Cundassènze s.f. = Culmine, fondamento, nocciolo di una questione, significato intimo, intrinseco. Anche nel senso di evento inusuale, eccezionale
I nostri nonni spesso ricorrevano a questo sostantivo, a mio parere bello, musicale, e talvolta pronunciavano quìndassènze.
Ho fatto qualche ricerca perché in italiano esiste il sostantivo ‘quintessenza’. Oltre che come termine di filosofia (che in questa sede non voglio e non so spiegare), esso designa una sostanza, un’essenza purissima, ottenuta mediante cinque distillazioni, che gli alchimisti ritenevano fosse la sostanza intima e fondamentale di un corpo. Quindi l’estratto, il succo della questione, quello che resta alla fin fine.
I nostri nonni inconsapevolmente la usavano in senso figurato per indicare l’elemento fondamentale, la caratteristica essenziale, l’intima natura l’anima, lo spirito, il cuore, il grado massimo di qualcosa.
Jà vedì pròprje ‘a cundassènze = Debbo vedere proprio l’epilogo, il finale.
Il grande Totò diceva: “Voglio proprio vedere dove vuole arrivare…”
Chiarisco che per la definizione di “quintessenza” mi sono avvalso del Vocabolario della lingua italiana on line. Io non sono professore e quindi non posseggo una ricchezza di termini così variegata.
Ringrazio l’amico lettore Michele Granatiero per il prezioso suggerimento di questo termine.
Struttura formata da due listerelle di canna palustre, una curvata ad archetto teso da un filo, per il sostegno orizzontale e l’altra diritta, verticale, ricoperta di carta, munita di lunga coda formata da anelli di carta concatenati (‘a cöte = la coda, o ‘a catenèlle).