Mese: Maggio 2018

Sègge-a-Vjinde

Sègge-a-Vjinde s.f. = Sedia Thonet

Non è, nella traduzione letterale, certamente la “sedia a vento”, che non significa nulla.

In lingua italiana è accettata come Sedia tipo Vienna.

Facile confondere la pronuncia della denominazione tedesca di Vienna, Wien (vinn) con Vjinde (viind) = vento.

Sono le famosissime sedie di legno di faggio, tornito e curvato a vapore, con il fondo di rafia intrecciata, il cui procedimento fu brevettato nel 1860 da Michael Thonet di Vienna. Le vere sedie Thonet sono tuttora in produzione.

Tutte le nostre nonne hanno in casa due Sedie Thonet perché negli anni ’30 facevano immancabilmente parte della loro dote.

Ora fanno delle imitazioni delle Thonet con ferro smaltato nero e plastica color sabbia per i bar che pretendono di apparire eleganti: puah!

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Sègge-a-caccà

Sègge-a-caccà s.f. = Seggiolone

Sedia di altezza tale da permettere a un bambino di arrivare al livello di un tavolo normale, dotata di un piano di appoggio ribaltabile su cui appoggiare piatti o altri oggetti.

Il nome dialettale deriva dal fatto che anticamente il piano, di legno o impagliato, su cui di poneva il bambino era dotato di un largo foro. Sotto il piano, a slitta, si inseriva il vasino.

Non voglio descrivere quello che accadeva tutti i giorni.

Questa sedia era utile perché dava al frugoletto la possibilità di saper controllare gli sfinteri. Se ciò non avveniva, il vasino raccoglieva tutti gli errori…

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Sègge

Sègge o sèggje s.f. = Sedia

Mobile su cui si può sedere una sola persona, costituito da un piano orizzontale che poggia su quattro gambe, e da una spalliera.

Il fondo può essere di paglia palustre o di rafia. Quelle moderne da cucina hanno il fondo di legno laminato ricoperto da cuscino imbottito di gommaspugna.

Deriva dal francese siége.

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Segarètte

Segarètte s.f. = Sigaretta, spagnoletta

1) Segarètte = Sigaretta, rotolino cilindrico di tabacco trinciato, avvolto in un foglietto di carta sottile a lenta combustione, che si fuma, accendendolo da un lato e aspirando l’aria dall’altro dov’è munito di filtro. Nuoce gravemente alla salute.

2) Segarètte = Spagnoletta, piccolo supporto cilindrico di cartone, o di plastica attorno al quale si avvolgono i filati variamente colorati per cucire. Usatissima in sartoria.

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Seffunné

Seffunné v.t. = Occultare, nascondere

Sottrarre un oggetto alla vista o alle ricerche di qcn., riponendolo in un posto recondito, rendendolo introvabile.

Add’jì ca ha’ seffunnéte ‘i bretèlle möje ca ne li tröve? = Dove hai nascosto le mie bretelle, (dato) che non le trovo?

Secondo me deriva da seffónne = in fondo, sul fondo (del mare o di qualche nascondiglio).

A me sembra che siano state nascoste così bene da essere intovabili, come se fossero‘nfónne ‘u mére = in fondo al mare.

È ammesso dire anche suffunné.

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Sedüne

Sedüne s.m. = Panchina

Da non confondere con il termine italiano “sedile” che designa qlsi qualsiasi appoggio o sostegno, mobile o fisso, adatto a sedersi, come il sedile dell’automobile, o del trattore, o della sedia a dondolo o addirittura del copri wc.

Da noi è solo quello dei giardini pubblici e privati, o dei viali del lungomare, o delle stazioni. In lingua viene chiamata correttamente “panchina”.

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Secherdüne (alla)

 

Secherdüne (alla) loc.avv. = Inaspettatamente. all’improvviso

Accettabile anche la versione secreddüne.

All’improvviso, inatteso, imprevisto, a sorpresa, quanto meno te l’aspetti.

Faccio un esempio: L’ho menéte ‘nu škafföne, alla secherdüne!= Gli ha mollato uno schiaffone all’improvviso.

Un po’ come la locuzione alla scurdéte = quando meno te l’aspetti, quando l’hai scordato, quando non ci pensi più.

Secherdüne (con lievi varianti di pronuncia)  viene usato a Foggia, Cerignola, Altamura, Santeramo, Modugno e in altri Comuni del Barese.
I Napoletani dicono all’intrasatte.
Nella Daunia usano anche all’assacrèse/assacroise/assacröse forse  dal francese sans-croire =senza credere, a sorpresa.

Leggendo qua e là ho scoperto che secherdüne potrebbe derivare dalla locuzione latina sicut in unum = come in un solo (istante).  Lo riporto per dovere di cronaca, ma non so se l’etimo è accettabile o se è un simpatico volo di fantasia.

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Sebbóleche

Sebbóleche s.m. = Altare della reposizione

Riporto quanto spiega la preziosa Wikipedia:

“Altare della reposizione è il luogo in cui, nella liturgia cattolica, viene riposta e conservata l’Eucaristia al termine della celebrazione eucaristica del Giovedì Santo, la Messa in Coena Domini.

