Tag: aggettivo

Lòcche

Lòcche agg. s.m. = solcometro, contamiglia

Deriva dall’inglese è log ossia “Solcometro di Walker”.

È uno strumento meccanico atto a misurare la velocita dei natanti in navigazione, formato da un corpo a siluro, con due alette ad elica saldate lungo il suo fusto.  La sua parte anteriore reca un anello a mulinello, cui si lega un sagolino.
L’apparecchio, lanciato in mare, sotto il pelo dell’acqua, prilla, gira velocemente su se stesso per effetto delle sue ali a elica.

In base al tempo impiegato per la misurazione, e al numero dei giri effettuati si ottiene la velocità mantenuta dal natante. V=t/d (spero di non avervi confuso): Velocità = tempo diviso distanza.
Quelli più moderni consentono di leggere direttamente la velocità dai contatori interni.

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Llenéte

‘Llenéte agg. = incontenibile

Non significa “allenato”, come può sembrare.

Spec. di sentimento, che si manifesta impetuosamente e in modo incontrollabile; che non ha limiti; sbrigliato; animato, molto vivace, travolgente, instancabile, famelico.

Ma fjirmete ‘nu poche de mangé: acchessì ‘llenéte stéje? = Ma fermati un po’ di mangiare: così famelico sei?

Sèmbe allunghe sti méne! Ma sté sèmbe ‘llenéte? = Sempre allunghi queste mani! Ma sei sempre così impetuoso?

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Lenze-lenze

Lenze-lenze agg. = Lacero, strappato in più parti

Usato nella locuzione Fé lènze-lènze v.t. = Lacerare

Il detto deriva dal fatto che specialmente le lenzuola, dopo anni di usura, si sbrindellano, si riducono a brandelli, si sfilacciano. L’unica cosa da fare, poiché non si possono rattoppare, è quella di ricavarne fasce da usare come bendaggi, o quadrati da usare come strofinacci.

Per estensione, la locuzione facilmente diventa una minaccia verso qlcu: Te fazze lènze-lènze! = Ti riduco a brandelli!

Può essere una sintetica efficace constatazione dopo aver assistito a una zuffa: Ce so’ fàtte lènze-lènze! = Si sono picchiati di santa ragione e si sono ridotti proprio male per le reciproche percosse.

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Lazzaröne

Il sostantivo in un contesto serio descrive persone che compiono azioni esecrabili.
Finalmènde ànne ‘ngarceréte a códdu lazzaröne = Finalmente hanno arrestato quel farabutto.

Insomma “lazzarone”, ormai riconosciuto anche in lingua italiana, deriva dal napoletano, ed è sinonimo di mascalzone, furfante, manigoldo, lestofante, farabutto, gaglioffo (rendo l’idea?).

L’aggettivo fa riferimento alle azioni negative compiute da questo genere di persone .
Mattöje jì pròprje ‘nu lazzaröne = Matteo è proprio un farabutto.

Queste sfumature grammaticali – aggettivo/sostantivo –  forse non interessano nessuno, ma mi corre l’obbligo di chiarirle.

Nel nostro dialetto è pronunciato sempre in tono scherzoso, specialmente rivolto ai frugoletti che hanno compiuto una monelleria.
Ma quànde sì lazzaröne! = ma quanto sei furbetto!

Al plurale suona lazzarüne.
Ce sò accucchjéte ‘sti quatte lazzarüne: evògghje a fé ammujüne! (scusate l’involontaria rima)= Si sono riuniti questi quattro bricconcelli: non si stancheranno di far baccano!

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Làrje

Làrje agg. e s.m. = Largo

Làrje, inteso come aggettivo, si riferisce a qlcs di esteso nel senso della larghezza.

Quant’jì làrje ‘stu corridöje = Com’è largo questo corridoio!
Quèsta stréte jì làrje = Questa strada è larga.

Quando è inteso come sostantivo si intende il mare lontano dalla riva o uno spazio esteso.

Ce vedüme ammjizze ‘u làrje d’a chjisa grànne = Ci vedremo in mezzo al largo della Chiesa Grande (Chiesa Madre=Cattedrale). Ossia ci diamo appuntamento in Piazza Duomo, ora Piazza Papa Giovanni XXIII. Bastava anche dire soltanto ammjizze ‘u làrje per capire che, per antonomasia, si intendeva quello della Duomo.

Il concetto “al largo” può essere anche figurato:

Va chéche au làrje = Gira al largo. Sta lontano da me.

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Lardüse

Lardüse agg. e s.m. = Sozzo. Presuntuoso

1) Lardüse = sporco, untuoso, pieno di macchie di grasso.

2) Lardüse = Presuntuoso. Credo che ‘lardo’ possa essere l’origine plausibile anche di lardüse: (pres)untuoso (untuoso come il lardo), quindi non gradevole.

