Tag: Locuzione idiomatica

Jì jattiànne

Jì jattiànne loc.id. = Bighellonare

Gironzolare, girovagare alla ricerca di prede, come fa il gatto quando mira il topo.

Addu jì’ ca jéte jattjànne? = Dov’è che andate gironzolando?

Si riferisce ai giovanotti che cercano di avvicinarsi alla ragazza puntata, camminando “casualmente” e ripetutamente nei suoi paraggi.

Non è detto che invece sia lui la preda mirata dalla donzella, che gli fa credere quello che vuole… Ma questa è storia risaputa quanto il mondo.

In Calabria usano il verbo papariare = camminare impettiti come le papere.

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Jì de nànze

Jì de nànze loc.idiom. = Procedete, avanzare, proseguire.

Usato nella locuzione andare avanti, sopravvivere nonostante tutto.

Cüme facjüme a jì di nanze? Marìteme sté alla spasse! = Come faremo a sopravvivere? Mio marito è disoccupato.

Nüje pe’ quàtte fìgghje süme jüte de nanze ‘u stèsse
 = Noi, con quattro figli, abbiato proceduto lo stesso, nonostante le difficoltà.

‘Nce pöte jì de nanze! = Non si può più vivere (per la recessione economica, per la criminalità, per il malcostume dilagante, per la burocrazia esasperata, ecc. ecc.)

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Jì de fòlle

Jì de fòlle loc.id. = Aver premura, aver fretta, andare di corsa.

Ci sono soggetti indaffarati che non hanno un attimo di tregua. Fanno tutto di corsa, in fretta, come se rincorressero chissà chi.

Fìrmete ‘nu pöche, assìttete! No, mà, ca véche de fòlle e nen pòzze sté = Fermati un poco, siediti! No, mamma, ché ho premura e non posso permanere.

Véche sèmpe folla-folle = Vado sempre di gran premura

Nen te düche “bongiòrne” ca véche de folle = Non ti dico buongiorno, perché o molta fretta…
[‘U cretüne, l’avöve già dìtte ‘stu bongiorne!]

Qualche ultra ottantenne dice ancora  jì de fòdde.
Forma molto antiquata.

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Jì caserjànne

Jì caserjànne loc.id. = Bighellonare

Esattamente significa: andare di casa in casa, facendo visite a parenti e amici, quando sarebbe più opportuno impiegare questo tempo in faccende utili e costruttive.

Latino genitivo pl. casarum (delle case)???

Stàteve ai chése vòstre, che jète facénne, jéte caserjànne? = Restate alle vostre case, che cosa andate facendo, andate bighellonando?

Anche in senso un po’ ironico, quando i ragazzi ronzavano attorno alle sartorie pullulanti di donzelle jèvene caserjanne.

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Jì allallà

Jì allallà loc id. = andare a spasso

Mi sembra un’espressione in lingua araba!
No, più semplicemente, nel linguaggio fanciullesco, questo modo di dire significa: andare a spasso, a passeggio, uscire di casa.
Ca pò àmma jì allallà = ché poi abbiamo da andare a spasso.
Provate a ripetere questa frase più volte, e immaginate che un Milanese stia lì ad ascoltare. Dirà costui che veramente noi Meridionali siamo dei Marocchini!
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Jì a vedì

Jì a vedì loc.id. = curiosare

Era un po’ un’abitudine jì a vedì, andare a curiosare, quando accadeva qualche evento.
Può significare andare a far visita.

Qlcu ha fatto una riflessione: perché che si va ad assistere ad una cerimonia nuziale, si dice jéme a vedì  la züte (e non lu züte), e quando si va per un decesso ce vé a vedì ‘u murte (anche se la deceduta è femmina)?

L’imperativo toglie la preposizione ‘a’: va vüte = vai a vedere

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Jì a cusì

Jì a cusì loc.id. = Fare apprendistato dal sarto.

