Categoria: V

Vrùcchele

Vrùcchele s.m. = Broccolo

Broccolo (Brassica oleracea botrytis italica) è una varietà di cavolo con infiorescenza verde meno compatta di quella del cavolfiore.

La parte commestibile è costituita da una grossa infiorescenza centrale (composta da un fascio di ramoscelli con boccioli fiorali) e da germogli secondari di dimensioni più ridotte.

In dialetto non è mai usato al singolare: si dice i vrùcchele. Ora le signore moderne dicono ‘i broccolètte….bah.

In Tedesco si scrive ‘broccoli’, una delle poche parole di provenienza italiana adottate da quella lingua.
Le altre, per curiosità, sono: spaghetti, zucchini, prosciutto, espresso, cappuccino, pizza, e ….mafia.
Tutte specialità italiane!

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Vrüte

Vrüte s.m. = Vetro

Generalmente con vrüte si intende una scheggia di vetro che accidentalmente ha procurato un taglio o si è conficcato sotto pelle.

Infatti per dire il vetro usato per gli infissi, per le bacheche, per le vetrinette, per i quadretti, diciamo ‘u lastre s.m. = la lastra di vetro.

Caramèlle a vrüte
 = Zucchero caramellato. Non si usa più. Le nostre nonne per tenerci buoni ci promettevano questa delizia: facevano sciogliere nella scodellina sul fuoco un pugno di zucchero , e si lo si scolava su un marmo. Raffreddandosi lo zucchero solidificava. Allora le nonne sminuzzavano quasta lastra, ricavandone schegge semitrasparenti, scure, come di vetro, e le distribuivano alla marmaglia.

Oggi si tende ad usare un termine ibrido, italianizzante, ‘u vètre = il vetro.

P’u vüne jì megghje ‘a buttìgghje de vètre = Per (conservare) il vino è meglio (usare) la bottiglia di vetro.

Il vecchiuo vrüte tende a sparire dalla bocca dei giovani.

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Vucciarüje

Vucciarüje s.f.= Macelleria, beccheria.

Negozio, bottega o reparto di un mercato o di un supermercato adibito alla vendita di carni macellate.

Viene dal francese boucherie (leggi: buscerì)= Macelleria.

Dentro il negozio opera ovviamente ‘u vuccjire detto anche chjanghjire.

Ribadisco. Non mi piace sentire termini  simil-italiano, come l’orribile macèllèrüje.

Se parliamo italiano va bene, ma noi   “parliamomanfredoniano.it” capisci a me!

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Vuccjire 

Vuccjire s.m. = Beccaio, macellaio

Chi vende la carne delle bestie macellate in una macelleria e anche chi macella le bestie.

Ero convinto che il termine derivasse da vicce = tacchino, e invece ho scoperto che viene dal francese boucher (leggi buscé)= macellaio.

Al femminile, l’addetta al banco di vendita o la moglie del macellaio è detta ‘ a vuccjöre = Macellaia.

Ricordo che la moglie di Pasqualüne ‘u vuccjìre (Pasquale Arena), era chiamata semplicemente Chelüne ‘a vuccjöre = Michelina la macellaia.

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Vuchéle

Vuchéle s.m. = Boccale

Grosso recipiente di vetro o terracotta, provvisto di manico usato per contenere e per versare bibite varie: birra, vino, spremute di agrumi, tè e succhi di frutta, magari rinfrescate con dei frammenti di ghiacio. Capacità media di circa un litro.

Esistono dei sinonimi: brocche e caraffe
= brocca e caraffa.

Quest’ultima fino all’Unità d’Italia era una misura di capacità usata nel Regno delle due Sicilie.

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Vucjille 

Vucjille s.m. = Uccello

Classe di vertebrati costituita da migliaia di specie viventi. Sono animali bipedi, pennuti ed ovipari che si trovano in quasi tutti gli ecosistemi, anche in quello antartico.

Da noi sono chiamati così per lo più i passeracei che vediamo anche in città (ora di meno, per effetto dei pesticidi).

