Tag: sostantivo maschile

Muserjille

Muserjille o mesurjille s.m. = Misurino

Piccolo recipiente graduato o di misura nota, usato per il dosaggio di quantità limitate di sostanze liquide, in grani o in polvere. Anche il contenuto di un misurino.

Generalmente si intende quello della capacità di 50 ml, poiché la mesüre equivaleva a 100 ml.  Il contenitore o il contenuto veniva detto mèzza mesüre

Mìtte ‘nu mesurjille d’ùgghje = Metti (in pentola) 50 grammi di olio.

Ai miei tempi tutto si vendeva sfuso, dal sale, alle sigarette, dallo zucchero al concentrato di pomodoro.

Pochi avevano la possibilità di fare provviste, perché i soldi erano pochi, e si cucinava solo se si disponeva di contanti.
Quindi i negozianti erano disposti anche a vendere a mesurjille, addirittura a mjizze mesurjille = a mezzo misurino = a 50 ml per volta.

Era chiamato mesurjille anche una coppetta di legno tornito usato dai venditori di bruscolini davanti ai cinema. Il grido di questi era: Salatjille, salatjille, quàtte sòlde ‘u muserjille! = Bruscolini, bruscolini, a 20 centesimi a misurino.

Data la quantità esigua del suo contenuto mesurjille era usato anche per descrivere qlcu esile, gracile, poco sviluppato, meschino nel senso di stentato, miserino (che ha assonanza con muserjille).

È corretta anche la pronuncia mesurjille, da mesüre = misura.

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Musecànde

Musecànde s.m. = Musicante

È detto generalmente al plurale perché si riferisce a coloro che suonano in un gruppo orchestrale o in una banda.
Viene usato anche il sinonimo sunatüre = suonatori, musicisti, strumentisti.

Il termine musecànde ha talvolta una valenza spregiativa, non tanto per le eventuali scarse doti artistiche e tecniche, quanto perché i soggetti ingaggiati per allietare battesimi e matrimoni, facevano man bassa spudoratamente dei cumblemènte= taralli, biscotti, dolcetti e liquori distribuiti nel rifresco.

Erano tempi duri, e quando si poteva arraffare qualcosa da portare a casa i musecànde non badavano a critiche.

Qualcuno riempiva sfacciatamente di cibarie la custodia della fisarmonica e a fine serata portava via lo strumento sfoderato sulla spalla. Cose da non credere, specie se il festino era “ricco”, come quelli che si facevano a Macchia, con puperéte, scaldatelli, ceci arrostiti, pizzarelle, pagnottelle con savezìcchje, ecc.

Ecco perché dire musecànde era come dire morti di fame. Ora i veri musicisti, diplomati al Conservatorio, rischiano la fame ugualmente, perché non riescono a trovare posto come orchestrali, né nella Scuola, tanto meno come Docenti nei Conservatori, perché la Cultura in Italia è del tutto svilita.

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Murtéle

Murtéle s.m. = Mortaio

Recipiente di metallo, legno o altro materiale duro, utilizzato per ridurre in frammenti, polvere o poltiglia sostanze varie con un pestello dello stesso materiale.

‘U murtéle e ‘u pesatüre = Il mortaio e il pestello

Era un motivo di orgoglio, per le nostre nonne, possedere oltre al consueto mortaio di legno, usato solo per sminuzzare il sale grosso (in sale fino non era stato ancora posto in commercio), ‘u murtéle d’abbrònze = il mortaio di bronzo, usato forse solo una volta all’anno per polverizzare la cannella o i chiodi di garofano nel preparare i dolcetti natalizi.

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Murtavjille

Murtavjille s.m. = Bertavello 

È detto anche: Bartevello, Bertovello, Bertuello, Tofo, Cogol, Maranese.

Si tratta di un tipo di rete da pesca da posta, a camere multiple cilindriche con i separatori a forma di cono, usato generalmente per la cattura delle anguille.
Esso reca all’interno delle “pareti” aperte che consentono alle anguille di entrarvi, attratte da un’esca come ad es. un granchio, ma non permettono più di uscirne.
Questo dimostra che il cervello degli umani (a volte) funziona  meglio di quello degli animali.
«La sua esistenza si deve ai pescatori di Marta (Viterbo), da cui ne deriva appunto il nome, paese caratterizzato dal commercio ittico e affacciato sulle sponde del bel Lago di Bolsena» (da Wikipedia).
Mio padre raccontava che una volta andavano a lavorare in agricoltura alla “stagione dell’aia” (ossia al tempo della trebbiatura), anche i pescatori in quanto c’era gran bisogno di mano d’opera.
Per un mesetto si facevano ingaggiare muratori, pescatori, sellai, falegnami, ed altri artigiani, perché la paga era allettante.
Nelle campagne litorali (Sciale Frattarolo, Sciale Garzia ecc.) c’erano dei canali di scolo, stretti e poco profondi, detti “marane” attraverso i quali risalgono le anguille femmine provenienti dal mare forse in cerca di cibo o per deporre le uova. Quegli operai,  premuniti di murtavjille,  avevano di che prepararsi la cena a fine giornata.
È noto che le anguille vivono indifferentemente in acque dolci, salmastre e salate.
                           
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Mupacchjöne

Mupacchjöne agg. e s.m. = Cervellotico.

Deriva da müpe (femminile möpe), di grado un po’ meno grave.

