Cundassènze

Cundassènze s.f. = Culmine, fondamento, nocciolo di una questione, significato intimo, intrinseco. Anche nel senso di evento inusuale, eccezionale

I nostri nonni spesso ricorrevano a questo sostantivo, a mio parere bello, musicale, e talvolta pronunciavano quìndassènze.

Ho fatto qualche ricerca perché in italiano esiste il sostantivo ‘quintessenza’. Oltre che come termine di filosofia (che in questa sede non voglio e non so spiegare), esso designa una sostanza, un’essenza purissima, ottenuta mediante cinque distillazioni, che gli alchimisti ritenevano fosse la sostanza intima e fondamentale di un corpo. Quindi l’estratto, il succo della questione, quello che resta alla fin fine.

I nostri nonni inconsapevolmente la usavano in senso figurato per indicare l’elemento fondamentale, la caratteristica essenziale, l’intima natura l’anima, lo spirito, il cuore, il grado massimo di qualcosa.

Jà vedì pròprje ‘a cundassènze = Debbo vedere proprio l’epilogo, il finale.

Il grande Totò diceva: “Voglio proprio vedere dove vuole arrivare…”

Chiarisco che per la definizione di “quintessenza” mi sono avvalso del Vocabolario della lingua italiana on line. Io non sono professore e quindi non posseggo una ricchezza di termini così variegata.

Ringrazio l’amico lettore Michele Granatiero per il prezioso suggerimento di questo termine.

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Cumöte

Cumöte s.f. = Aquilone

Struttura formata da due listerelle di canna palustre, una curvata ad archetto teso da un filo, per il sostegno orizzontale e l’altra diritta, verticale, ricoperta di carta, munita di lunga coda formata da anelli di carta concatenati (‘a cöte = la coda, o ‘a catenèlle).

La “cometa” (forse chiamata così, come il corpo celeste, a causa dalla lunga coda), tirata per gioco con uno spago contro vento, si può librare in aria e volteggiare.

Ai miei tempi, in assenza di nastro scotch che non era stato ancora inventato, per fissare la carta alla struttura di cannucce e per formare la coda con anelli di carta, si usava la colla di farina: un cucchiaio di farina e un cucchiaio di acqua. Si metteva tutto ad asciugare sotto il letto, cumöte, füle e cöte= aquilone, filo e coda.

In italiano è ammesso chiamare l’aquilone anche cometa e cervo volante.

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Cummèsse

Cummèsse s.inv.. = Commesso/a

Oltre al banale significato di dipendente di un’azienda commerciale addetto alla vendita, in dialetto intendiamo designare una persona ben più importante dal punto di vista professionale.

Si tratta dell’Informatore Scientifico, laureato in biologia o farmacia. L’Informatore Scientifico è un professionista che informa i Medici sui Farmaci. Illustra loro ogni aspetto di essi: Azione, Vantaggi e Controindicazioni. Li aggiorna sull’uscita di nuovi farmaci e porge notizie relative all’uso di quelli già in commercio qualora l’esperienza avesse portato nuovi studi su di essi (Wikipedia)

Quando facciamo la fila negli ambulatori medici, ogni tanto arriva questo signore e saltando la fila, entra nello studio del medico e causa brontolii. Errore! Lavora per la nostra salute.

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Cummatte 

Cummatte v.i. = armeggiare, macchinare, brigare, trafficare.

Deriva dal latino cum+agere = muovere, avere a che fare con qualcuno, interagire.

Il verbo è riferito ad azioni manuali eseguite con pazienza, magari per hobby.
Stéche cummattènne ‘mbacce a ‘sta saracenèsche pe lué ‘a rózzene = Sto armeggiando su questa saracinesca per eliminare la ruggine.

Alla putöje de pàteme me piaciöve a cummatte, e pe quèste ca sacce fé = Nella bottega (di fabbro) di mio padre mi piaceva armeggiare (con i suoi attrezzi) e grazie a questo ho acquisito una certa manualità.

Il verbo ha anche un altro significato, spesso coniugato in forma negativa, quando è riferito a rapporti fra persone.
Pe cèrta ggènde nen vulüme cummatte = Con certa gente non vogliamo avere nulla a che fare (perché si tratta di persone inaffidabili, o sozze, o ineducate, o perfide, o infime, o vendicative, ecc..).

‘Na volte ch’àmma cummatte p’i fèsse… = Ma che risultati speravate di ottenere, dal momento che siamo stati obbligati a fidarci di persone incapaci?

Nen vogghje cummatte cchjó pe ttè = Non voglio perdere più il mio tempo con te, perché sei irricuperabile, non apprendi nulla, sei disinteressato a questo lavoro che invece richiede dedizione ed applicazione.

Vabbè, il dialetto è sempre molto sintetico, ma la traduzione estesa rende meglio il concetto che si vuole esprimere.

Nota grammaticale.
Vi rammento che la preposizione “con” in dialetto si traduce sempre con “pe“.
Me piéce a pesché p’a canne (non ch’a canne, che suona cacànne, ma ha un altro significato…) = Mi piace pescare con la canna.
Parle pe mmè! = Parla con me!
Jì arrevéte p’u tröne = È arrivato con il treno.

