Tag: sostantivo femminile

Nunnàscene

Nunnàscene s.m. = Bisnonno, bisnonna

È un termine desueto che ogni tanto compare in bocca a qualche ottuagenario!

Può essere usato indifferentemente al maschile e al femminile. Sarà l’articolo anteposto a chiarire il genere.

Alla fèste jì arrevéte püre ‘u nunnàscene = Alla festa è giunto anche il bisnonno.

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Screscetöre

Screscetöre s.f. = Escrescenza, adenite, lesione esofitica, cutanea o mucosa.

Si tratta di termini prettamente medici.

Mi avvalgo della definizione del dr. Rinaldi, cui va la mia gratitudine.
«Tumefazione linfatica dolorosa, adiacente ad un focolaio d’infezione o di semplice irritazione.»

Strascico doloroso, molto spesso accompagnato da tumefazioni o gonfiori lungo i muscoli e i tendini, dovuti a traumi, a infezioni o a ferite. Dolore trasmesso dai nervi nelle vicinanze della parte infiammata.

Si manifesta con un dolore che si diffonde dalla parte infiammata, come una scia, lungo un arto o il tronco.

Talvolta la scia dolorosa parte da un dente infiammato e arriva alla sommità del cranio o, attraverso la mandibola, e lungo il collo fino alla sommità del torace.

L’assonanza della screscetöre con “striscia” è evidente.
Il termine era familiare fino a pochi decenni fa.
Ora è andato man mano in disuso.
Peccato perché ha un bel suono e descrive immediatamente il malore che colpisce il malcapitato.

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Addurìfeche

Addurìfeche s.f. = Odorifero, profumatore

È un termine ormai desueto. Mi piace riprenderlo per il suo suono armonico e per ricordarlo alle generazioni attuali.

Deriva dallo spagnolo ODORÍFICO adj. Que da buen odor = che dà buon odore, che sparge profumo.

Generalmente lo usavano i nostri nonni per chiedere al droghiere Viscardo di vendergli le spezie (cannella, chiodi di garofano, ecc.) necessarie per la preparazione domestica di dolci.

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Arzìcule

Arzìcule s.f. = barretta ferma ruota.

Si tratta di un oggettino che tutti noi abbiamo visto sul carrettini spinti a mano sui carri a trazione animale. Il nome era conosciuto solo dagli addetti ai lavori (carrettieri, fabbri, carradori).


È una barretta di ferro foggiato con un ingrosso nella parte superiore, che si infila in un foro (detto “occhio”) posto ad ognuna delle due estremità dell’asse su cui si montano i mozzi, allo scopo di non far sfilare le ruote dal loro alloggiamento.

Molte rezzìcule dispongono anche di un anello nella parte inferiore, specie quelle montate su carri grandi. L’anello impedisce la sua accidentale fuoruscita dall’ “occhio” dell’asse a causa del percorso accidentato.

Accettabile anche scritto arzìchele, rezzìcule, rezzìchele,

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Mmècce

Mmècce s.f. = incastro

Incastro usato per tenere uniti due segmenti di legno, specie in ebanisteria e in carpenteria navale, senza dover far ricorso a chiodi, viti o rivetti. È probabile che le giunzioni anche in edilizia, in metallurgia o in sartoria vengano chiamate “mecciatüre” o “a mmècce“. Di sicuro il termine è in uso anche in Campania e a Cerignola.

Possono essere di vari formati.
il più conosciuto è detto “a coda di rondine” per lavori di grande precisione.

Altro tipo di incastro molto in uso è detto in italiano “a spina” o “a tenone e mortasa”, ossia dei cilindretti di legno che si inseriscono nelle corrispondenti cavità dell’altro legno da congiungere.
Questi tenoni da noi sono detti “megnuzze”. Clicca sul link: https://www.parliamomanfredoniano.it/megnuzze/.

Ringrazio l’amico Matteo Borgia 2° per avermi dato il suggerimento, consentendomi la stesura di questo articolo.

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Ceccantònje

Cèccantònje o Cèccantògne s.f. = Pera giugnolina, pera S.Giovanni

La pöre Ceccantònje = pera giugnolina è parte di un Gruppo varietale di pera (Pyrus communis),
Questa pera locale, dalla polpe soda e succosa, matura già a metà giugno. È di dimensione piuttosto piccola, ma soddisfa pienamente il mercato locale. Ha la buccia sottile ed il torsolo morbido. Molti la mangiano tutta, escludendo solo il picciolo e la parte opposta. Dopo qualche giorno la polpa diventa più morbida e di color marroncino per eccessiva maturazione. Tuttavia è ancora edibile.

Per questo non viene coltivata su larga scala, proprio perché facilmente deperibile e perciò non adatta alla grande distribuzione, la cui filiera richiede giorni e giorni prima che giunga al consumatore.