Equivalente è anche la locuzione jì alla sarte, o jì au sàrte.

Imparare il mestiere di sarto presso il Maestro artigiano.

Si cominciava dall’età di 11 anni, dopo aver frequentato le scuole elementari (non esisteva l’obbligo di frequentare le scuole medie).

Per fregiarsi del titolo di “mastro” bisognava fare un lungo tirocinio. Spesso gli allievi, in età ormai adulta, aprivano una sartoria in proprio.

Ovviamente tutto questo mondo era volto anche al femminile. Le ragazze quando arrivava l’ora di metter su casa, già sapevano tutte usare l’ago e il filo per uso domestico o per confezionare gonne e altri indumenti per conto terzi.

Ormai l’artigianato è quasi cessato, le sartorie ancora in esercizio a Manfredonia sono rare.

Alcune figliole, dotate di senso estetico, si dedicavano al ricamo: jì a recamé.

C’erano delle ricamatrici molto rinomate a Manfredonia. Anche le suore dell’Orfanotrofio Stella Maris erano bravissime a insegnare alle giovinette quest’arte antica.

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Jetté-lu-velöne

Jetté-lu-velöne loc.id. = Morire

Alla lettera significa: buttare, gettare il veleno.

Tradotto alla lettera non dice proprio nulla a coloro che non sono di Manfredonia.

Significa esattamente fare una brutta morte, specie se si tratta di cattivi soggetti ritenuti pieni di veleno come le vipere.

Il significato di Jetté-lu-sànghe = Buttare il sangue è già più chiaro.

‘Stu desgrazzjéte quann’jì ca uà jetté lu velöne? (si deve pronunciare con forte appoggiatura, per dare risalto all’augurio, usando il termine antico scetté) = Questo farabutto quand’è che dovrà crepare?

“Crepare” è già un verbo benevolo per augurargli una morte piuttosto semplice….

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Jetté-lu-sanghe

Jetté-lu-sanghe loc.id. = Buttare il sangue = Morire, fare una brutta morte

Questo detto viene usato in tono spregiativo o minaccioso. Anticamente si usava pronunciare scetté e non jetté.

Quann’jì ca uà jetté lu sanghe? = Quando (questo spregevole soggetto) dovrà morire??

Ha’ da jetté lu sanghe! = Devi morire per emottisi (perdita di sangue dalla bocca causata da lesioni delle vie respiratorie profonde dovute alla TBC).

Se poi non bastasse questo simpatico auspicio, si può aggiungere da ‘nganne = dalla gola (per essere sicuri che si tratti proprio di emottisi).

E se si vuole continuare c’è il finale a pezzéte = a grumi grossi, a pezzi (in modo che l’emottisi sia bella grave, da non lasciare scampo).

Frase completa: Ha’ da jetté lu sanghe da ‘nganne a pezzéte !

Se poi l’improperio è più vibrato si usa la pronuncia antica e rustica: Ha’ da scetté lu sanghe da ‘nganne a pezzéte!
Un “amabile” augurio…di buona salute.

Jetté lu sanghe per iperbole vuol dire faticare, fare un lavoro spossante, estenuante. Come l’iperbole italiana “ammazzarsi” di lavoro = accedìrece de fatüje..

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Jèsse l’ótema röte d’a carrètte

Essere l’ultima ruota del carretto loc. id. = Essere sottostimato, sottovalutato, superfluo.

Quando qualcuno, metaforicamente, viene definito “è l’ultima ruota del carro”, significa che costui che non è stato preso in alcuna considerazione. In carro va avanti lo stesso, tanto è ritenuto del tutto insignificante il suo apporto.

Con espressione un po’ più cruda il poveretto è considerato l’óteme bettöne d’a vrachètte= l’ultimo bottone della patta.

Ossia costui non è proprio indispensabile, ormai la patta è chiusa, e l’ultimo bottone è solo superfluo.

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