La preposizione “per” si traduce ugualmente con “pe“.
Quatte pe quatte, sìdece = 4×4=16
‘Nu balle pe cchése = Un ballo per ogni casa. Se siete Manfredoniani sapete tutto di quest’antica tradizione carnevalesca ormai tramontata.
Jì partüte pe Röme = È partito per Roma.

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Cüme a n’acque de Magge 

Cüme a n’acque de Magge loc.id. = Gradito, opportuno, efficace

La locuzione è termine di paragone quando si vuol esaltare l’opportunità e l’efficacia di un’azione gradita, così come lo è la pioggia di maggio per l’erba spontanea dei pascoli e per le coltivazioni orticole e cerealicole.

Un gesto consolatorio, un introito extra, una vincita, un regalo gradito, la vicinanza di un amico in un momento difficle, ecc. sono cüme a ‘n’ acque de Magge = come un’acqua di maggio.

Simile a refreškàrece l’osse = rinfrescarsi le ossa = rinfrancarsi, risollevarsi.

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Cumblemènde

Cumblemènde s.m. = Pasticcini, contrarietà

1) Cumblemènde = I dolcetti sono intesi in modo estensivo per indicare le cibarie offerte in una festa particolarmente importante, come in un rinfresco di nozze.

Infatti la domanda Quann’jì ca ce àmma mangé i cumblemènde? = Quando ci mangeremo i pasticcini? non si riferisce certamente all’atto di assaporare pe paste, ma all’epoca della auspicata festa di nozze. Insomma la domanda diretta è: quando ti sposi?

2) Cumblemènde = ironicamente indica danno materiale o morale, grattacapo, contrarietà, ecc.

Jògge àgghje avüte ‘stu bèlle cumblemènde: ‘a vettüra sfascéte e fìgghjeme au sputéle!= Oggi ho avuto queste bel regalo: l’auto distrutta e mio figlio in ospedale!

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Cumbére

Cumbére s.m. = Compare

Nel Centro-Sud equivale a padrino di battesimo o cresima o testimone di nozze.

Figura molto rispettata, acquisito come un vero e proprio membro della famiglia.

Talvolta assume una valenza negativa perché intende indicare un socio, complice in azioni disoneste o poco pulite.

Mò vöne Mattöje e ‘u cumbére süje = Ora viene Matteo e il suo compare.

Al femminile fa cummére = madrina.

Le puerpere chiamavano sempre cummére la levatrice, quantunque non ci fosse con lei alcun rapporto di cumbarìzzje = comparatico vero e proprio. Presumo solo per una forma di rispetto.

Quando si vuole indicare che un uomo sposato ha un’amante ‘a mandenüte, si dice ca töne ‘a cummére = che ha la ‘comare’. In linguaggio giornalistico moderno si dice che costui “è legato da affettuosa amicizia”.

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Cumbarìzzje 

Cumbarìzzje s.m. = Comparatico

Rapporto, di solito molto stretto, fra il padrino di battesimo o di cresima e il figlioccio.

Nell’Italia centro meridionale cumbarìzzje è anche il legame molto sentito fra la coppia degli sposi e quella dei testimoni di nozze.

Dalla momento della cerimonia di battesimo, cresima o matrimonio e per tutto il resto della loro vita, padrini, madrine, figliocci e sposi e testimoni si chiamano fra di loro anteponendo al nome il “titolo” rispettosissimo di cumbé = compare o cummére = comare.

Jì passéte cumbé Giuànne ca te vulöve saluté = È passato compare Giovanni che ti voleva salutare.

Va d’a cummére Mariètte e addumanne se völe venì a mangé quà duméneche = Va dalla comare Marietta e chiedi se vuole venire a mangiare da noi domenica prossima.

Ce sté ‘u cumbarìzzje p’u mjizze… = C’è di mezzo il comparatico (e quindi il massimo rispetto con costui)

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Cum’jì

Cum’jì o Cumì avv. = Perché, com’è.

In proposizioni interrogative dirette o indirette: per quale motivo? o per quale scopo?

Corrisponde all’interrogativo inglese Why?, o a quello francese Pourquoi?.

La risposta richiede rispettivamente Because…, e Parce-que….

In italiano va bene il medesimo avverbio sia per la domanda e sia per la risposta: Perché? – Perché…

In dialetto: Cum’jì? – Pecchè

Ma le regole non sono ferree, se si dice come in italiano va bene lo stesso:

E pecchè? Pecchè ‘u Pépe nen jì Re!

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Culöre 

Culöre s.m. e s.f. = Colera, “colatore”

1) ‘ u culöre s.m = il colera, grave malattia epidemica d’origine intestinale che si manifesta con diarrea, vomito, collasso;

2) ‘a culöre s.f. = pannolino di tela fine, che si poneva a diretto contatto con la pelle dei neonati. Era un po’ filtrante.

Deriva da colare = Filtrare un liquido per separarlo da parti solide.

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