L’aggettivo è riferito ad un soggetto dal carattere imprevedibile, un po’ squilibrato e inaffidabile, talvolta anche testardo, fissato, che non sente ragioni.

Uì, mò ho ‘mmurréte! = Eccolo, adesso non intende ragioni!

È il momento in cui un mupacchjöne “ammupisce“, ovvero si intestardisce e si impunta come un mulo che pianta gli zoccoli nel terreno, incrollabile nella sua cocciutaggine e caparbietà.

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Munezzéle

Munezzéle s.m. = Immondezzaio

Luogo ove si conferisce l’immondizia, discarica.

Inteso anche figuratamente come luogo con il massimo disordine, o peggio, pieno di lerciume.

Jéte a rezzeljé ‘a stanze, ca assemègghje ‘nu munezzéle = Andate a riordinare la stanza, perché sembra un deposito di spazzatura.

Quanne ìi bagnande ce ne vanne, ‘a spiagge jì ‘nu munezzéle = Quando vanno via i bagnanti, la spiaggia (libera) è come un immondezzaio. Purtroppo è vero!

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Mummelacchjöne

Mummelacchjöne agg. e s.m. = Debole

Che manca di vigore, di forza e fig. irresoluto, poco autorevole.

Epiteto offensivo che si riferisce ad una persona di poco vigore, fisicamente e/o caratterialmente.

Viene da mómmele, fiacco

Il sostantivo designa una persona fiacca, ed ha il medesimo significato dell’aggettivo.

‘Nu mummelacchjöne è considerato perdente su tutta la linea.

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Mulafùrce

Mulafùrce s.m. = Arrotino.

L’arrotino era un ambulante che esercitava il suo mestiere per le strade, preceduto dal carattiristico grido: ‘u mulafùrce!.

Incantava i bambini con la sua ruota mossa da un pedale. La ruota con una cinghia azionava la cote, pietra naturale dura usata per affilare ferri da taglio, coltelli, forbili, falci, roncole, ecc..

A me piaceva, perché dava un senso di ritmo al suo lavoro, quella goccia di acqua che da un barattolo bucato cadeva incessantemente sulla pietra (tic-tic-tic-tic….).

Chissà perché io ricordo uno che gridava “arrotino di Campobasso”, come per vantarsi di una tradizione più antica, sinonimo di lavoro accurato. Gli ultimi che ricordo avevano una bicicletta modificata che azionava la cote con i pedali.
Mulafurce, alla lettera, significa:che affila le forbici sulla mola.

La foto grande (gentilmente concessa dall’amico  Matteo Borgia, cui va il mio ringraziamento) fu scattata nel 1929 in Vicolo Clemente a Manfredonia, e ritrae suo nonno, l’arrotino e calzolaio Carlo Guerra, con la sua figlioletta Anna che diventerà le mamma di Matteo..

Nota linguistica.
Il termine corretto in italiano, quando indica l’arnese atto a tagliare, è detto al plurale: le forbici. Invere in dialetto è singolare: ‘a fòrbece. Quandi si indica un numero di forbici superiore a una, dicesi ‘i fùrbece, ma qui viene pronunciato in forma contratta fùrce.
Sapete tutti chi sono “I Furbeciüne” = “I Forbicioni” e i furbecètte = le forbicine.

 

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Mùgghje

Mùgghje s.m. = Groviglio di alghe. Involto bagnato.

1) Groviglio di alghe che si ritrova nelle reti issate a bordo dopo una battuta di pesca a strascico.

2) Fagotto di stracci ben inzuppato di acqua. Usato, ad es. per pulire della tempera in eccesso quando si dipingono le pareti.

Più spesso definisce una specie di goliardico gavettone, che non inzuppava del tutto la persona oggetto dello scherzo, ma aveva l’effetto più tenue di inumidirlo soltanto, salvo a farlo stramazzare tramortito al suolo come conseguenza del lancio dal terzo piano….

Nei cantieri edili, in mancanza di stracci, si intrideva nell’acqua un sacchetto vuoto, uno di quelli usati per imballaggio del cemento in polvere.

Talvolta veniva caldamente invocato, con un urlo straziante, in altre circostanze. Per esempio se qlcu elegantissimo si presentava sulla spiaggia, o voleva fare il saputello in una combriccola di giovani spensierati: ‘Nu mùuuuughje!!!

Ossia: Adesso ci vorrebbe un grosso fagotto di stracci ben inzuppato di acqua, in modo che sia scaraventato sulla faccia di questa persona inopportuna. Difatti costui non ha capito niente dalla vita, ed ora si mostra estremamente invadente. Colpendolo adesso viene simbolicamente “abbattuto”.

Potenza di sintesi del dialetto!

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Mudìgne

Mudìgne s.m.. = Nano

Riferito a persona che presenta sviluppo corporeo limitato e proporzioni ridotte rispetto alla norma. Affetto da nanismo.

“Si parla di nanismo armonico quando tutte le parti del corpo sono di dimensioni ridotte in modo proporzionato fra loro, e di nanismo disarmonico quando invece prevalgono certe parti del corpo che sono sproporzionate rispetto alle altre, (per esempio, gli arti sono corti ma la testa e il tronco hanno dimensioni normali)” [da “Sapere.it”].

Il nome dialettale, nonostante l’assonanza spagnolesca, probabilmente deriva dal nome proprio di qualche artista famoso dell’ambiente circense.

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