Categoria: V

Vendàgghje

Vendàgghje s.m. = Ventaglio

Occorre fare una distinzione: Il termine, leggiadro, vendaglje indica quello pieghevole, da borsetta, usato dalle signore per farsi aria durante la stagione calda.

Invece vendàgghje, nome rustico, era quello che serviva per ravvivare il fuoco di carbonella. Non si usa più. Per i rari barbecue domestici qualcuno adopera l’asciugacapelli!

Il nostro vendàgghje consisteva in un telaietto di legno, fornito di manico, sul quale erano infisse le piume nere e lunghe della coda del tacchino.

L’arnese, leggero ed efficace, fu sostituito da un ventaglio triangolare, di legno compensato o di latta, incastrato in un manico: forse durava di più, ma non era la stessa cosa!

Sia l’oggetto, sia il termine sono ormai in disuso nelle nostre case.

Anticamente era chiamato sciusciatüre, dal verbo sciuscé = soffiare
(foto attinta dal web)

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Vendàglje

Vendàglje s.m. = Ventaglio

Oggetto usato per farsi aria, costituito da una serie di sottili stecche di materiale vario che, imperniate nella parte inferiore, possono aprirsi e chiudersi a raggiera e da una membrana di carta, seta o altro ad esse applicata.

Quello fisso per ravvivare il fuoco è chiamato vendagghje

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Vendelatòrje

Vendelatòrje s.m. = Ventaccio, vento impetuoso.

Accettabile la pronuncia  vindelatòrje, in assonanza con vinde (curiosamente somigliante all’inglese  wind)

Vento intenso. Tempo molto ventilato persistente e duraturo.

Quando l’attività di pesca avveniva con barche a propulsione remo-velica, con queste condizioni i marinai non si avventuravano in mare perché con il vento impetuoso essa diventava molto rischiosa.

Addu jì ca ve ne jéte pe ‘stu sorte de vendelatòrje? = Dov’è che ve ne andate con questo spaventoso ventaccio?

‘U vendelatòrje stanotte ho menéte ‘ndèrre tutte l’àrve abbàsce a mére = Il ventaccio di stanotte ha abbattuto tutti gli alberi del lungomare.

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Vènghe

Vènghe s.f. = Campana

Questa campana non è quella che suona per invitare i fedeli alla Funzione religiosa…

È il gioco infantile che consiste nell’avanzare, saltellando su un piede solo uno schema disegnato per terra.

Nelle altre parti d’Italia è una specie di scacchiera. Quella giocata a Manfredonia era formata da cinque linee rette parallele, e da una linea ad arco tracciata come una lunetta. Negli spazi fra le due linee si scrivevano le cifre da 1 a 5, e nel semicerchio terminale il numero 6.

Per tracciare la vènghe sul marciapiede si usava un pezzetto di carbone della fornacella di mamma, ma andava bene anche un mozzicone di gessetto sottratto alla scuola.

Si lanciava un tacco di gomma – detto ‘u salva-tàcche o ‘u söpa-tacche – staccato da qualche vecchia scarpa destinata alla spazzatura, ma sarebbe andato bene anche un sasso piatto, nella “casa”, cominciando dalla casella più vicina al lanciatore (prima la n.1 poi la 2 la 3 ecc.).

Dopo aver raggiunto la meta n. 6, si faceva il percorso a ritroso (5, 4, 3, ecc.). Se l’oggetto lanciato si arrestava sulla linea divisoria, il gioco passava di mano all’altro contendente.

Chi percorreva tutto il tragitto senza commettere errori aveva diritto a “comprare la casa”, scegliendo la casella con il lancio del salva-tacco dietro le sue spalle.

La casa acquistata non poteva essere più toccata dall’antagonista, costretto letteralmente a scavalcarla , ma solo dal proprietario. Il problema sorgeva quando le case acquistate erano contigue.

Si giocava promiscuamente, maschietti e femminucce perché era un gioco tranquillo, durevole ed avvincente.

Juché alla vènghe = Giocare alla campana

Il gioco della campana è documentato fin dai tempi dell’antica Roma allorché era chiamato gioco del “claudus”, cioè dello zoppo. Uno schema di campana è tuttora presente sul lastricato del foro romano a Roma.

La vènghe indicava anche il tracciato circolare che delimitava l’area di gioco della trottola di legno, detta (clicca→) ‘u córle.

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Venì ‘a bòtte (fàrece venì la)

Venì ‘a bòtte loc.id. = Spazientirsi. Perdere le staffe.

Impulso irrazionale e aggressivo di reagire a qlc provocazione. Equivale a salire il sangue alla testa.

M’jì venute la botte e l’agghje menéte ‘nu recchjéle = Ho perso le staffe e gli ho assestato uno ceffone.

