Mese: Maggio 2018

Nése

Nése s.m. = Naso

Organo dell’olfatto che si trova sul viso ed anche sul muso di qualche animale, con due narici alla sua base. Protegge l’organo dell’olfatto ed è l’elemento esterno delle vie respiratorie

Pigghjé söpa nése = Prendere sopra naso. Avere qlcn in antipatia, puntarlo, tenerlo sulla corda.

Nen tenì nése = Non aver naso. Non avvertire imbarazzo. Non vergognarsi di nulla, non accorgersi di sbagliare atteggiamento.

Attandàrece ‘u nése = Decidersi di comportarsi in maniera consona. Per esempio ricambiare una cortesia, ricompensare con un regalo qualcuno che ci ha favorito, presentarsi con un dono a casa di chi ci ha invitato,

Jì ‘mbacce ‘u nése = Svicolare da una situazione poco chiara, ordita da qualcuno, o fare una furbata a suo danno, o imbastire una contromossa,  scansare un probabile raggiro, ecc.

Sté vocche e nése = Stare vicino, sia in senso reale (vicini di casa, di banco, di ombrellone…) sia in senso figurato (vicini come idee, intenti, carattere, gusti…)
Il riferimento è ovvio riguarda la poca distanza che separa la bocca dal naso (spesso occupata da baffi maschili o anche  ALT!)

Fé ‘mbacce ‘u nése = Eufemismo usato al posto di un improperio per invitare qualcuno tedioso o insistente ad allontanarsi immediatamente.  Si dice: Va lu fé ‘mbàcce ‘u nése!.
Personalmente, io preferisco un sonoro vàffa

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Nescjüne

Nescjüne pron. = Nessuno

Nemmeno uno, tutti assenti.

Ammìzze ‘a chjàzze nen ce stöve nesciüne. = Per Corso Manfredi non c’era nessuno (evidentemente diluviava!).

Sò arrevéte ‘i cumbàgne tüve? – Manghe jüne = Sono giunti gli amici tuoi? – Memmeno uno.

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Nènne

Nènne s.f. = Pupilla

Apertura circolare posta al centro dell’iride, attraverso la quale passano i raggi luminosi che colpiscono la retina.
(mmagine reperita in rete).

Pleonasticamente in dialetto qlcu dice ‘a nènne de l’ùcchje = la pupilla dell’occhio.

Ignorantemente qlcu con questo sostantivo intende anche l’iride, al centro del quale c’è la pupilla.

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Nen-tenì-vöce-ncapìtele/

Nen tenì vöce ‘ncapìtele loc.id. = Futile, ininfluente, di poco conto.

Il Capitolo della locuzione è il Consesso Capitolare dei Canonaci della Cattedrale; solo ad alcuni di essi era riservato il diritto di voto e di intervento in una discussione.

Quindi ‘aver voce in capitolo’ significa essere autorevole, concorrere alle più importanti decisioni

La locuzione sta a significare che colui a cui è rivolta l’espressione non ha nè l’autorità, nè la capacità di esprimere pareri o farli valere, non contando nulla.

Insomma è uno che deve tacere, che non può esprimere pareri,

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Nen tenì nesciüne amöre

Nen tenì nesciüne amöre loc.id. = Essere insipido, non aver alcun aroma o profumo deciso, riferito a ortaggi, pesci, minestre, ecc.

Quelli più esigenti, calcando la mano, evidenziano che la pietanza nen töne nesciüne amöre, nè sapöre. = Non ha alcun aroma, né sapore.

In questo caso amöre (omofono con amöre = amore, nel senso di sentimento) con il significato di gusto, deriva dall’aggettivo amurèvle = gustoso

Stu cazze de cetrüle nen töne nescjüne amöre = Quest’accidenti di cetriolo non ha alcun sapore.

‘Stu melöne assemègghje a ‘na checòzze: nescjüne amöre = Quest’anguria somiglia ad una zucca: non ha alcun sapore.

Presumo che sia stata fatta un po’ di confusione con i termini italiani. “Odore+aroma = amöre

Con lo stesso significato si può dire sciapüte= scipito, insapore, o nen dé nè de mè e nè de tè =Non sa né di me e né di te.

Come se i due interlocutori fossero essi stessi, all’assaggio, fatti di sapore diverso, uno dolce e l’altro salato.

Il contrario, ossia ricco di sapore, è amurèvele, o più semplicemente, saprüte = saporito, squisito.

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Nen fé a tjimbe a dïce:”Crìste ajóteme!”