Definizione di lardüse: Chi (sost.), o che (agg.) dà un senso di fastidio per il suo modo di agire da sbruffone, saccente, smargiasso, gradasso.

Lui vuole stare sempre al centro dell’attenzione.
Nen danne avedènze a códdu lardüse = Non dar retta a quello sbruffone.

Si dà delle arie e ritiene che tutti gli altri abitatori della Terra siano suoi inferiori e subalterni.
Códde jì proprje ‘nu lardüse = Costui è proprio uno sbruffone.

In fondo è patetico, perché non si rende conto della sua stronzaggine (la sua prerogativa ad eleggersi “cilindro di merda”, e scusate il neologismo).

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Jurgéte

Jurgéte agg. = Sazio satollo, soddisfatto

Rare volte l’aggettivo viene anche pronunciato urgéte ma solo quando non è preceduto da vocale sonora: tutt’urgétetutta jurgete

Una volta, quando i lavori di aratura non erano meccanizzati, si adoperava il cavallo attaccato all’aratro.

Poiché il lavoro durava tutta la giornata, la povera bestia ad un certo punto si sfiaccava. Allora per ottenerne la prestazione di un certo livello, l’aratore alla solita paglia aggiungeva anche alcune “misure” di orzo.

Quindi da questo orzo = l’ùrge è derivata l’aggettivo jurgéte, come se in italiano si dicesse “orzato”, ossia arricchito di orzo.

Figuratamente, riferito a persone jurgéte, si intende dire che costoro hanno materialmente mangiato a sazietà, oppure che hanno ricevuto bustarelle secondo il diffuso malvezzo italiano, e perciò si aspetta di ottererne i favori e le raccomandazioni.

Ringrazio il lettore Enzo Renato, mio prezioso ed inesauribile suggeritore, per i suoi innumerevoli interventi su FB.

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Jògge

1) Jògge avv.= Oggi, questo stesso giorno; può comprendere anche un tempo più esteso della giornata odierna, per indicare questa nostra epoca, in questi nostri tempi.

Ai tjimbe de jògge = oggidì, oggigiorno.

2) Jògge s.m. = Il pomeriggio. Parte in cui si divide la giornata.

Véche a fatjé ‘a matüne e ‘u jògge = Vado a lavorale la mattina e il pomeriggio.

Per evitare confusioni talora si usa la locuzione döpe mangéte= dopo pranzo.

Jògge tènghe da fatejé ‘a matüne e ‘u döpe mangéte = Oggi ho da lavorare la mattina e il pomeriggio

Qualcuno, sempre per riferirsi al pomeriggio, dice döpe-mangéte o anche döpe-mangéje = dopo il mangiare, dopo pranzo.

 

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Jìndrechése

Jìndrechése agg. = casereccio, genuino

Alla lettera l’aggettivo significa “dentro casa”

Il prodotto “fatto in casa” è generalmente quello alimentare (salame, pane, orecchiette, sottaceti e sottoli, ecc.), ed è sinonimo di genuinità per la cura prestata nella scelta delle materie prime (carni, farina, ortaggi, olio, ecc.).

Vù assapré stu péne jìndrechése? = Vuoi assaggiare questo pane casereccio (fatto in casa)?

Per estensione jìndrechése può anche essere un commercio senza licenza di ortaggi e frutta di produzione propria (cicorie, fichi, scarole, fichidindia, uova, ricotta, ecc.)

Giuannüne vènne i pemedurjille jìndrechése = Giovannina vende i pomodorini di sua produzione.

Sò saprüte ‘sti scavetatjille! Che sò jìndrechése? No, sò accattéte. = Sono gustosi questi biscotti al finocchietto! Sono fatti in casa? No sono di quelli comperati in negozio.

Ecco, i prodotti accattéte = acquistati, già confezionati da altri – per i quali si usa la locuzione belle e fatte – non possono mai competere con quelli caserecci fatti in casa dalle nostre brave massaie.

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Jàsceme

Jàsceme agg. = Azzimo

Il pane è azzimo quando non è lievitato.

Usato dagli Ebrei durante il periodo pasquale. Era una specie di piadina romagnola, cotto sulla piastra, senza sale e senza lievito e senza condimento. Quella almeno contiene un po’ di sugna che le dà morbidezza e fragranza.

Da il pane era ritenuto jàsceme quando la lievitazione non avveniva perfettamente, o perché la temperatura ambiente era troppo bassa, o perché il tempo intercorso fra la lavorazione dell’impasto e l’infornatura era stato troppo breve e non aveva consentito al lievito di agire compiutamente.

Il pane in questo caso, a fine cottura risultava basso, pesante, con pochi buchi e indigesto.

Insomma si mangiava lo stesso proprio per non buttare la grazia di Dio.

Ho parlato al passato perché oggigiorno nessuno più fa il pane in casa (almeno nelle gigantesche pagnotte da 5 kg), nemmeno nei paesini del Sub-Appennino Dauno.

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