Carevöne

Carevöne s.m. = Carbone

Generalmente si intende il carbone vegetale.

Serviva per riscaldare gli ambienti in appositi bracieri (‘u vrascjire) e anche per arrostire le vivande sulla brace.

I pezzi più grossi erano richiesti per la maggiore loro durata.

Erano noti come carevüne a ciocche perché ricavati da ciocchi di legna e non dai rami delle piante.

Il carbone minerale era usato dai fabbri per i lavori di di forgia e dalla Ferrovia per le locomotive a vapore.

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Carevógne

Carevógne s.m. = Foruncolo.

Foruncolo, pustola, brufolo.

Il  foruncolo è un’infezione superficiale della pelle, molto dolorosa,  in genere causata dal batterio Staphylococcus aureus. Si presenta con un vistoso arrossamento che successivamente diventa gonfiore e poi in una sacca di pus.

Il termine carevógne deriva da “carbonchio”, infezione che colpisce i bovini (e talvolta anche l’uomo), anch’essa caratterizzata da pustole emorragiche molto dolorose.

Talora le pustole comparivano sotto le ascelle. Queste non erano singole, ma multiple, a grappolo, veramente dolorosissime e venivano chiamate al maschile i “rìzzetjille”.

Compare in diverse parti del corpo: dietro il collo, sugli arti, ai lati della bocca, ecc. Forse dovuto alla carenza di igiene o a disordini alimentari.

Per guarire dai foruncoli bisogna attendere pazientemente la loro “maturazione”, ossia che la parte dolente e tumefatta si trasformi in pus.

Bisognerebbe evitare di creare artificialmente una via d’uscita. Una volta era usuale bucare la pelle con un ago disinfettato (spungeché) e schiacciare  la bolla per svuotarla dal suo contenuto purulento (’a matèrje).

Mia nonna, per accelerare la maturazione del foruncolo, lo ungeva con il grasso delle macchine e lo copriva con la carta oleata.
Altri, meno rustici di mia nonna,  usavano un unguento, suggerito dal farmacista, a base di ittiolo.

Ai nostri giorni – ammesso che si manifesti  ancora sulla cute dei divoratori di Nutella – i medici suggeriscono di usare l’olio di Melaleuca (*)  che è un potente anti-batterico e anti-infiammatorio. Presumo che associandolo con un paio di pasticche di antibiotico si possa accelerare l’eliminazione del fastidio!

(*)notizie attinte dal web,

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Caremöle

Caremöle n.p. = Carmela

Deriva dall’ebraico Charmel e significa “giardino divino”, oppure “orto di Dio”. E’ un nome molto diffuso per via della sua matrice religiosa.

L’onomastico si festeggia il 16 luglio in onore della Beata Vergine del Carmelo, per via dell’apparizione della Madonna sul Monte Carmelo in Palestina nel 1251.

In questa data la Chiesa commemora anche le suore Carmelitane di Compiègne, martiri nel 1794, durante la Rivoluzione francese.

La variante Carmelo al maschile è diffusa solo in Sicilia. Da noi si fa ricorso a Carmine, con tutte le sue varianti:
Càrmene, Carmenjille, Carmenèlle, Carmenócce, Menjille, e in tempi più recenti Carmen e Carmenio, francamente un po’ forzati.

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Carècchje 

Carècchje s.f. = Capesanta, Canestrello, Pettine.

Mollusco bivalve (Pecten jacobeus), con valva destra convessa e sinistra piatta. Ha due ali anteriori poste marginalmente alla cerniera e numerose coste radiali sulle valve. Vive sulla costa atlantica.

I pellegrini di ritorno dal Santuario di S.Giacomo (Santiago di Compostela), in Galizia (ecco l’origine del nome pècten jacobèus = Pettine giacomeo) ne portavano alcune cucite sul copricapo e sul mantello, e una più grande, quella convessa, appesa in vita. La usavano per raccogliere cibo dagli abitanti dei villaggi attraversati nel far ritorno a casa.

Quelle rosa (Aequipecten opercularis) ha dimensioni minori e le valve entrambe convesse, come la carècchja comune (Chlamis varia o flexuosa) hanno la stessa forma, cambia solo il colore, e la parte edule più tenera.

Vivono nei fondali bassi e sabbiosi del Mediterraneo.

A Manfredonia le capesante, o meglio le carècchje sono consumate crude o ammollicate, ossia con mollica di pane, olio, aglio prezzemolo e pepe e cotte al forno.

Quando si vuol smentire qualcuno, come per dire che le sue sono affermazioni senza contenuto, come i gusci vuoti delle canestrelle, si usa la locuzione: Sì, ‘i carècchje = Sì, tu racconti balle! Parole vuote, chiàcchjere mòrte.

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Cardungille 

Cardungille s.m. = Cardogna comune, cardo campestre, cardoncello

 

 Il Cardo campestre (Scolymus grandiflorus della fam. Asteraceae) è una pianta selvatica commestibile, di cui si usa  la costa carnosa della rosetta basale e la propaggine più tenera privata da spine e filamenti. 

cardungjille sono usati per preparare minestre nel periodo pasquale, cotti in spezzatino con carne di agnello, uova, formaggio. Questa pietanza chissà perché in alcune famiglie veniva chiamata ‘U Benedìtte = Il Benedetto.