 Nen fé a tjimbe a dïce:”Crìste ajóteme!” Loc.avv. = Rapidamente

Prontamente, in un baleno, in men che non si dica, velocemente,  lestamente, celermente, speditamente, in fretta

Alla lettera significa: Non far in tempo a dire: “Cristo aiutami!”

Questa locuzione viene pronunciata quando si constata o si racconta che, ad esempio, un piatto squisito è stato divorato rapidamente, o qualcosa di inatteso è accaduto in un baleno.

– Te so’ piaciüte ‘i scavetatjille ca t’agghje mannéte?
– Sì, n’anne fatte a tjimbe a düce:”Crìste ajóteme!”

= Ti sono piaciuti i biscotti che ti ho mandato? Sì, sono andati a ruba, sono finiti in breve tempo.

Stöve camenànne tanta bèlle p’a chiazze e tutte ‘na vòlte me so’ truéte ‘ndèrre sènza fé a tjimbe a düce:”Crìste ajóteme” = Stavo passeggiando così tranquillo per il Corso quando mi in un baleno mi sono ritrovato disteso per terra (probabilmente…a causa di una delle innumerevoli sconnessioni esistenti tra le basole laviche della pavimentazione).

Alla sìccia chjöne manghe “Crìste ajóteme” l’agghje fatte düce! = Alla seppia ripiena non le ho dato tempo di dire “a”.
Non che le seppie ripiene abbiano la facoltà di pronunciare alcuna vocale, se non figuratamente: la rapidità con cui è stata divorata non le avrebbe dato tempo nemmeno di rendersi conto che dal piatto era finita nello stomaco

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Nègghje

Nègghje s.f. = Nébbia

Fenomeno atmosferico consistente in un ammasso di microscopiche gocce d’acqua, che si forma, in prossimità del suolo o sopra superfici d’acqua, quando il vapore acqueo si condensa intorno alle particelle del pulviscolo atmosferico, offuscando la limpidezza dell’aria e riducendo perciò la visibilità (Sabatini-Coletti, Vocabolario della lingua italiana).

Tutti conosciamo questo fenomeno, che fortunatamente da noi si verifica raramente. Direi più sotto forma di foschia, ossia con visibilità oltre 50 metri, che non impedisce agli autoveicoli di circolare senza inconvenienti.

Il termine uguale esiste anche in Sicilia.

Il mio impatto con la “vera” nebbia, avvenne a Torino. Scesi dal tram alla fermata prevista, e appena misi piede a terra mi chiesi: E mò? Dove vado?
Non distinguevo nemmeno le mie scarpe!… Una sensazione di completo smarrimento che mi diede panico. Per fortuna di “accodai” ai bravi Piemontesi, che si muovevano agevolmente nella caligine, fino ad un bar, dove rimasi in paziente attesa degli amici che dovevo incontrare.

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Necchjé

Necchjé v.t. = Adocchiare

Vedere, osservare, scorgere, individuare (ad es.tra la folla) fissare qlcu o qlco, guardare con interesse o desiderio.

Quando le sartine si ponevano sedute sull’uscio della sartoria, era inevitabile che attirassero i giovinotti.. Noi ronzavamo nei paraggi per scorgere nel gruppetto le figliole più carine. A loro volta, le donzelle, senza sollevare lo sguardo dal lavoro cui erano intente (sàcce accüme facèvene!) individuavano infallibilmente quelli che necchjàvene e ridevano a testa china, apparentemente senza motivo.

Poi ho appreso che ad ognuno di noi veniva all’istante affibbiato un nomignolo, che causava la risatina più o meno sommessa del gruppetto: (senza cüle, jàmme a velózze, ricciolòtte, maškere di gòmme, occhio-magico, ciuffètte, vasciòtte, stralùnghe, ecc. ecc.).

Presumo che necchjé derivi dall’italiano “adocchiare”, per la funzione dell’occhio adoperato in questo verbo.

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Ne jàvezé manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre.

Ne jàvezé manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre loc.id. = Essere sfaticatro, pelandrone, svogliato, indolente, fannullone, ecc.

Alla lettera: Non raccogliere nemmeno uno stecco da terra.

Quindi, usato in terza persona: Códde ne jàveze manghe ‘nu zippere da ‘ndèrre! = Costui non si sforza minimamente di collaborare.

Esiste una variante: invece dello stecco, il nostro amico non ha voglia di alzare da terra nemmeno ‘nu füle de pàgghje = un filo di paglia, una pagliuzza.

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