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Maleppöne

Maleppöne avv. = A malapena

A stento, a fatica, faticosamente, stentatamente, appena appena, non di più, solamente, un poco.

Tóje ha fatte cadì ‘a buttìgghje? Maleppöne l’agghje tucchéte! = Tu hai fatto cadere la bottiglia? L’ho a malapena toccata.

Ha mangéte stasöre? Maleppöne ‘nu becchjire de latte 
= Hai mangiato stasera? Appena un bicchiere di latte.

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Mallàrde

Mallarde s.m. = Germano reale

È un volatile (Anas platyrhynchos) della famiglia delle Anatidae con becco largo e piatto e piedi palmati atti al nuoto. Emigra disponendosi in formidabili formazioni a V.

Il Mallarde era una preda molto ambita fra i cacciatori che si appostavano nei terreni umidi e paludosi del Tavoliere per attenderne il passaggio migratorio.

In italiano l’esemplare maschio è chiamato Germano reale, e la femmina Anitra reale: presumo perché è cacciagione pregiata.

Il nome dialettale deriva direttamente dal francese mallard, nei cui territorio è conosciuto come “mâle chez les canards” = maschio presso le anatre, ossia l’esemplare maschio dei canard.
Nella foto di sinistra è ripreso l’esemplare maschio e in quella di destra la femmina, meno appariscente perché, a guardia del nido, mimetizzandosi con l’ambiente, non attira i predatori.
Germano reale

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Malòmbre

Malòmbre s.m. e s.f. = Seccatore, malvagio, fantasma

1) Malòmbre s.m. Persona petulante, insistente, che usa toni e modi importuni e fastidiosi.

E ‘stu malòmbre sèmbe quà attórne stéje = E questo petulante sempre qua attorno si aggira? Insomma un brutto soggetto che è meglio non incontrare.

Presumo che il termine derivi dallo spagnolo malo = brutto, o cattivo, o malato, e hombre = uomo.

Molti termini spagnuoli sono rimaste nel nostro dialetto dopo secoli di dominazione nel Regno delle due Sicilie.

2) Malombre s.f. = Spettro, fantasma. È detto al femminile: ‘a malòmbre.

Sott’u castjille ce vöte ‘a malòmbre! = Sotto il castello appare il fantasma.

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Malùcchje

Malùcchje s.m. = Malocchio

Nelle credenze popolari, influsso malefico di cui sono ritenute responsabili certe persone, e contro di esso bisogna munirsi di amuleti e ammennicoli vari.

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Mamàngele

Mamàngele s.f. = Lucertola

Lucertola Comune (Podarcis siculus) piccolo rettile terrestre dalla testa appiattita, lunga coda, zampe corte e lingua bifida; ama i luoghi aridi e soleggiati e si nutre di insetti e di vermi.

Quelle che non hanno raggiunto l’età adulta, e quindi di dimensioni ridotte, sono chiamate mangiulècchje, o con linguaggio fanciullesco mamangiulècchje.

Sono innocue per le persone.

Si vociferava che i frequenti incendi dei campi di grano non ancora raccolto erano cusati per vendetta da non ben identificati “terrazzani”, i quali si servivano di lucertole sulla cui coda legavano uno zolfanello. Una volta liberate esse si andavano a rifugiare nei campi. Il sole faceva il resto.
La vendetta era rivolta contro quei padroni che non permettevano loro di spigolare, perché temevano che i terrazzani spigolavano nel campo non ancora mietuto.    Io credo che non sia vero.

Sono portato a pensare che l’ammontare del risarcimento ottenuto dalle compagnie di assicurazioni compensasse l’annata che prometteva scarso raccolto.
Quindi l’incendio era doloso, una vera e propria truffa dei coltivatori a danno dell’Assicurazione.
Non c’entravano nulla né i terrazzani, nè tantomeno le povere lucertole.

Il caro Prof. Michele Ciliberti – che ringrazio di cuore – mi ha fornito una bella spiegazione sull’etimo di “mamàngele“:

«La maggior parte degli studiosi ha individuato l’origine e l’etimologia della parola dialettale “mamàngele” (lucertola) nelle sue stesse parti costitutive e cioè: “mamma” e “angelo”. Io, francamente, non sono di questo avviso, poiché non vedo alcuna attinenza tra il legame delle due componenti e il significato denotato dal termine stesso “mamàngele”, pur riconoscendo che ogni mamma è angelo nella propria casa, ma questa è un’altra storia.

Sicuramente la prima parte della parola non è “mamma” ma “maimon” che nelle lingue arabe e semitiche ha significato di “essere diabolico” ossia “diavolo”, quindi il significato di “mamàngele” sarebbe “diavolo-angelo”. In che senso, però? Nell’eterna lotta tra il bene e il male, il primo è rappresentato da un angelo (Michele), il secondo dal diavolo o da un drago o da un “sauro” generico. “Sàuros” in greco significa “lucertola” (dinosauro da “déinos sàuros” significa “lucertola terribile”).
Data la dimensione e l’innocuità, questo grazioso e onnipresente animaletto non potrebbe mai rappresentare il male, per cui al significato della prima parte del nome (“essere diabolico”, poiché nelle sue piccole dimensioni somiglia a un drago) si è voluto aggiungere quello di bene, cioè di “angelo”, in modo da mitigare o equilibrare il significato negativo.