Al femminile (‘a vucjille o anche ‘a cicjille, a imitazione del linguaggio dei piccoli) designa il pistolino dei maschietti fino all’età adoscelenziale (scientificamente detto pene prepuberale).

Dopo, con lo sviluppo del giovinetto causato dalla pubertà, anche il suo pene cresce e prende altri nomi dialettali che non mi pare il caso, per ora, di inserire in questo vocabolario, almeno non alla lettera “V”,

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Vüje

Vüje s.f. e pron. = Via, Voi.

1) Vüje s.f. = Via, strada, direzione.

Luàteve da mizze ‘a vüje = Toglietevi dalla strada.

Pe jì’ a Sepònde va’ da quedda vüje = Per andare a Siponto prendi quella direzione.

Tutte a quèdda vüje hamma jì = Tutti in quella direzione siamo diretti (ossia tutti siamo destinati a morire: “quella via” è la strada che porta al cimitero).

2) Vüje pron. = Voi. È usato con riferimento alle persone a cui ci si rivolge.

Grammaticalmente è un pronome personale, m. e f. , 2a pers. plurale

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Vüje de San Giàcheme Jalìzzje

Vüje de San Giàcheme Jalìzzje s.f. = Galassia, Via lattea

Alla lettera si traduce come “Via di San Giacomo di Galizia”, che sarebbe il famoso “Cammino di Santiago di Compostela”, la città della Galizia (Spagna) che attrasse fin dal Medioevo pellegrini da tutta Europa.

Ma che c’entra San Giacomo con la Via Lattea?

Esistono diverse leggende popolari sulla presenza della Via Lattea nel cielo stellato. Riporto testualmente le parole del dott. Matteo Rinaldi (cui va il mio sentito ringraziamento) che si riferiscono alla leggenda diffusa fra noi Pugliesi:

«Nel nostro Tavoliere, caratterizzato soprattutto dalla sua prevalente attività agricola, quella Galassia veniva quasi sempre attribuita ad una scia di paglia che un antico carrettiere aveva perso dal suo carro (una volta veramente per il trasporto della paglia si usava il cosiddetto carrettöne che era più capiente del carro) mentre faceva ritorno verso la montagna.
Un tempo, la paglia scarseggiava nei territori montani e la si andava a recuperare nelle campagne del Tavoliere, in quelle campagne che facevano parte, con un termine onnicomprensivo, della “puglia”»

Mio padre (classe 1901) me la raccontò arricchita di un particolare: il carrettiere era “San Giàcheme Jalìzzje” in persona e la paglia era stata rubata in una masseria della Puglia piana. Gesù gli ordinò di restituire immediatamente il maltolto e per percorrere a ritroso lo stesso itinerario, dato che ormai era notte, la scia di paglia perduta in precedenza divenne luminosa per consentirgli di compiere l’azione riparatrice in tutta sicurezza.

Ovviamente mio padre non aveva idea, nemmeno lontanamente, dell’esistenza della Galizia sulle rive spagnole dell’Atlantico. riteneva Jalizzje o Vijalìzzje fosse il cognome o il soprannome dell’Apostolo San Giacomo.

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Vuleté a tarandèlle

Vuleté a tarandèlle loc.id. = Sdrammatizzare

Ridimensionare una situazione, trovare genialmente una via d’uscita da un discorso troppo impegnativo o decisamente compromettente.

Vebbù, Giuà, vuletàmele a tarandèlle = Va bene, Giovanni, cambiamo disco.

In italiano si direbbe che la cosa “va a finire a tarallucci e vino”, come tutte le cose italiane cosidette serie…

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Vuletéta d’ùcchje (‘na)

Vuletéta d’ùcchje (‘na) loc.id. = Attimo

Letteralmente: (una) girata di occhi, un rapido distogliere dello sguardo, un momento di disattenzione.

Corrisponde alla locuzione in lingua italiana: un’attimo di disattenzione, di distrazione.

Eh cazze! ‘Na vuletéta d’ùcchje e m’hanne frechéte u borsellüne! = 0h diamine! Un’attimo di distrazione e mi hanno sottratto il borsellino!

Evidentemente era di martedì, nella ressa dell’affollatissimo mercato settimanale.

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