Fattappòste 

Fattappòste   s.m. = Dispositivo, meccanismo

Congegno che, applicato a un apparecchio, a un impianto e sim., svolge una specifica funzione.

Anche un oggetto qualsiasi che abbia una sua funzione: un cacciavite, un braccetto reggi-mensola, un supporto per tegami, un ferma-porta, ecc.

Si usa il sostantivo ‘u fattappòste , che alla lettera significa: fatto appositamente (per quest’uso) quando non si conosce il termine corretto, o semplicemente perché in quel momento non viene alla mente.

Sotte ce völe ‘u ferrètte, e söpe ‘u fattappòste = Nella parte inferiore della porta ci vuole un fermo e nella parte superiore il “coso”….
In questo caso si tratta del saliscendi, chiamato dai falegnami (clicca→) ‘u zeremìnghe.

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Fasüle

Fasüle s.m. = Fagiolo

Il fagioli (Phaseolus vulgaris) sono i semi di una leguminosa originaria del Brasile e dell’Argentina, introdotta in Europa da Cristoforo Colombo.

Il fagiolo ben cotto è ricco di proteine e contiene composti solforati e cromo, che contribuiscono a contenere la glicemia e i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi, a prevenire l’aterosclerosi e le malattie cardiache.

Mangiate i fagioli!!! Se c’è aumento di gas intestinali, chi se ne frega, è tutta salute.

Una ricetta locale (Fasüle e ‘ndùrce) è eccellente di sapore, ma terrificante per gli effetti secondari indesiderati…

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Fasse

Fasse s.f. = Fascia

Striscia di stoffa spessa, larga almeno 20 cm e lunga più di un metro, con uno dei terminali munito di due laccetti per l’annodatura, usata una volta per fasciare i neonato

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Fassatüre

Fassatüre s.m. = Pannolino

Per fasciare il neonato, prima si poneva ‘a culore, il primo pannetto filtrante a contatto con la sua pelle, e come secondo strato ‘u fassatüre, un secondo pannolino più spesso, assorbente. Come terzo strato c’era la fascia avvolgente dalle ascelle ai piedi.

Deriva da fasciatura o fasciatoio.

Oggi fasciatoio indica il piano d’appoggio su cui si colloca il neonato per cambiargli la biancheria sporca.

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Farréte

Farréte s.f. = Farrata (Calzone ripieno di farro).

Il farro (Triticum dicoccum) è una pianta erbacea della famiglia delle graminacee.

Praticamente è il progenitore del grano. Ebbe successo fin dai tempi antichi perché cresce anche nei terreni poveri resiste alle basse temperature.

Gli antichi romani usavano per preparare una specie di piadina di farro, detta offa.

La farrata è un prodotto da forno, tipico di Manfredonia. Si tratta di una sfoglia di pasta non lievitata con un ripieno di farro cotto, ricotta, sale, pepe, maggiorana.

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Farnére

Farnére s.m. = Crivello, setaccio

Deriva dal latino farinarium = cernitore.

Grosso setaccio usato per vagliare materiali incoerenti come cereali, sabbia, minerali, utilizzato specialmente in campo agricolo, nell’edilizia e nell’industria estrattiva.

Può avere il fondo con fori regolari di un diametro rispondente all’esigenza dell’operatore,  oppure con spirali di fil di ferro trattenuti da un’intelaiatura a raggiera, come è dalla foto, in uso per le granaglie..

Quello usato  agricoltura è  piuttosto grande e viene sostenuto da un trabiccolo fatto da tre paletti legati al vertice. Gli viene dato manualmente un movimento oscillatorio o rotatorio per facilitare la caduta dei chicchi di grano in modo che nel contempo vengano trattenute tutte le impurità.

Sotto ‘u farnére veniva posta una larga stuoia, perché non si perdesse nemmeno un chicco di frumento.