Equivalente anche la locuzione Fàrece venì ‘u quarte = reagire d’impulso, perdere il controllo, non mantenere la padronanza di sé, il dominio dei propri sentimenti.

Abbéde a te, ca se me vöne ‘u quarte nen sacce manghe jü add’jì ca jéme a fenèsce = Attento, ché se mi spazientisco non so come finirà la faccenda (alla lettera: Bada a te, perché se mi sale il sangue alla testa non so nemmeno io dov’è che andiamo a finire).

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Veramènde

Veramènde avv. Davvero.

Veramènde, o alla bórje? = Davvero o per burla?

Domanda rivolta a qlcn per accertarsi se dice o agisce sul serio o per scherzo, per burla.

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Verdèsche

Verdèsche s.f. = Ghiozzo testagialla

Si tratta di un pesce di mare dalle dimensioni fino ad un max di 12 cm, della categoria pìsce de prote = pesci di “pietra” (di scoglio), della stessa famiglia dei “Gobiidei”, ossia dei “cuggioni”e dei “maccaroni“.
Questi pesci vivovno su fondali fino a 15 m. o fra le praterie della Posidonia oceanica.

Il nome dialettale si riferisce al loro colore vivace, giallastro tendente al verde.
Linneo, il grande botanico naturalista, gli attribuì il nome scientifico Gobius xanthocephalus che significa proprio “ghiozzo dalla gialla testa”.

Fra i pesci “di pietra” – ossia di scoglio – va annoverata anche la “landrosa” e la vavosa o bavosa.

Viene catturata con la lenza dai pescatori dilettanti. Difficile trovarla sulle bancarelle dei mercati. Carni squisite in umido.

Per curiosità in lingua italiana per verdesca si intende uno squaletto venduto a tranci e spacciato per pesce-spada, di cui è meno pregiato.

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Verdöne

Verdöne s.m. = Verdone (ornit.)

Il Verdone (Carduelis Chloris Chloris) è un fringillide che appartiene al genere dei carduelidi .

Nell’ornicoltura europea è senza dubbio il fringillide più allevato, data la sua facilità di riproduzione e la vasta gamma di mutazioni apparse ad oggi su questo simpatico pennuto.

Allo stato selvatico è diffuso in Europa e nel bacino del Mediterraneo.

Questo uccello si presenta con un corpo tozzo e possente che da l’impressione di un fringillide molto forte e robusto, la testa è tondeggiante nel vertice e piatta nella fronte, il collo molto corto e massiccio dà l’impressione che la testa sia attaccata direttamente al tronco. Il becco forte e robusto è di forma conica.

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Vèrme a pallotte

Vérme a pallotte s.m. = Onisco, Porcellino ti terra.

L’Onisco (Armadillidium vulgare) è un crostaceo terrestre dell’ordine degli Isopoda.

 È conosciuto con numerosi nomi comuni: porcellino di terra, mallellone selvatico, porcellino di Sant’Antonio, onisco.  Può raggiungere una lunghezza massima di 18 mm e durante l’inverno entra in uno stato di dormienza che rende possibile all’isopode di sopportare temperature che altrimenti gli sarebbero letali

Si prolifera a ondate in luoghi umidi, in genere all’aperto. Per questo esce di notte alla ricerca di cibo (vegetali o animali morti).

Quando è in posizione di riposo, si appallottola, formando una vera e propria sfera di colore grigio scuro, così da proteggersi da eventuali aggressori.

Erroneamente è ritenuto come animale parassita. Invece è del tutto innocuo. Anzi la sua presenza rende il terreno più aerato e sgombri da altri insetti dannosi

Ringrazio il dr.Enzo Renato per il suo suggerimento.

 

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Vernùcchje

Vernùcchje s.m. = Bernoccolo

Piccola protuberanza sulla testa o sulla fronte dovuta a conformazione naturale o provocata da un trauma.

Succede spesso ai bambini che cadono e battono lo fronte sul pavimento.

Le nostre nonne avvolgevano una moneta nel fazzoletto e la ponevano in corrispondenza della protuberanza; dopodiché annodavano i due lembi e stringevano la fascia dietro la testa in modo che la moneta in essa contenuta esercitasse una pressione sul bitorzolo.

Non so quanto fosse efficace. Io credo che un po’ di ghiaccio avrebbe risolto il problema. Ma a quell’epoca non esistevano i frigoriferi domestici, e si arrangiavano alla meglio.

Suor Vincenza, quando all’asilo Stella Maris, io caddi rovinosamente dietro la spinta di un certo Franco, mi bagnò la fronte, prima della legatura della moneta, con un po’ di aceto.

Avevo tre o quattro anni, ma me lo ricordo perfettamente. E mi ricordo anche che, per calmarmi dallo spavento e dall’attacco di pianto, mi diede anche due spicchi di arancia rossa.

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