Noi, da bambini, andavamo a caccia di “mamàngele” con lo stelo dell’avena selvatica, alla cui estremità veniva fatto un cappio e bisognava cercare di far passare dentro l’animaletto e subito tirare in modo che rimanesse prigioniero. Qualcuno si divertiva pure a mettere in bocca alla “mamàngele”, così catturata, del tabacco. L’animaletto ubriaco faceva strani movimenti o balli, facendo divertire gli ignari seviziatori.»
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Mambredònje

Mambredònje n.p. = Manfredonia

Per effetto di un fenomeno che ho spiegato in home page, su Ortografia e Fonologia in dialetto il gruppo di consonanti nf diventa mb
(Cumbìtte, mbàcce, mbrònde, ecc.).

La parola più adatta per fare un esempio è proprio il nome della nostra amata Manfredonia.

Quando dai ragazzi che hanno frequentato la scuola dell’obbligo, sentite pronunciare Manfredònje, diffidate, perché essi parlano un d.g.m. = dialetto geneticamente modificato, incompatibile con la tradizione!!!

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Mambredunjéne

Mambredunjéne agg. e sost.inv. = Manfredoniano

L’aggettivo manfredoniano si traduce mambredunjéne. C’è quella “u” che trovo inspiegabile in un più lineare mambredonjéne… La tradizione va rispettata e si deve dire mambredunjéne, invariabile per genere e numero.
Me piéce ‘u dialètte mambredunjéne = Mi piace il dialetto manfredoniano.
Quìste so’ chésecavalle mambredunjéne = Questi sono caciocavalli manfredoniani.

Come sostantivo si deve usare la lettera maiuscola: Mambredunjéne = persona nativa, originaria o residente a Manfredonia.

I Mambredunjéne so’ amande de balle = I/le Manfredoniani/e sono amanti del ballo, amano danzare, fare feste. Carnevale docet!
Ce süme truéte a Meléne tutt’i Mambredunjéne pe vedì ‘a partüte = Ci siamo incontrati a Milano tutti i Manfredoniani per assistere ad un incontro di calcio. Allora Watson, eravamo allo Stadio Meazza/San Siro.

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Màmete

Màmete s.f. = Tua madre

Come in tutto il sud Italia il possessivo dei nomi riguardanti i familiari si lega al sostantivo (màmete, sòrete, fràtete, nònneme, nònnete, cainàteme, ecc.)

I Napoletani dicono màmmeme (=mia madre); da noi basta màmme = MIA madre.
I Calabresi màmmese = sua madre. È troppo.

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Mammamöje

Mammamöje! escl. = Mamma mia!

Molto italiana questa esclamazione di meraviglia, di sorpresa, di constatazione, di timore, di gioia, ecc.

Insomma va bene in ogni circostanza, quando accade qlco di inusuale e non ci vengono in mente altre parole, perché in quesll’istante siamo presi da emotività. Mammamöje!

Il suono è bello e familiare, tanto che “mamma mia!” ha attecchito anche all’estero. Mammamöje!

Mammamöje quanta crestjéne!= Mamma mia quanta gente!

Quando frequentavamo il Catechismo, dicevamo Madò! = Madonna! Ma gli insegnanti per evitare di scivolare in bestemmie, ci esortavano a invocare la mamma, contro la quale non è pensabile che nessuno voglia mai scagliarsi.

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Mammazze

Mammazze s.m. = Giunco spinoso o Giunco marittimo

È una pianta della fam. delle Juncaceae (Juncus spinosus o Juncus acutus. e Juncus effusus) e cresce a cespugli in zone sabbiose ed umide ed in ambienti salmastri. Il fusto è ramificato e alto fino a trenta cm., rigido, acuto e pungente all’apice.

Il nome deriva dal verbo latino juncus, ossia congiungere, unire, legare, e rispecchia l’uso che si faceva di questa pianta.

Infatti il giunco, prima dell’avvento delle materie sintetiche che ne hanno soppiantato l’utilità, era usato:

-nella pastorizia, per la fabbricazione di fuscelli e canestri atti contenere ricotta e formaggio;
-in marineria, era apprezzato nel confezionamento delle nasse e per la cattura dei favolli;
-in agricoltura, per legare la vite, per costruire crivelli, e tutto quanto c’era da legare nelle attività campestri.

Dopo tutta la pappardella quasi scientifica, mi piace ora ricordare quello che diceva mia madre, quando mi “esortava” a usare il pettine:

Aggióstete quìddi capìlle! Assemègghjene a tanta mammazze! = Pettinati quei capelli (ritti e senza verso)! Sembrano tanti giunchi spinosi!

Nota linguistica:
Mammàzze è detto generalmente al plurale, per indicare il cespuglio ancora sul terreno;
Sciònghe (←clicca), detto spesso plurale sciónghe, con la ó stretta, per indicare gli steli, già tagliati e pronti per la lavorazione.

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