Pertüse

Pertüse s.m. e sopr. = Pertugio

Foro, pertugio, buco, scavo.

Era il soprannome di un rinomato corridore ciclista degli anni ’50, campione regionale: ora mi sfugge il nome…

Cosimo commenta:
«I
l compianto Giuseppe Gabriele era detto Pertüse o anche “Peppenille”.
Usava il pertüse della sua abitazione come officina a cielo aperto e/o come arena di discussione monotematica (argomento unico: ciclismo).  Di professione spazzino, era  benvoluto da tutti.»

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Pertöse

Pertöse s.f. = Asola

Significa principalmete asola, occhiello, o altra piccola apertura dove si può infilare un bottone, un orecchino, o qualsiasi altra cosa.

Deriva da pertüse = “pertugio”

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Perrùzze

Perrùzze s.m. = Panino, pagnottina

Era una sorta di panino a sfilatino appuntito alle due estremità dal peso di circa 250 grammi.

In Abruzzo esiste il “Parrozzo” ma è un dolcetto celebrato anche da Grabriele D’Annunzio.

Perrùzze viene usato anche per indicare persone grasse e di bassa statura (vedi ranavùzze)

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Peröne

Peröne s.m. = Prugna susina

Al plurale fa Perüne

Il pruno (Prunus domestica) è una pianta della famiglia delle Rosaceae che produce i frutti noti col nome di susina o prugna.

Il frutto contiene le vitamine A-B1-B2 e C e alcuni sali minerali: il potassio, il fosforo, il calcio e il magnesio. La polpa della susina è utile al fegato per compiere il processo della secrezione biliare.

Perüne a puppacüle ( o appuppacüle) = Sorta di susine gialle dolcissime, di forma ovale, maturano ad agosto. Conosciute altrove come Prugne Napoletane o Prugne Pappagone

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Pèrde ‘a facce

Pèrde ‘a facce loc.id. = Screditarsi.

Letteralmente: perdere la faccia.

Non provare alcun senso di colpa.

Ha pèrse ‘a fàcce! = Hai perso la faccia. Ti sei sputtanato, non hai il minimo ritegno, sei troppo sfacciato, non ti vergogni?

Altra locuzione simile: Nen tjine a facce ‘mbacce = Non hai la faccia in faccia? (certo, l’ha perduta!)

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Perchjàcche

Questa pianta commestibile appartiene alla famiglia delle Portulaceæ (Portulaca oleracea) si dava ai porci mescolata ad altri alimenti nel pastone di svezzamento, nel Medioevo era chiamata erba porcaccia o porcacchia.

Nelle regioni italiane è conosciuta con nomi diversi. Soltanto per citarne alcuni:   porcellana o erba grassa in Lombardia;    porcacchia nel Lazio e nelle Marche;   precacchia in Abruzzo;   pucchiacchella in Campania.   Da noi viene chiamata anche precchjàzze.

E’ un’erba infestante, comunissima. La si ritrova negli orti, vicino alle macerie, lungo le strade e i sentieri delle regioni calde. Fiorisce in estate fino alla fine dell’autunno.

È ritenuta popolarmente come antielmintica (che distrugge i parassiti intestinali), depurativa, diuretica. Può essere usata cruda in insalata, sola o insieme alla rucola o ai pomodori, oppure cotta per preparare frittate o nelle minestre.

I rametti più carnosi si possono tagliare a pezzetti e, messi sotto aceto, consumati al pari dei capperi.

Il termine perchjàcche anche sinonimo di pecciöne nel senso di apparato genitale femminile.

Perciò la domanda sorge spontanea:

Cum’jì ca quest’èreve ce chjéme ”a perchjàcche?” = Perché quest’erba si chiama così?

La risposta è lapalissiana:
Pecché jì saprüte! = Perché è gustosa!!!

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Pepedìnje

Pepedìnje o Pepedìgne s.m. = Peperone (Capsicum annum) 

Pianta erbacea originaria dell’America tropicale, che produce bacche di colore verde, giallo o rosso, dal sapore intenso e spesso piccante.

Significato letterale: Pepe d’India (delle “Indie Occidentali” come era chiamata l’America ai tempi di Colombo).

Gustosissimi quelli quadrati e carnosi, (dagli esperti conosciunti con il nome di “Nocera”) rossi, gialli e verdi, se arrostiti, spellati e conditi con sale, abbondante olio garganico e aglio.

Noti anche quelli ripieni di riso, o fritti, o in agrodolce, ecc.

Al singolare si pronuncia pepedègne. Ho sentito da ragazzino i venditori ambulanti che li chiamavano peparùle

Tra le numerose varietà, da noi sono apprezzati:

pepedìnje de l’ùrte = peperoni dell’orto, ossia i friggitelli (Capsicum annum acuminatum);

sciabbelòtte= “sciabolette” verdi, di forma allungata; (Capsicum annum longum)

paperacchjèlle, o papaccèlle tondeggianti, verdi o rossi, per sottaceti,

diavelìcchje lunghe,a cerasèlle, a curnecjille).

 

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Pènze

Pènze s.m. = Tuta

Indumento da lavoro o da tempo libero, costituito da casacca e pantaloni (o anche da un pezzo unico).

Confezionato con tessuto resistente. è adatto a lasciare grande libertà di movimento.

Pratico, lavabile, usato da meccanici, gommisti, operai in genere.

Quandi non esistevano le lavatrici e i detersivi moderni per lavare una tuta da lavoro di un motorista o di un fabbro c’era da lavorare sodo col sapone marsiglia e l’asse di legno (struculatüre).

La tuta da ginnastica, essendo un indumento “moderno”, è chiamata con un termine simil-italiano ‘a tüte da gennàsteche, sf.
I capi più pregiati sono in cotone, ma esistono anche quelli in fibra acrilica, perché sono più economici e più facili da lavare.

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Pennüte

Pennüte s.m. = posidonia, alga marina

Alga nastriforme dei bassi fondali detta Posidonia oceanica.
Presente in praterie sui fondali sabbiosi ed è un eccellente habitat per tutte le specie di pesci.

I nastri di Posidonia staccati dal fondo dal moto ondoso e le alghe morte in genere accumulati alla rinfusa sulla riva sono detti nel nostro dialetto ‘a peléme e conosciuti nel mondo col nome generico di banquettes (accumuli).

Abbiamo un esempio estivo di accumulo di alghe sulla battigia della spiaggia libera al Castello, ove la raccolta avviene raramente, non come nei vari Stabilimenti balneari, ove la rimozione avviene quotidianamente.

Il mare deposita in inverno sugli arenili delle sfere di varia grandezza (da 4 a 8 cm) formate da fibre morte di posidonia e zostera (erroneamente ritenute da noi monelli quali escrementi di delfini) aggregate dal moto ondoso e dette scientificamente Egagropili. La fantasia popolare le ha chiamate:
palle di mare, palle di Nettuno, polpette di mare, patate di mare, o kiwi di mare

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Pengöne

Pengöne s.m. = Pene

Nel significato proprio di membro virile è usato poco ai nostri giorni. Si preferisce il diffusissimo cazze. Tuttavia pengöne evidenzia, non solo dal punto di vista grammaticale, la taglia e la stazza all’accrescitivo, perciò presumibilmente in posizione di combattimento.

Vale tuttavia come equivalente di minchione, cazzone: epiteto per definire un sempliciotto senza malizia. ‘Stu pengöne chjüne d’acque! = Questo minchione pieno di acqua (ossia inservibile, non utilizzabile, inutile).

Esiste anche il soprannome di Pengöne.

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