Il nome strano significa “Ceccantonio”, come dire Francescantonio.
Forse perché compare sulle bancarelle verso la metà di Giugno (il giorno 13 cade la ricorrenza di Sant’Antonio da Padova). In Sicilia, probabilmente perché più tardiva, questa pera è chiamata Pera San Giovanni (24 giugno) o anche Pera San Pietro e Paolo (29 giugno).

Gli antichi Romani le chiamavano Pyra Hordaceus , cioè “pera dell’orzo”, perché maturava in corrispondenza della mietitura di questo cereale. (dal web).

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Secchelènze

Secchelénze s.f. = Scarsità, mancanza, carestia

Deriva da secco, scarso, inaridito, non abbondante, anche in senso figurato.

Nel napoletano usano una parola simile: sechenenze, o sichinenza.

Ho scoperto, leggendo qua e là [Fonte: Enciclopedia Treccani, Accademia della Crusca], che è una deformazione dell’espressione appresa dai napoletani ascoltando i soldati americani nel corso della seconda guerra mondiale: second hands = di seconda mano, di scarso valore.
Il suono veloce “sicon(d)enz” è stato storpiato dai nativi che non sapevano una sola parola di inglese e l’hanno fatto propria (come shoe shine [pronuncia sció-sciàine] diventata “sciuscià”= lustrascarpe) e forse divulgata nelle regioni vicine..

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Scrüme

Scrüme s.f. = Scriminatura, riga

Linea di spartizione dei capelli.
È la linea che divide le ciocche dei capelli orientandole in due direzioni diverse.

Pòrte sèmbe a scrüme a dritte = Mi pettino sempre con la scriminatura a destra.

Gli uomini del ‘900 usavano pettinarsi con la scriminatura rigorosamente al sommo del capo (‘a scüme a mìzze). I capelli impiastricciati di brillantina (a olio o a pomata) e apparivano rigorosamente lucidi e attaccati ai due lati del cranio, a prova di vento.

I ragazzi dagli anni ’80 nostra epoca hanno usato la gommina, un gel per capelli, con lo stesso effetto “bagnato” ma col vantaggio di non ungere, salvaguardando dall’unto i colletti, le sciarpe e  i guanciali.

Anche questo sostantivo ha diretta derivazione dal latino discrimen = separare, dividere.

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Avedènze

Avedènze s.f. = Retta, udienza, ascolto, credito

Ber brevità a volte viene pronunciata adènze più aderente al latino audentiam da cui sicuramente deriva.

Infatti nel Sud Italia, con tutte le sua varianti e inflessioni (adenze, arenze, addenza, addenzia) si diffuse la locuzione  audentiam orationi facio, ovvero “gestire l’attenzione degli uditori a un discorso”, dalla quale si pensa derivi nel suo senso principale di attenzione.

Generalmente si usa nella locuzione negativa nen dé avedènze = non dar retta, non dar ascolto.

Nota linguistica.
Voglio evidenziare una particolarità del nostro dialetto: nel coniugare un verbo all’imperativo negativo, si usa una costruzione molto particolare. Cioè si usa la negazione + il verbo al participio passato.

FORMA POSITIVA FORMA NEGATIVO
Parle = parla nen parlanne =non parlare
Mange = mangia nen mangianne = non mangiare
Dà avedènze = dai retta nen danne avedènze = Non dar retta

Insomma quel non parlanne, alla lettera si tradurrebbe «non (essere) parlante» Infatti i Baresi dicono nen si parlanne.

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Pagghjòsche

 

Pagghjosche s.f. = pagliuzza, nullità, esiguità, inezia,

Si tratta di un materiale di scarto nella lavorazione dei cereali: praticamente lo stelo sminuzzato del frumento eliminato dopo la trebbiatura.

Viene usato nella locuzione pegghjé pagghjosche (prendere pagliuzze), che significa raccogliere o ricavare un bel nulla.

A volte figuratamente il termine è utilizzato per descrivere una persona di scarso valore culturale, economico, morale. Per questo i vicini Cerignolani usano il termine pagghiouse, ossia uomo di paglia, senza valore, uomo da poco, una nullità, inaffidabile.

Apprjisse a códde crestjéne nen ce pöte pegghjé pagghjòsche = Su quella persona non si può fare alcun affidamento.

A volte assume un senso di incertezza, di timore:
Ne nzàcce che pagghjòsche agghja pegghjé…= Non so quale decisione devo prendere. Come faccio a uscire da queste difficoltà?

 

 

Il lettore Silvio Simone Pellico suggerisce: «È un modo di dire che indica chi non ha raccolto nulla /ottenuto nulla / concluso nulla. A pagghiòsche è un materiale di scarso valore , ecco perché viene associato a chi non ha concluso o ottenuto nulla . Si usa dire anche nen dicènne pagghiòsche , cioè non dire fesserie.»

 

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