transitivo: Jèsse vöde a jìsse = Lei vede lui (non lei vede a lui).

Il lettore Michele Granatiero mi suggerisce: «  una variante di questo detto è quella che inverte le due azioni: lascia la partoriente e prendi il fuoco ardente. In una casa poteva capitare di assistere la partoriente e subito dopo bisognava preparare il fuoco (ardente) per poter cucinare prima che tornasse il pater familiae dopo una dura giornata di lavoro.»

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Làrje jì la frònne…

Làrje jì la frònne…

Alla fine della recita, o se si voleva concludere la serata tra amici, o se qlcu si era stancato di raccontare frecàbbele e sturielle, recitava questo detto:

Làrje jì la frònne
strètte jì la vüje
quèdde jì la porte
e jétele a fé ‘ncüle!

Larga è la foglia, stretta è la via, quella è la porta e andate (simpaticamente) a fare in culo!

Se l’uditorio aveva le orecchie delicate, il verso finale era: e jétevìnne vüje = e andatevene via (o “andatevene voi”, la pronuncia è uguale).

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La sanda venüte!

La sanda venüte!

La traduzione letterale – la santa venuta – non dice nulla di plausibile.

È la raccomandazione che la madre o il padre faceva al proprio figlio per rammentargli di rincasare presto e di non frequentare cattive compagnia.

Anche se la mamma gli comandava di andare a comprare qlco al negozio all’angolo di casa, non mancava mai di aggiungere: ‘a Sanda venüte!.

Mio padre lo diceva a me addirittura quando ero fidanzato e portavo la ragazza al cinema!

Altri tempi…Ora i figli escono il sabato notte e tornano la domenica all’ora di pranzo. Come si fa a dire: A Sanda venüte! ???

Ammessa anche la formula “‘A sànda reteréte” = Mi raccomando la sollecita rincasata.

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La pèchere pe giustìzzje e l’agnjille pe desgrazzje

La pèchere pe giustìzzje e l’agnjille pe desgrazzje

Alla lettera significa: la pecora per giustizia e l’agnello per disgrazia.

Va chiarito che si tratta di linguaggio figurato, come avviene in quasi tutti i proverbi. La pecora e l’agnello simboleggiano gli esseri umani, gli anziani e i giovani.

Il tema è la morte.
Se essa ghermisce una persona avanti negli anni, è in qualche modo giustificata (giustìzzje = è giusto), ma se raggiunge una persona giovane è sicuramente una sciagura (desgrazzje = è sventura)..

Il proverbio è chiaramente un po’ consolatorio come per dire che se muore una persona adulta, l’evento è, diciamo, assimilato, metabolizzato come una svolta naturale e attendibile: la sua vita l’ha vissuta ormai…

Se invece muore un individuo giovane in dolore è straziante e inconsolabile.

Insomma se muore un genitore, i figli si rassegnano in tempi relativamente brevi . Se invece muore un figlio i genitori non si rassegnano mai. Vero?

Nostro Signore stesso è presentato come l’Agnello sacrificale.

Scusate se sono scivolato su un argomento un po’ triste. La vita stessa è questa.

Io penso che convenga a questo punto pensare piuttosto all’agnello cotto alla brace con numerosi turcenjille

Il proverbio mi è stato riferito e spiegato dalla signora Nella Riccardo, ultra-ottantenne, che voglio ringraziare qui pubblicamente.

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La muffarde ‘a völe a chelöre, ‘a pulüte accüme la tröve

La muffarde ‘a völe a chelöre, ‘a pulüte accüme la tröve

La donna sciattona, per riparare un indumento strappato, vuole una toppa dello stesso colore, e quella ordinata si adatta con quella che trova.

Muffarde è sinonimo di refalde, pastròzzele, sciaddöje, ‘ndèsce.

La prima, siccome non trova la toppa come vuole lei, NON esegue la riparazione necessaria. L’altra aggiusta l’indumento comunque.

Ovviamente si tratta di linguaggio figurato. Al giorno d’oggi nessuna persona penserebbe di indossare un indumento lacerato e rattoppato.

Insomma il Detto stigmatizza, coloro che trovano qls pretesto per NON fare nulla di utile e per contro esalta chi, nonostante tutto, si dà da fare per cercare una soluzione o completare un lavoro.

Ringrazio una persona giovane, Tonia Trimigno per avermi fornito lo spunto e una persona anziana per la corretta interpretazione del Detto.

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La mòrte de lu pólepe jì la cepòlle…

La mòrte de lu pólepe jì la cepòlle,

e la salüte de l’öme jì lu verzjìre

La morte del polpo è la cipolla e la salute dell’uomo e la verdura.

I vegetali sono letali per i polpi ma salutari all’uomo.

Qualcuno più cinico e venale invece di “verzjire” = verdura, usava “burzille” = borsellino, ma il denaro, anche se aiuta a vivere meglio, di per sé non dà la salute.

Un distico, a endecasillabi ben ritmati, che fa pensare ad un accompagnamento musicale passato nel dimenticatoio.

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La megghjöre jì mjizze péne

La megghjöre jì mjizze péne

La moglie è mezzo pane.

Ovviamente non significa che la consorte vale mezzo panino!

I maligni dicono che la moglie casalinga, non portando altro reddito all’interno del nucleo familiare, consuma passivamente mezzo stipendio del marito.

Nulla di più falso!

Si deve evidenziare invece che la brava moglie, con il suo abile lavoro domestico, con le sue economie, ecc. fa durare il doppio il salario del marito.

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La mangiatöre jì vàsce!

La mangiatöre jì vàsce!

La mangiatöre jì vàsce! = La mangiatoia è bassa!
La seconda parte del Proverbio è sottintesa, ma talvolta viene aggiunta esplicitamente: e ‘u ciócce möne càvece = e il ciuco sferra calci!

Questo detto evidenzia la facilità con cui questi porcelli di figli di oggi hanno di che cibarsi (e di che vestirsi), e magari hanno anche da protestare.

Ai tempi di mia madre non si poteva dire mai: “questo non mi va, questo non mi piace…”

La risposta era ovvia: se non ti va, vuol dire che non hai fame. Punto. Mangerai domani, se ne resta.

Insomma adesso la “mangiatoia” si raggiungere senza fatica, non costa sacrifici, e perciò quello che viene offerto non è convenientemente apprezzato.

Eh, sì, ‘a mangiatöre jì vàsce! ‘A grascia putténe!  (← clicca)

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