La Chiesa chiede che l’altare della reposizione non coincida con l’altare dove si celebra l’Eucaristia. È inoltre tradizione che nelle chiese l’altare della reposizione sia addobbati in modo solenne, con composizioni floreali o altri simboli, in omaggio all’Eucaristia che viene conservata per poter permettere la Comunione nel giorno seguente, il Venerdì Santo, ai fedeli che partecipano alla Azione liturgica della Passione del Signore; infatti il Venerdì Santo non si offre il Sacrificio della Messa, e dunque non si consacra l’Eucaristia. Inoltre la reposizione dell’Eucaristia si compie per invitare i fedeli all’adorazione nella notte tra giovedì e Venerdì Santo, in ricordo dell’istituzione di un mistero così grande e nella meditazione delle sofferenze della Passione di Cristo.

L’altare della reposizione rimane allestito fino al pomeriggio del Venerdì Santo, quando, durante la celebrazione della Passione del Signore, l’Eucaristia viene distribuita ai fedeli; se le ostie consacrate non sono state consumate interamente, esse vengono conservate non in chiesa ma in un luogo appartato, e l’altare viene dismesso, per ricordare con austerità la morte in croce di Gesù, fino al giorno seguente, quando durante la Veglia pasquale si celebra la risurrezione di Gesù.

Nella tradizione e nel linguaggio popolare gli altari della reposizione vengono comunemente chiamati “Sepolcri”. Tale terminologia è impropria, perché in essi viene riposta l’Eucaristia che la Chiesa cattolica crede essere il segno sacramentale di Gesù Cristo vivo e risorto. L’altare della reposizione non è dunque un sepolcro che simboleggia la morte di Gesù, ma un luogo in cui adorare l’Eucaristia”.

Nella foto il mobiletto-tabernacolo appare addobbato con germogli di frumento, com’è tuttora in uso nella tradizione pugliese.
Aggiungo che veseté ‘i sebbóleche è una consuetudine antichissima, che porta i fedeli a girare per diverse chiese.
Una semi-superstizione “obbliga” a visitarne in numero dispari, chissà perché. Ritengo che basti una sola, se si pensa al significato del cosiddetto “sepolcro”, per pregare intimamente.

Quando eravamo giovincelli, irridendo il significato profondo del gesto, il giovadì Santo andavamo di chiesa in chiesa a “visitare i Sepolcri” non tanto per seguire Nostro Signore, ma… per seguire le donzelle. Era un po’ blasfemo, ma presumo che a 19 anni il cervello non è proprio maturo….Parlo per me, naturalmente! Difatti all’epoca mia, la maggiore età arrivava solo al 21° anno.

Jì vesetànne ‘i sebbóleche = andare a visitare i sepolcri, è detto ironicamente quando qualcuno, malvolentieri, deve fare un giro di visite di cortesia ai propri parenti.

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Sebbeletüre

Sebbeletüre s.m. = Sepoltura intesa come sepolcro, tomba, loculo..

Anticamente capitava che da un sepolcro non perfettamente sigillato provenisse il fetore dei cadaveri in decomposizione.

Allora sebbeletüre diventava un termine di paragone per indicare un miasma insopportabile:
Allà jìnde föte accüme a ‘nu sebbeletüre = Là dentro puzza come un sepolcro.

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Se Ddia völe…

Se Dio vuole loc.id. = Se Dio lo vorrà

Questa locuzione veniva spesso pronunciata quando si voleva esprimere, sempre proiettato nel futuro, più o meno lontano, un progetto, un’idea, un sogno, una mira, e si confidava nell’aiuto del Signore per la loro realizzazione, e non troppo sulle proprie forze.

Specie in tempi precari, la mano di Dio era più invocata per raggiungere un obiettivo, soddisfare un’aspirazione o un’attesa.

Non si diceva mai, ad esempio: “Caremöle ce spöse all’anne che vöne “ senza aggiungere subito “Se Ddia völe!” = Carmela si sposerà l’anno venturo, se Dio vorrà. Del doman non v’è certezza…

Variante. La locuzione viene arricchita, in modo ironico, quando non c’è risposta da parte di qlc da cui ci si aspetta un favore, o si conosce bene la sua inaffidabilità: Se Ddia völe e quìnece! . Alla lettera significa= Se Dio vorrà, e quindici…

L’origine di questa aggiunta numerale fa pensare ad una ulteriore proproga ad un precedente rinvio, se non a un rinvio perenne.

Jògge ca tòrne dalla cambagne, t’àgghja purté quìddi pepedìgne.
Sì, se Ddia völe e quinece!

– Oggi, quando torno dalla campagna, ti devo portare quei peperoni (che ti avevo promesso)
– Sì, va bene, proprio così, li aspetto… Ovviamente questa risposta è pronunciata con voce ironica e canzonatoria per esprimere sfiducia sul mantenimento della promessa.

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