Vi suggerisco la ricetta nostrana:
https://ricettemanfredonia.altervista.org/cardoncelli-con-agnello-e-uova/

Nella Puglia piana vengono detti cardungille anche i funghi cardarelli (Pleurotus eryngii)

 

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Cardöne 

Cardöne s.m. e agg. = Cardo

Nome comune di diverse piante campestri erbacee con foglie e brattee spinose, della famiglia delle Composite.
Il cardo, del genere Cinara (Cynara cardunculus) appartenente famiglia dei carciofi, viene anche coltivato come ortaggio, con foglie carnose biancastre.

E’ detto in dialetto ‘u cardöne de péne = cardo di pane, perché piuttosto asciutto, per distinguerlo da quello spontaneo dei campi, ovviamente chiamato cardöne d’acque.

Anche i meloni si distinguono quelli ‘di pane’ e quelli ‘d’acqua’.

I cardi sono piuttosto insipidi, senza un gusto accentuato.

Quelli campestri (Silybum marianum) venivano consumati crudi, dopo paziente operazione per privare le coste dalle spine e dai filamenti, dai pastori che non avevano altro companatico.

Sono piuttosto insipidi, senza un gusto accentuato.  Per questo motivo il termine è passato ad indicare un soggetto fessacchiotto.

Vi invito anche a vedere il termine cardungjille, un cardo selvatico invece molto apprezzato.

Cardöne è usato anche come soprannome, forse derivante dal cognome Cardone

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Cardìlle

Cardìlle

Cardìlle s.m. = Cardellino (ornit.)

Il cardellino(Carduelis carduelis) è un uccello della famiglia dei Fringillidi e vive nell’Europa continentale dai monti Pirenei ai monti Urali.

Catturato viene posto in gabbiette al pari dei canarini. Canoro, ma soffre della costrizione. Lasciateli liberi!

Quando qlcu con velleità dongiovannesche, si autoproclama cardìlle, perché saltella di qua e di là da una ragazza all’altra, non gli credete!

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Caraffe

Caràffe s.f. = Caraffa, boccale, brocca.

Oltre al significato di recipiente per liquidi, come vuchéle = boccale, la caraffe era unità di misura nel Regno delle due Sicilie usata fino all’avvento dell’unità d’Italia nel 1860.

Guardate le notizie le ho trovate in rete:

Caraffa: Antica unità di misura di capacità per i liquidi, in uso nel Napoletano. Era di due tipi: caraffa di botte e caraffa di vendita al minuto.
La caraffa di botte, utilizzata nei traffici mercantili, era corrispondente a:

* 0,7270266 litri, dal 1480 al 1811;
* 0,7270270 litri, dal 1811 (legge del 19 maggio) al 1840;
* 0,7270838 litri (= 0,725539 Kg. di acqua distillata), dal gennaio 1841.

La caraffa di vendita minuto, usata nel commercio minuto valeva:

* 0,6609333 litri, dal 1480 al 1811;
* 0,6604190 litri, dal 1811 al 1840;
* 0,6609853 litri, dal gennaio 1841.

La legge del 6 aprile 1840 stabilì che 60 caraffe di botte o 66 caraffe di vendita a minuto costituivano un barile (di vino o di acquavite).

Nella nostra città, la caraffa era utilizzata come unità di misura di capacità per il vino e valeva 0,7277029 litri (= 0,7261627 chilogrammi).

Più o meno quanto l’attuale capacità delle bottiglie bordolesi e renane usate per i vini DOC.

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Capuzzèlle 

Capuzzèlle s.f. = Testina, capoccetta

Testa di agnello o agnellone divisa a metà per la sua lunghezza.

La due metà della capuzzèlle, opportunamente condite (con aglio, prezzemolo, formaggio, olio, sale e pepe),  e passate al forno su un letto di patate a tocchetti, costituiscono una pietanza “povera”, ma molto, molto profumata e gustosa.

Non ho voluto includere la foto delle testine scuoiate perché ho ritenuto che siano inquietanti, più di quelle visibili nelle macellerie, quelle ancora attaccate agli ovini, macellati e appesi per le zampe posteriori.

Etimo: dimin. di testa, capo.

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Cappucciüne

Cappucciüne s.m., sopr. = Frate francescano..

L’Ordine dei Frati Minori francescani si suddivide:

OFM Conv. = Ordine Frati Minori Conventuali
OFM Capp. = Ordine Frati Minori Cappuccini.

Soprannome: Forse il capostipite (Fam. De Vita) era intenzionato a farvi parte, ma poi ha rinunciato; tuttavia ha meritato ed acquisito un bel soprannome.

Il nome del cappuccino al bar è un’altro mistero, forse determinato dal colore del caffellatte con questo nome, dal colore simile a quello della tonaca dei frati.

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