Ricordo che in Largo Clemente, su Via Tribuna, ogni anno una persona anziana separava il suo grano dalle impurità usando questo grosso vaglio nel modo sopra descritto.

Quello meccanico, che fa parte della mietitrebbia è rotante, e si chiama con termine simil-italiano gràn-crevèlle = gran crivello.

Come sinonimo si usa anche setàzze o setàcce. Quest’ultimo per uso domestico soppiantato ormai dal passa-legumi per la passata di pomodori.

In Friuli e in Romagna è detto sdrazz– In Puglia lu sutazzu o lu farnaru, In Abruzzo e Basilicata sitacce, In Lombardia Crivi o cribi o siass..

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Fàrece venì ‘u cegghjöne 

Fàrece venì ‘u cegghjöne loc.id. = Immusonirsi, ammutolirsi

Diventare improvvisamente scorbutico, o taciturno, scontroso.

Alla lettera: farsi venire un immusonimento.

Tutte ‘na vòlte c’jì fatte venì ‘u cegghjöne = Improvvisamente si è immusonito.

Presumo che derivi da cìgghje, nel senso di grossa fitta improvvisa, dolore che toglie il respiro che non consente, quindi, di replicare alcunché.

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Fàrece freché da ‘u maletjimbe

Fàrece freché da ‘u maletjimbe loc.id. = Farsi sorprendere dalla tempesta.

È un circonlocuzione che significa ‘commettere una sconsideratezza’.

Immaginate la marineria locale come stava attenta alle perturbazioni atmosferiche, quando le attività di pesca avvenivano solo con natanti a propulsione remo-velica.

I pescatori, benché analfabeti, avevano tutti in casa un barometro e lo sapevano “leggere” benissimo.
Conoscevano anche tanti altri segni per subodorare l’avvicinarsi di nembi, o di cigghjéte. Ne andava della loro pellaccia.

Dalla vita di mare l’espressione, figuratamente, è passata nel linguaggio usuale. Nen te facènne freché da ‘u maletjimbe = Sii prudente, sii cauto, usa precauzioni, non ti far sorprendere dalle avversità!

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Fàrece capéce 

Fàrece capéce loc.id. = Capacitarsi

Capacitarsi, rassegnarsi, convincersi, rendersi conto.

Nen me fàzze capéce pecché Marüje nen völe ascènne = Non riesco a capacitarmi del perché Maria non voglia venire a passeggio per il Corso.

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Fàrece brótte 

Fàrece brótte loc.id. = Guastarsi, inacidirsi, diventare immangiabile

Alla lettera significa: divertare brutto, imbruttirsi.

Non è un problema estetico. Si riferisce a cibo o ad avanzo di cibo che è meglio consumare subito perché altrimenti fino al giorno successivo ce fé brótte = si guasterebbe

Insomma cambia aspetto, ri ricopre di muffa, ingiallisce, si inacidisce (ce fé acìzze = si fa acido o rancido).

Meh mangiatìlle st’ate e düje chelómbre ca fine a quann’jì cré ce fanne brótte =Suvvia, mangiateli questi altri due fichi fioroni perché (altrimenti) fino a domani diventeranno acidi.

Mà ‘sti cerése ce sò fatte brótte = Mamma, queste ciliege si sono guastate!

Un’amica tedesca di mia figlia che capisce abbastanza bene l’italiano, una volta venne a Manfredonia. Quasi al termine della cena, mia moglie la sollecitò a consumare gli ultimi due pezzetti di mozzarella di bufala, altrimenti l’indomani si sarebbe “fatta brutta”. La poverina rivolse allora uno sguardo perplesso e preoccupato verso mia figlia. Perché avrebbe dovuto imbruttirsi lei che aveva mangiato la nostra specialità con tanto gusto? Allora mia figlia che parla benissimo il tedesco la tranquillizzò, spiegandole che sarebbe stata la provolina e non la ragazza a diventare “brutta” l’indomani , dando il significato corretto alla locuzione idiomatica manfredoniana.

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