Tag: sostantivo maschile

Cavezöne

Cavezöne s.m. = Calzoni, pantaloni

I puristi dicono che pantalone è un francesismo, e che in italianoi si deve dire calzoni, al plurale, come pinze, tenaglie, forbici, occhiali, perché formati da due elementi distinti quantunque uniti.

In dialetto diciamo ‘u cavezöne, come se fosse al singolare. Difatti due pantaloni si dice düje cavezüne.

Una volta si diceva che in casa è l’uomo che porta i calzoni, come per dire che ha autorità sulla moglie e sui figli.

Già, una volta.

Filed under: CTagged with:

Cavamonde 

Cavamonde s.m. = Cavapietre

Operaio addetto all’estrazione di pietre da una cava.

Costui svolgeva un lavoro tra i più faticosi esistenti. Con un paletto d’acciaio (‘a pala-möne, il palo da mina) dal diamentro di circa 5 cm, a forza di braccia praticava un pozzetto nella roccia profondo almeno 50 cm.
Dentro questo foro disponeva una carica di tritolo (‘a möne = la mina) che faceva brillare con una miccia a comustione lenta, per frantumare la roccia in grossi pezzi. Ognuno di questi, con un grosso martello che si impugnava con entrambe le mani, veniva ulteriormente ridotto di pezzatura, secondo l’utilizzo che se ne doveva fare. Un lavoro massacrante.

Se non vi annoio, voglio proporvi una poesia del mio caro amico Lino Nenna, dedicata a suo padre che di professione faceva proprio il cavapietre.

Méne pussènde e callöse
japèrte cöme ‘a pètele de röse,
p’a facce stanghe e scarnüte:
‘u mestjire l’ò vìste abbelüte
P’ ‘a fatüje fatte škìtte dai vrazze
e pöche chjöche tenöve mbacce.
Jìnde ‘u sguarde ‘na dulcèzze,
ma l’ùcchje luccecande de stanghezze.
‘A söra tarde turnöve, ce accarezzöve,
revedènne ‘i vüse nustre,
jìnd’u cöre süve l’anzje
de vedìrece grùsse.
Jìsse camböve škìtte pe nüje
ma ‘u tìmbe nen l’ò accarezzéte méje.
Pe la mènde alla famigghje
e p’u cùrpe alla fatüje
ò cunzeméte acchessì ‘a vüta söve.
Tótte ce’ò déte pe tanda amöre
chisà se ‘u Segnöre ce l’ò pegghjéte a cöre.

Traduzione per i lettori non manfredoniani:

Mani possenti e callose/ aperte come petali di rosa/con la faccia stanca e scarnita/il mestiere lo ha reso avvilito/per il lavoro fatto solo di braccia/e poche rughe teneva sulla faccia./Dentro lo sguardo una dolcezza/ma gli occhi lucidi di stanchezza./A sera tardi tornava, ci accarezzava/rivedendo i nostri visi/ dentro il cuore suo l’ansia/di vederci cresciuti./Egli viveva solo per noi/ ma il tempo non lo ha accarezzato mai./Con la mente alla famiglia/ e con il corpo al lavoro/ha consumato così la vita sua.
Tutto ci ha dato con tanto amore/chissà se il Signore lo ha preso a cuore.

Filed under: CTagged with:

Cavafanghe 

Cavafanghe s.m.= Draga, aspira fango

 

Attrezzatura della marineria per cavare dai fondali del bacino portuale gli accumuli di fango in modo da aumentarne il pescaggio, ossia la profondità. I fanghi portati in superficie, se non ricordo male, venivano deposti su uno zatterone e scaricati in alto mare.

L’etimo è chiaro: cavare, tirare fuori. estrarre + fango.

Siccome l’imbarcazione era sempre rumorosa, puzzolente e sporca, il termine è passato scherzosamente a designare qlcu non proprio di bell’aspetto, diciamo non un fighetto.

Filed under: CTagged with:

Catenjille

Catenjille s.m. = Anello a muro

Si tratta di un anello di ferro tondo (il ferro è grosso Ø mm 15) dal diametro di circa cm 12, passante in un occhiello anch’esso di ferro. Questo era munito di codolo a punta che si infiggeva nel muro.

Si vedevano sulle pareti delle case a piano terra, ad altezza uomo, e servivano per legarvi la cavezza delle bestie da soma o anche la corda per stendere la biancheria.

catenjille più piccoli, in italiano chiamati ” occhielli per tende”, hanno il diametro cm 3, e sono di ottone per evitarne l’ossidazione a causa dell’umidità esterna.

Servivano per sorreggere la “rete” sull’uscio di casa, e scorrevano su una bacchetta di ferro tondino sostenuta da due occhielli a vite.

Da non confondersi con catenìgghje=cordoncino. (clicca)

Filed under: CTagged with:

Catenazze

Catenazze s.m., sop. = Catenaccio, Lucchetto

Per serrare in sicurezza una porta, il termine italiano catenaccio indica una barra passante per occhielli di ferro e fissata con lucchetto. Questo dispositivo è detto anche catorcio.

