Tag: sostantivo maschile

Lupüne

Lupüne s.m. = Lupino

È una pianta annuale che attecchisce, grazie alla sua straordinaria adattabilità a terreni difficili, dove le altre leguminose falliscono.
Conosciuta fin dall’antichità nel bacino del Mediterraneo.

I lupini coltivati in Europa appartengono a tre specie: lupino bianco (Lupinus albus), lupino giallo (L. luteus) e lupino blu o azzurro (L. angustifolius).

Come tutti semi delle leguminose, quelli di lupino sono ricchi di proteine (fin oltre il 35%) anche se non privi di vari inconvenienti. Infatti essi contengono alcaloidi amari e/o velenosi che devono essere eliminati mediante prolungato lavaggio perché possano essere adoperati nell’alimentazione umana o animale.

I lupini, assieme ai semi di zucca, ai ceci arrostiti, alle fave abbrustolite, alle castagne lesse, erano venduti in cartocci di carta davanti ai cinema, ed erano noti anche con la voce generica di salatjille o spassatjimbe.

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Lumüne

Lumüne s.m. = Luminello  a olio

In italiano la voce lumino (simile al nostro lumüne) indica un cilindretto di cera con stoppino incorporato da noi detto ceròtte.
Con il nome di lumüne, si intende il luminello, formato da uno stoppino cerato passante per un supporto di carta e uno di sughero per consentirne il galleggiamento. La sua parte inferiore pescava nell’olio lampante (olio di oliva di infima qualità, immangiabile  e usato per alimentare lampade a olio, da cui il nome).

I luminelli una volta accesi piano piano consumavano l’olio su cui venivano posti. L’insieme, contenitore (di solito un bicchiere di vetro, acqua per 2/3  olio per 1/3 e luminello) era chiamato ‘a lambe (lumino a olio). Le nostre nonne l’accendevano davanti a immagini sacre o a foto di parenti defunti (..et lux perpetuam luceat eis…).

Galleggiando sull’olio il luminello innalzava la fiammella quasi al livello del bicchiere, evitando così di surriscaldarlo e scongiuravano il rischio di rottura del vetro.

Quanto tutto l’olio era consumato l’acqua sorbita dallo stoppino faceva sfrigolare per un po’ la fiammella, e subito dopo la smorzava. Si avvertiva un po’ di puzza, ma si annullava in questo modo anche il pericolo di incendi.

I lumini fino a pochi decenni fa erano confezionati rigorosamente a mano da qualche donnetta che ci guadagnava qualcosa vendendoli a dozzine. Poi sono stati messi in commercio i lumini industriali, formati dal solito stoppino che pesca nell’olio sorretto da una specie di treppiedi di alluminio e un dischetto di sughero, tuttora usato dalle nonne fondamentaliste, intransigenti sulle loro tradizioni.

Per il suffragio dei defunto – dicono – ci vuole l’olio, perché più efficace!
Che facciamo con questa moderna cera? Non parliamo poi dei lumini a pila!

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Lòrge

Lòrge s.m. = orologio

Strumento adoperato per misurare il tempo. Può essere meccanico, elettronio, solare, a pendolo, a cucù, ecc..

Quelli meccanici sfruttano il fenomento fisico detto isocronismo del pendolo. Non voglio fare una disquisizione di fisica cinetica, perché non sono professore.

Mi occupo del termine in senso letterario-dialettale.
Generalmente si pronuncia rafforzando la “l” iniziale, quasi fosse una doppia elle. ‘U llorge = l’orologio. Ha un bel suono, come il francese horloge.

Per dire orologiaio, si pronuncia ‘u llurgére. L’articolo ‘u influenza la vocale vicina che a rigore di logica dovrebbe pronunciarsi ‘u lorgére, come avviene anche con forno/fornaio: ‘u fórne, ‘u furnére, sotto/sottano = sòtte/sutténe‘a zòcchele/’u zucchelöne, ecc.

Nel dialetto di Monte è più evidente: quarànda cavadde = quaranta cavalli; ‘nu cuavàdde= un cavallo.

È un fenomeno fonetico che ha un suo nome specifico (forse metatesi). Non ci giurerei, scusate la mia ignoranza…Accetto suggerimenti, così lo memorizzo una volta per tutte.

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Lócchele

Lócchele s.m. = Urlo, grido

Grido altissimo e scomposto.

Può essere causato da spavento, da dolore, da stizza, da collera, ecc.

Mattöje ò allazzéte ‘nu lócchele quanne l’Italje ò fatte ‘u gòlle = Matteo ha lanciato un urlo quando l’Italia ha fatto un goal.

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Lòcche

Lòcche agg. s.m. = solcometro, contamiglia

Deriva dall’inglese è log ossia “Solcometro di Walker”.

È uno strumento meccanico atto a misurare la velocita dei natanti in navigazione, formato da un corpo a siluro, con due alette ad elica saldate lungo il suo fusto.  La sua parte anteriore reca un anello a mulinello, cui si lega un sagolino.
L’apparecchio, lanciato in mare, sotto il pelo dell’acqua, prilla, gira velocemente su se stesso per effetto delle sue ali a elica.

In base al tempo impiegato per la misurazione, e al numero dei giri effettuati si ottiene la velocità mantenuta dal natante. V=t/d (spero di non avervi confuso): Velocità = tempo diviso distanza.
Quelli più moderni consentono di leggere direttamente la velocità dai contatori interni.

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Lìsce-e-bósse

Lìsce-e-bósse s.m. = Rimbrotto, rimprovero

È un sinonimo di cazzjatöne.

Il termine deriva dal gergo dei giocatori di carte, nel gioco del tressette. Il suono è invitante, prima ti liscio e poi ti colpisco.

Quànne ‘ngondre a Giuànne lu fàzze ‘nu lìsce-e-bósse a nómere jüne! = Quando incontro Giovanni gli faccio un rimprovero di prima categoria!

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Lìppe

Lìppe s.m. = Viscidume

È quella sostanza viscida, scivolosa o appiccicosa che copre, ad esempio, il corpo di anguille e polpi, o che si crea sciogliendo i detersivi in acqua, o protraendo troppo a lungo la cottura della pasta alimentare.

Quando ero adolescente associavo immediatamente questo termine al detersivo in polvere LIP, appena messo in commercio credo dalla Mira Lanza.

L’aggettivo derivante è leppüse al  plurale e al maschile, e leppöse al femminile singolare  con il significato di viscido, scivoloso.

Attribuiamo l’aggettivo leppüse anche ai cachi non completamente maturi, che lasciano in bocca un senso di  raspulènde (←clicca) = rasposità, ruvidezza che è l’esatto contrario.

L’atto di privare il polpo dal suo viscidume è detto specificamente sgrumé (←clicca).

Il termine è in uso in tutto il Sud, e deriva dal greco λεπις (lepis)

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Lìnnje

Linnje s.m. = Lèndine

Da non confiondere con lìnje = linea.

Lendine, uovo di pidocchio che si annida alla radice dei capelli.

Si doveva pronunciare, al singolare, lènnje, da lendine; siccome è sempre stato detto al plurale, si è persa memoria di lènnje e si dice lìnnje anche al singolare. Perciò è ritenuto invariabile.

Le nostre nonne erano abilissime a spulciare i nipotini affetti da pediculosi: un po’ come fanno abitualmente gli scimpanzè con i loro cuccioli. Solamente che non li portavano alla bocca come le scimmie!

La no’, me vu’ cerché ‘nghépe se stanno i lìnnje? = Nonna, mi vuoi cercare tra i capelli se ci sono i lendini?

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Lèbbre

Lèbbre s.m. = Lepre

La lepre (Lepus europaeus), è un animale selvatico, ambito dai cacciatori, simile al coniglio ma più grande e molto veloce. In presenza di pericolo di blocca tentando di mimetizzarsi con l’ambiente. In caso il potenziale nemico si avvicinasse troppo balza di colpo e fugge velocemente.

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Lazzaröne

Il sostantivo in un contesto serio descrive persone che compiono azioni esecrabili.
Finalmènde ànne ‘ngarceréte a códdu lazzaröne = Finalmente hanno arrestato quel farabutto.

Insomma “lazzarone”, ormai riconosciuto anche in lingua italiana, deriva dal napoletano, ed è sinonimo di mascalzone, furfante, manigoldo, lestofante, farabutto, gaglioffo (rendo l’idea?).

L’aggettivo fa riferimento alle azioni negative compiute da questo genere di persone .
Mattöje jì pròprje ‘nu lazzaröne = Matteo è proprio un farabutto.

Queste sfumature grammaticali – aggettivo/sostantivo –  forse non interessano nessuno, ma mi corre l’obbligo di chiarirle.

Nel nostro dialetto è pronunciato sempre in tono scherzoso, specialmente rivolto ai frugoletti che hanno compiuto una monelleria.
Ma quànde sì lazzaröne! = ma quanto sei furbetto!

Al plurale suona lazzarüne.
Ce sò accucchjéte ‘sti quatte lazzarüne: evògghje a fé ammujüne! (scusate l’involontaria rima)= Si sono riuniti questi quattro bricconcelli: non si stancheranno di far baccano!

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