Il lucchetto vero e proprio è una serratura metallica mobile costituita da un corpo centrale a forma di piccola scatola a cui è articolata una barretta d’acciaio, diritta o piegata a U, munita di dispositivo di blocco, azionabile con una chiave.

Il soprannome Cat’nazz può derivare da un cognome (Catenazzo, Catenacci), esistente in Basilicata, in Abruzzo, nel Lazio, in Umbria e anche in Lombardia.

Filed under: C, SoprannomiTagged with:

Catarröne 

Catarröne s.m. = Contrabbasso

Grosso strumento ad arco generalmente a quattro corde, che produce le sonorità più gravi.

Appartiene alla famiglia detta degli archi perchè il suono si ottiene sfregando le corde con un archetto di crini di cavallo.

Nella musica Jazz e in quella popolare da ballo il contrabbasso non viene suonato con l’arco, ma solo pizzicato, perché il tempo venga maggiormente marcato.

Il termine catarröne si è usato fino agli anni ’50.

Quando ho cominciato io a cimentarmi con questo strumento nel 1958 già era designato con voce simil-italiana controbbàsse.

Dopo qualche anno era diventato solo ‘u basse, come quello elettrico a forma di chitarra apparso sul mercato degli strumenti per complessi di musica leggera, aborrito dai cultori del jazz.

Filed under: CTagged with:

Cataplàsme

Cataplàsme s.m. = Cataplasma, impiastro

Il termine è quasi italiano. Il cataplasma è un composto ad uso farmacologico per uso esterno, costituito normalmente da impasti di amidi, mucillagini e oli, che si applicano, possibilmente a caldo, sulla pelle per curare reumatismi o altre forme dolorifiche.

Il cataplasma appartiene alla famiglia delle preparazioni galeniche (termine coniato in onore di Galeno di Pergamo fu un medico greco antico,che curù a Roma vari imperatori, fino all’anno 200 d.C., i cui punti di vista hanno dominato la medicina europea per più di mille anni).

Tali preparazioni vengono somministrate inizialmente in dosi ridotte per accertare che il paziente accetti la cura senza grosse controindicazioni (ipersensibilità o reazioni allergiche).

Ricordo ‘u cataplàsme de summènde de lüne = il cataplasma di semi di lino. Riscaldavano questi semi in acqua bollente, li scolavano e li raccoglievano in un fazzoletto. Questo impacco veniva posto sulla parte dolorante. Una “mappazza” caldissima quasi insopportabile.

Questo sistema di cura è ormai scomparso, ma il termine è tuttora usato per indicare una persona noiosa, attaccaticcia, insopportabile, fastidiosa, flemmatica, indecisa, insomma uno che è meglio non trattare per il suo carattere pesante.

Filed under: CTagged with:

Castréte

Castréte agg. e s.m. = Castrato

Oggi si intende esclusivamente il maschio adulto di ovino, privato dei testicoli per favorirne l’accrescimento rapido. Le carni sono tenere e profumate specie se preparate a ragù.

La castrazione umana è detta evirazione. Chi conosce la storia della musica sa che fino all’inizio del 1900 usavano castrare i bambini prima dello sviluppo in modo che conservassero la voce bianca allo scopo di assegnare loro canti di timbro femminile.

Venivano chiamati sopranisti o evirati cantori. Il più osannato, corteggiato e pagato, fu Carlo Broschi, in arte Farinelli (Andria, 24 gennaio 1705 – Bologna, 16 settembre 1782), una vera star e prima donna….
(Vedi Farinelli)

Filed under: CTagged with: ,

Cascettöne

Cascettöne s.m. = Cassettone

Cassone di legno, madia per conservare granaglie ad uso nelle masserie, chiamato anche casciöne.

Quello cittadino era chiamato stepöne = grosso stipo. Era come un armadio senza specchi. Quello di mia zia, lo ricordo con dolcezza, odorava sempre di pane fresco.

Il termine cascettöne ha un suono invitante per fare dell’ironia ai danni di qlcu. Per indicare un soggetto con cifosi o gibbosità, un soggeto grosso e lento nei movimenti, ecc.

Un lettore – di cui in questo momento non rammento il nome, e che comunque ringrazio – mi dice testualmente:

«Cascettöne: persona che rivela i segreti agli altri – ruffiano.

Penso che potrebbe trarre origine dalla cassa nella quale si custodivano le cose più segrete, quindi fare “u cascettöne” era come mettere a conoscenza degli altri i segreti in essa contenuti.»

Filed under: CTagged with:

Carüse

Carüse s.m. = Cranio rapato

Deriva dal latino cariosus, che significa glabro, privo di peli;  oppure dal greco keiro  che significa  tagliare, rasare.
Il termine è passato attraverso il provenzale, lo spagnolo e il siciliano.

Spesso per questioni di igiene, i bambini venivano rapati a zero.

La testa senza capelli (si usava anche il sinonimo melöne e tatta-melöne) veniva indicata come carüse.

Me sò fàtte ‘u carüse (o anche me sò fatte ‘u tatta-melöne, oppure me sò caruséte) = Mi sono rapato a zero.

Il bambino è tuttora chiamato caruso in Sicilia e  toso in Lombardia, come dire tosato, rapato.

Filed under: CTagged with: